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domenica 24 febbraio 2019

Una giornalista e relatrice al Summit: se non agirete saremo i vostri peggiori nemici!. E altro

Oggi ai nostri lettori offriamo qualche altra notizia sul Summit.
Principalmente un intenso  e franco intervento di una giornalista messicana,  Valentina Alazaraki, che riportiamo più sotto (anche QUI).
Segnaliamo anche:

  1. un articolo del giornalista del Corriere Massimo Franco sul Summit e sulla scandalosa nomina a Camerlengo di Farrell QUI.
  2. Due articoli "quadro" della Bussola (QUI e QUI), il primo di Tosatti intitolato significativamente: "Chi muove i fili del summit che non tocca l'omosessualità". 
  3. L'intervento del cardinale Cupich QUI.
  4. L'intervento del cardinale Gracias QUI.
  5. L'intervento del S. Padre QUI.
  6. Un intervento di un lettore  sul blog di Tosatti (QUI).
  7. Due interessanti articoli del blog "ex-normalista" Croce Via QUI e QUI.

Come leggerete, continuano le omissioni sul vero problema sul tema: l'omosessualità (vedere QUI il tweet di Pentin dove riporta la testimonianza di un vescovo partecipante al Summit).


Luigi

ADDENDA: ho appena seguito l'Angelus del S. Padre. Meritevole per le sue parole, ma - come al solito - sembra che tutto il problema sia nell'abuso di potere e nel clericalismo. Non è così e tutti i dati statistici ce lo dimostrano.

ALAZRAKI AI PRELATI DEL VERTICE: SE NON AGITE SAREMO I VOSTRI PEGGIORI NEMICI


Introduzione

Buon pomeriggio a tutti, Santità, Eminenze, Eccellenze, Padre Lombardi. Non leggerò l’introduzione iniziale perché padre Lombardi mi ha già presentato, per cui non mi sentirete ripeterlo.

Mi hanno invitato a parlarvi della comunicazione e, in particolare, di come una comunicazione trasparente sia indispensabile per combattere gli abusi sessuali sui minori da parte di uomini della Chiesa. 

Ad un primo sguardo, c’è poco in comune tra voi ed io, voi, vescovi e cardinali, e me, una donna laica, senza incarichi nella Chiesa, e per di più giornalista; suppongo questo non aiuti. Eppure condividiamo qualcosa di molto forte: tutti abbiamo una madre, tutti siamo qui perché un giorno una donna ci ha generati. Rispetto a voi, io ho forse un privilegio in più: sono prima di tutto una mamma. 

Non mi sento quindi solo rappresentante dei giornalisti, ma anche delle mamme, delle famiglie, della società civile. Desidero condividere con voi le mie esperienze, il mio vissuto e – se me lo permetterete – aggiungere alcuni consigli pratici. 

Il mio punto di partenza, la maternità 

Mi piacerebbe partire proprio da questo, dalla maternità per sviluppare il tema che mi avete affidato, vale a dire: come la Chiesa dovrebbe comunicare sul tema degli abusi. 

Dubito che qualcuno in quest’aula non pensi che la Chiesa sia, prima di tutto, madre. Molti di noi qui presenti abbiamo o abbiamo avuto un fratello o una sorella. Ricordiamo che le nostre madri, pur amandoci tutti allo stesso modo, si dedicavano specialmente ai figli più fragili, più deboli, a quelli che magari non sapevano procedere con le proprie gambe nella vita e avevano bisogno di una piccola spinta. 

Per una madre non ci sono figli di prima o seconda classe: ci sono figli più forti e figli più vulnerabili. Lo dico come mamma.

Neanche per la Chiesa ci sono – o avrebbero potuto esserci – figli di prima o seconda classe. I suoi figli apparentemente più importanti, come siete voi, i vescovi e i cardinali (non oso dire il Papa), non lo sono di più di qualsiasi altro bambino, bambina o giovane che abbia vissuto la tragedia di essere vittima di abuso da parte di un uomo della Chiesa, da parte di un sacerdote. 

Qual è la missione della Chiesa? è ovviamente predicare il Vangelo, ma per farlo ha bisogno di una guida morale; la coerenza tra ciò che predica e ciò che vive rappresenta la base per essere un’istituzione credibile, degna di fiducia e di rispetto. 

Perciò, di fronte a condotte delittuose come gli abusi su minori, pensate che un’istituzione come la Chiesa, per essere fedele a se stessa, abbia un’altra via se non quella di denunciare questo crimine? Che abbia un’altra via se non quella di stare dalla parte della vittima e non del carnefice? Chi è il figlio più debole, più vulnerabile? Il sacerdote che ha abusato, il vescovo che ha abusato e coperto, o la vittima? 

Siate certi che i giornalisti, le mamme le famiglie e l’intera società, per noi, gli abusi sui minori sono uno dei principali motivi di angoscia. Ci preoccupa l’abuso sui minori per ciò che comporta: la distruzione delle famiglie. Riteniamo tali abusi come uno dei crimini più abominevoli. 

Chiedetevi: siete nemici di quanti commettono abusi o li coprono tanto quanto lo siamo noi, le mamme, le famiglie, la società civile? 

Noi abbiamo scelto da quale parte stare. Voi, lo avete fatto davvero, o solo a parole? 

Alleati o nemici 

Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo esattamente dalla stessa parte. Possiamo essere alleati, non nemici. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. 

Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché saremo i vostri peggiori nemici. Perché noi giornalisti desideriamo il bene comune.

Mi occupo del Vaticano da 45 anni. Cinque pontificati diversi, importantissimi per la vita della Chiesa e per la vita del mondo. In questi quattro decenni ho visto proprio di tutto, e vi chiedo di credermi. Ho visto davvero tutto.

Quante volte mi è toccato ascoltare che lo scandalo degli abusi è «colpa della stampa, che è un complotto di certi mass media per screditare la Chiesa, che dietro ci sono poteri occulti, per mettere fine a questa istituzione»! 

Noi giornalisti sappiamo che ci sono informatori più o meno rigorosi di altri, lo sappiamo. Sappiamo che ci sono mass media più o meno dipendenti da certi poteri, che siano interessi politici, ideologici o economici. Ma credo non si possa in alcun caso colpevolizzare i mass media per aver rivelato gli abusi o informato su di essi. Sappiamo cosa pensate dei media, ma credo che questo punto sia importante da ricordare.

Gli abusi contro i minori non sono pettegolezzi né chiacchiere, sono crimini. Ricordo le parole di papa Benedetto XVI, durante il volo per Lisbona, Portogallo, quando ci ha detto che la più grande persecuzione alla Chiesa non viene dai nemici esterni ma nasce dall’interno, dal peccato al suo interno. 

Vorrei che usciste da quest’aula, non so se sia una speranza troppo grande, con la convinzione che noi giornalisti non siamo vostri nemici, non siamo né quelli che abusano né quelli che coprono. La nostra missione è di esercitare e difendere un diritto, che è il diritto a un’informazione basata sulla verità per ottenere giustizia. 

Sappiamo che gli abusi non sono circoscritti alla Chiesa, sappiamo che avvengono nelle famiglie, nelle scuole, nel mondo dello sport, ma dovete capire che con voi dobbiamo essere più rigorosi, in virtù del vostro ruolo morale. Rubare, per esempio, è sbagliato, ma se chi ruba è un poliziotto ci indigna di più, perché è il contrario di quello che dovrebbe fare, cioè proteggere la comunità dai ladri. Se un medico o infermiere avvelena i suoi pazienti invece di curarli, ci indigniamo di più perché va contro la loro etica, il loro codice deontologico. 

La mancanza di comunicazione, un altro abuso 

Come giornalista, come donna e madre, vorrei dirvi che pensiamo che abusare sia tanto spregevole quanto coprire l’abuso. E voi sapete meglio di me che gli abusi sono stati coperti in modo sistematico, dal basso verso l’alto. 

Credo che dovreste prendere coscienza che quanto più coprirete, quanto più farete come gli struzzi, quanto meno informerete i mass media e, quindi, i fedeli e l’opinione pubblica, tanto più grande sarà lo scandalo. Se qualcuno ha un tumore, non si curerà nascondendolo ai propri familiari o amici, non sarà il silenzio a farlo guarire, saranno le cure più indicate a evitare alla fine le metastasi e a portare alla guarigione. 

Comunicare è un dovere fondamentale, perché, se non lo fate, diventate automaticamente complici degli abusatori. Non fornendo le informazioni che potrebbero evitare che queste persone commettano altri abusi, non state dando ai bambini, ai giovani, alle loro famiglie gli strumenti per difendersi da nuovi crimini. È come una malattia contagiosa: se si ha una malattia contagiosa e non si avvertono le persone con cui si entra in contatto, non si impedisce a quella persona di infettarsi e di ammalarsi. E’ esattamente la stessa cosa.

I fedeli non perdonano la mancanza di trasparenza, perché è una nuova violenza, è una nuova violenza verso le vittime. Chi non informa, incoraggia un clima di sospetto e di sfiducia e provoca rabbia, e ’odio verso l’istituzione. 

L’ho visto con i miei stessi occhi nel viaggio di Papa Francesco in Cile nel 2018. Non c’era indifferenza: c’erano indignazioni e rabbia per l’occultamento sistematico, per il silenzio, per l’inganno ai fedeli e il dolore delle vittime che per decenni non sono state ascoltate, non sono state credute. 

Le vittime hanno prima di tutto diritto a sapere che cosa è successo, che cosa avete fatto per allontanare e punire quanti hanno commesso abusi. Anche se il colpevole può essere morto, il dolore della vittima non si finisce, non finisce nulla. Non si può più punire il colpevole, ma almeno si può consolare la vittima, che forse ha vissuto molti anni con quella ferita nascosta. Inoltre altre vittime che restano in silenzio oseranno uscire, e voi favorirete la loro guarigione e la loro consolazione. 

Prendete l’iniziativa 

In spagnolo diciamo che chi colpisce per primo colpisce tre volte. Ovviamente non si tratta ovviamente di colpire, ma si tratta d’informare. 

Penso che sarebbe molto più sano, più positivo e più utile se la Chiesa fosse la prima a dare l’informazione, in modo proattivo e non sempre reattivo, come normalmente avviene. Non dovreste attendere per rispondere a domande legittime della stampa (che finalmente sono domande che provengono della gente, della vostra gente) che un’inchiesta giornalistica scopra il caso. 

Nell’epoca in cui viviamo nascondere un scandalo è molto difficile. Con l’auge delle reti sociali, la facilità di postare foto, audio e video, e i veloci cambiamenti sociali e culturali, la Chiesa ha solo una strada, credo: quella di puntare sul rendere conto e sulla trasparenza, che vanno di pari passo. 

Raccontate le cose quando le sapete. Certo, non sarà piacevole, ma è l’unica via, se volere che vi crediamo quando voi dite che «d’ora in poi non saranno più tollerati occultamenti». Il primo a beneficiare della trasparenza è l’istituzione, sempre, perché si focalizza sui colpevoli e non su voi stessi sul colpevole. 

Imparare dagli errori del passato 

Sono messicana e non posso non menzionare il caso forse più terribile che sia accaduto all’interno della Chiesa, quello di Marcial Maciel, il fondatore messicano della Legione di Cristo. Sono stata testimone di questo triste caso dall’inizio alla fine. Al di là del giudizio morale sui crimini commessi da questa persona, che per alcuni è stato una mente malata e per altri un genio del male, vi assicuro che alla base di quello scandalo, che tanto male ha fatto a migliaia di persone, fino a macchiare la memoria di un uomo che oggi è santo, mi riferisco a San Giovanni Paolo II, c’è stata una comunicazione malata. 

Non bisogna dimenticare che nella Legione c’era un quarto voto secondo il quale se un legionario vedeva qualcosa che non lo convinceva di un superiore, non poteva né criticarlo né tanto meno commentarlo o informare qualcuno.

Senza questa censura, senza questo occultamento totale, se ci fosse stata trasparenza, Marciel Maciel non avrebbe potuto abusare per decenni di seminaristi e avere tre o quattro vite, mogli e figli, che sono arrivate ad accusarlo di avere abusato di loro stesse. 

Per me questo è il caso più emblematico di una comunicazione malata, corrotta, da cui si possono – penso – e si devono imparare molte lezioni. 

Papa Francesco, in occasione del Natale, a dicembre, ha detto alla Curia che, in altre epoche, nel trattare questi temi, c’erano state ignoranza, mancanza di preparazione e incredulità. Io oso dire che c’è stata anche corruzione. 

Dietro al silenzio, alla mancanza di una comunicazione sana, trasparente, molte volte c’è non solo la paura dello scandalo, la preoccupazione per il buon nome dell’istituzione, ma anche denaro, assegni, doni, permessi per costruire scuole e università in zone dove magari non si poteva costruire. Parlo di quel che ho visto e indagato a fondo. Non me lo hanno raccontato.

Papa Francesco ci ricorda sempre che il diavolo entra dalla tasca e credo che abbia pienamente ragione. La trasparenza nel trattare il tema degli abusi verso i minori, vi aiuterà a lottare contro la corruzione economica. 

Nel processo d’informazione interna – continuo a fare riferimento al caso di Marcial Maciel – qui in Vaticano, dal basso verso l’alto, abbiamo saputo grazie a vari prelati, e a vari nunzi, e io posso testimoniarlo perché me lo hanno raccontato in prima persona, che ci sono stati casi di occultamento, ostacoli ad accedere al papa del momento, una sottovalutazione della gravità delle informazioni o un loro screditamento, come se fossero frutto di ossessioni o fantasie. Questo è stato detto a coloro che volevano informare, a coloro che volevano essere fedeli ai loro servizi e volevano che quell’informazione arrivasse.

La trasparenza, dunque, vi aiuterà anche a lottare contro la corruzione politica nel governo. 

È stato grazie ad alcune vittime coraggiose, ad alcuni giornalisti coraggiosi e, penso di doverlo dire, a un papa coraggioso come Benedetto XVI, se lo scandalo Maciel fu portato alla luce e il cancro rimosso.

È importantissimo imparare la lezione e non ricommettere lo stesso errore. La trasparenza vi aiuterà a essere coerenti con il messaggio del Vangelo e a mettere in pratica il principio secondo cui nella Chiesa non ci sono intoccabili: credo sia questa la lezione più importante, tutti siamo responsabili dinanzi a Dio ovviamente, però allo stesso tempo siamo responsabili dinanzi agli altri. 

Evitate la segretezza, abbracciate la trasparenza

Pertanto, credo che dovremmo evitare la segretezza, intesa come una tendenza eccessiva al segreto, perché questa segretezza purtroppo è strettamente legata all’abuso di potere. Oggi le nostre società hanno adottato come regola generale la trasparenza, e il pubblico ritiene che l’unico motivo per non essere trasparenti è il desiderio di occultare qualcosa di negativo o di corrotto. Quella segretezza è come la rete di sicurezza di chi abusa del potere.

La mia sensazione, durante il corso di tutti questi anni, è che all’interno della Chiesa ci sia ancora molta resistenza a riconoscere che il problema degli abusi esiste e che occorre affrontarlo con tutti gli strumenti possibili. Alcuni credono che succeda solo in certi paesi, io credo e credo che, alla fine di questo incontro qui in Vaticano, è già ovvio, si può parlare di una situazione generalizzata, dove più dove meno, che in ogni modo occorre affrontare e risolvere. 

Chi occulta qualcosa non è forzatamente corrotto, ma tutti i corrotti occultano qualcosa. Non tutti coloro che serbano un segreto compiono un abuso di potere, ma tutti gli abusi di potere sono solitamente occultati. 

Sappiamo che la trasparenza ha i suoi limiti, voi lo avete ripetuto; in questi giorni si è parlato molto di questo.

Perciò, non pretendiamo che c’informiate di qualsiasi accusa a un sacerdote. Comprendiamo che può e ci deve essere un’inchiesta previa, ma fatela celermente, adeguatevi alla legge del paese in cui vivete, e se è previsto, presentate il caso alla giustizia civile. 

Se l’accusa si dimostra credibile, dovete informare sui processi in corso, su ciò che state facendo, dovete dire che avete allontanato il colpevole dalla sua parrocchia o da dove esercitava, dovete dirlo voi, sia nelle diocesi sia in Vaticano. A volte, il bollettino della sala stampa della Santa Sede informa su una rinuncia senza spiegarne le ragioni. Ci sono sacerdoti che sono andati subito a informare i fedeli che erano malati e che non se ne andavano perché avevano commesso abusi o li avevano coperti. Credo che la notizia della rinuncia di un sacerdote che ha commesso abusi dovrebbe essere data con chiarezza, in modo esplicito. 

In Camera Caritatis, sappiamo che esiste la Camera Caritatis, il silenzio sui temi trattati è ammesso solo se non pregiudica nessuno, ma mai quando può fare del male a nessuno.

Tre consigli pratici per vivere la trasparenza

Vi ho già detto che penso che la comunicazione sia indispensabile per risolvere questo problema. Permettetemi ora di suggerirvi tre modi per mettere in pratica la trasparenza al momento di comunicare sugli abusi sessuali a minori. 

1) Mettete le vittime in primo piano 

Se la Chiesa vuole imparare a comunicare sugli abusi, il suo primo punto di riferimento deve essere la vittima. 

Papa Francesco ha chiesto ai partecipanti a questa riunione di incontrare le vittime, di ascoltarle e di mettersi a loro disposizione, prima di venire a Roma. 

Non vi chiederò di alzare la mano per vedere chi lo ha fatto, ma datevi una risposta in silenzio. 

Le vittime non sono numeri, non sono statistica, sono persone a cui è stata rovinata la vita, la sessualità, l’affettività, la fiducia negli altri esseri umani, forse persino in Dio, persone in cui è stata distrutta anche la capacità di amare. 

E perché è tanto importante l’incontro con le vittime? Perché è molto difficile informare qualcosa di cui non si conosce, di cui non ha una conoscenza diretta. 

Nel caso degli abusi è ancora più evidente. Non si può parlare di questo tema se non si è ascoltato le vittime, se non si è condiviso il loro dolore, se non si è toccato con mano le ferite che gli abusi hanno provocato non solo nel loro corpo, ma anche nella loro mente, nel loro cuore, nella loro fede. Questo lo abbiamo visto. Se le conoscerete, queste persone, queste vittime, avranno un nome, avranno un volto, e l’esperienza avuta con loro si rifletterà non solo sul modo in cui affronterete il problema, ma anche sul modo in cui lo comunicherete e cercherete di risolverlo. 

Nelle conferenze stampa di questi giorni, tutti coloro che sono stati con noi ci hanno evidenziato come le testimonianze che avete ascoltato in questa aula vi hanno toccato, come in qualche modo quelle testimonianze hanno cambiato anche voi. Credo che questo sia essenziale e crei empatia, questa sensibilità che è estremamente necessaria per affrontare la questione e soprattutto per risolverlo.

Il Papa ci ha detto che incontra regolarmente, a Santa Marta, le vittime, e che considera questa una delle sue priorità; credo che sia un bene che anche voi lo facciate, non credo che abbiate meno tempo di Papa Francesco. 

Ricordate, la trasparenza è mostrare quello che fate. Solo se metterete le vittime al primo posto, sarete credibile quando direte che siete decisi a sradicare la piaga degli abusi. 

2) Lasciatevi consigliare 

Prima di prendere decisioni, chiedete consiglio a persone con giudizio che vi possono aiutare. 

Tra questi consiglieri credo che ci dovrebbero sempre essere dei comunicatori. Credo che la Chiesa dovrebbe avere, a tutti i livelli, esperti della comunicazione, e ascoltarli quando le dicono che conviene sempre più informare che tacere o addirittura mentire. È un’illusione, come ho già detto, pensare che oggi si possa nascondere uno scandalo. È come coprire il cielo con un dito. Non si può, non è più né accettabile né ammissibile. Perciò, tutti voi dovete capire che il silenzio costa molto più caro dell’affrontare la realtà e renderla pubblica. 

Credo che sia indispensabile che investiate nella comunicazione in tutte le vostre strutture ecclesiastiche, con persone altamente qualificate e preparate a far fronte alle esigenze di trasparenza del mondo attuale. 

La figura del portavoce è fondamentale. Non deve essere solo una persona molto preparata, ma deve anche poter contare sulla piena fiducia del capo – diciamo così – del cardinale, ed avere un accesso diretto a lui 24 ore su 24, perché questo non è un lavoro dalle 9 della mattina alle 5 del pomeriggio. Tutto può succedere in qualsiasi momento. 

E il portavoce deve sempre avere accesso diretto alla persona a cui deve riferire.

Noi giornalisti preferiamo parlare direttamente con il capo. Ma accettiamo di parlare con un portavoce, quando sappiamo che ha accesso al capo e trasmette ciò che pensa con cognizione di causa. Dico questo perché nel corso di 45 anni ho avuto in Santa Sede molti modi di comunicare, molti modi di avere quel rapporto, con gli stessi pontefici, e abbiamo visto quanto sia importante quella comunicazione diretta.

3) Professionalizzate la comunicazione 

Dovete comunicare meglio. 

Che tipo di trasparenza si aspettano i giornalisti, le mamme, le famiglie, i fedeli, l’opinione pubblica, da un’istituzione come la Chiesa? 

Credo che sia fondamentale che, a tutti i livelli, dalla parrocchia fino a qui, in Vaticano, ci siano strutture forse standardizzate, ma molto agili e flessibili, che offrano con rapidità, informazioni accurate. 

Possono essere informazioni incomplete per mancanza di un’indagine più approfondita, ma la risposta non può essere il silenzio o il no comment, allora, cercheremo le risposte chiedendo ad altri, e saranno quindi terzi a informare la gente nel modo in cui vorranno farlo.

Se non disponete di tutta l’informazione necessaria, se ci sono dubbi, se c’è già un’inchiesta, è meglio spiegarlo nel miglior modo possibile affinché non si abbia la sensazione che non volete rispondere perché state nascondendo qualcosa. Occorre dare seguito all’informazione in ogni momento e soprattutto occorre reagire con rapidità. 

Insisto su questo punto, perché se non si informerà in modo tempestivo, la risposta non interesserà più, sarà troppo tardi e altri lo faranno, magari in modo non corretto. Allora è meglio che tu lo faccia correttamente e il più velocemente possibile.

Il rischio è molto alto e il prezzo di questo tipo di condotta è ancora più alto. Il silenzio dà la sensazione che le accuse, siano totalmente false nel migliore dei casi vero, o nel migliore dei casi mezzo vero e mezzo falso; se si risponde con il silenzio tutto rimarrà con l’idea che queste accuse sono vere. E se non rispondono, pensiamo che abbiano paura di rispondere perché hanno paura di essere smentiti subito dopo.

Ho visto con i miei occhi, come ho già detto, come la cattiva informazione, o la scarsa informazione, ha causato danni enormi, ha fatto del male alle vittime e alle loro famiglie, non ha permesso che si facesse giustizia, ha fatto vacillare la fede di molta gente. Credo che Papa Francisco abbia vissuto in prima persona questa esperienza con il caso del Cile e si è visto obbligato a scusarsi. Ecco perché la mancanza di informazioni lo ha portato a prendere alcune decisioni in quel momento; poi ha capito che non erano vere. Quindi, la responsabilità di coloro che devono far fluire le informazioni è enorme.

Vi assicuro che investire nella comunicazione è un affare molto redditizio, e non è un investimento a breve termine, è un investimento a lungo termine. 

Conclusione

Vorrei concludere questo intervento menzionando un tema diverso da quello degli abusi sui minori, ma importante per una donna giornalista come me. 

Credo che tutti ci siamo resi conto del fatto che siamo sulla soglia di un altro scandalo, quello delle suore e religiose vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti e vescovi. Lo ha denunciato la rivista femminile di «L’Osservatore Romano», e papa Francesco, durante il volo di ritorno da Abu Dhabi, ha riconosciuto che si sta lavorando da tempo su questo tema, che è vero che bisogna fare di più e che c’è la volontà di fare di più. 

Vorrei che in questa occasione la Chiesa giocasse all’attacco e non in difesa, com’è avvenuto nel caso degli abusi sui minori. Potrebbe essere una grande opportunità perché la Chiesa prenda l’iniziativa e sia in prima linea nella denuncia di questi abusi, che non sono solo sessuali, ma prima di tutto di potere. 

Mi congedo ringraziando papa Francesco per aver reso grazie, di fronte alla Curia, lo scorso mese di dicembre, per il lavoro ai giornalisti, che sono stati onesti e obiettivi nello scoprire sacerdoti depredatori e hanno fatto udire le voci delle vittime. 

Spero che dopo questo incontro, torniate a casa e non ci evitiate, anzi che ci cerchiate. Che possiate tornare alle vostre diocesi pensando che non siamo noi i lupi feroci, ma, al contrario, che possiamo unire le nostre forze contro i veri lupi. 

Grazie mille.