Continuiamo i mala tempora currunt.
Luigi
Settimo Cielo, 22-2-19
Ecco qui di seguito cinque appunti dal taccuino del 22 febbraio, seconda giornata del summit tra papa Francesco e i capofila della gerarchia di tutto il mondo in materia di abusi sessuali sui minori.
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1. Sulla questione dell’omosessualità che sostanzia la gran parte degli abusi commessi da sacerdoti, quasi tutti con maschi giovani e giovanissimi sopra la soglia della pubertà, continua ad essere innalzato un muro invalicabile di silenzio.
Interpellato nella conferenza stampa di metà giornata, l’arcivescovo Charles Scicluna, uomo chiave del comitato organizzativo del summit, ha ribadito, come già il giorno precedente, che l’omosessualità “non ha niente a che fare con l’abuso sessuale sui minori”.
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2. È ricomparso in pubblico, nella conferenza stampa, il cardinale Sean P. O’Malley, fino a un anno fa – e con valide ragioni – il massimo fiduciario del papa in questo campo ma poi caduto in disgrazia ed escluso dalla preparazione del summit, nonostante continui a presiedere il pontificio consiglio per la protezione dei minori.
Al suo fianco O’Malley aveva proprio i due uomini di cui papa Francesco si avvale ora come esecutori dei propri voleri: il cardinale Blase Cupich e l’arcivescovo Charles Scicluna.
Ma ciò non significa che O’Malley sia in procinto d’essere riabilitato. È stato annunciato che per lunedì 25 febbraio, il giorno dopo la fine del summit, Francesco ha convocato una riunione con i membri del comitato organizzativo, “in primis” Cupich e Scicluna, con l capi dei dicasteri di curia attinenti alla materia e con alcuni esperti. E il pontificio consiglio per la protezione dei minori, con il suo presidente O’Malley? Non convocato. Il papa continuerà a fare a meno di lui.
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3. Lo scontro tra Roma e la conferenza episcopale degli Stati Uniti, esploso lo scorso novembre con il divieto del papa di mettere ai voti due decisioni operative su come contrastare il malgoverno dei singoli vescovi in materia di abuso sessuale, ha avuto il suo coronamento come già ampiamente previsto.
È toccato infatti al cardinale Cupich – arcivescovo di Chicago e bergogliano di ferro, nonché pupillo dell’ex cardinale Theodore McCarrick oggi ridotto allo stato laicale per le sue malefatte – presentare ufficialmente nel corso del summit proprio quella soluzione alternativa che lui stesso, in accordo con Roma, aveva opposto a ciò che la conferenza episcopale americana intendeva mettere in opera.
In breve, la soluzione di Cupich e di papa Francesco è di affidare in prima battuta le indagini sul malgoverno di un vescovo in materia di abusi sessuali non a un organismo indipendente di laici – come nel progetto della conferenza episcopale americana –, ma al metropolita della provincia ecclesiastica del vescovo stesso. Inviando poi l’esito dell’indagine alla Santa Sede, che provvederà a decidere sulla sua sorte.
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4. Poco prima di Cupich, nella mattina del 22 febbraio, ha tenuto un’altra relazione al summit il cardinale indiano Oswald Gracias, che è anche membro del consiglio dei 9 cardinali – oggi ridotti a 6 – che coadiuvano Francesco nella riforma della curia e nel governo della Chiesa universale.
Senonché, poche ore prima che Gracias prendesse la parola, la BBC ha messo in rete un servizio che denuncia sue negligenze nel governare due casi di abuso sessuale ad opera di sacerdoti della sua arcidiocesi di Mumbai, uno nel 2015 e un altro nel 2009.
Sulla vicenda del 2015 l’arcidiocesi di Mumbai ha immediatamente diramato una replica molto circostanziata e convincente nel giustificare l’operato di Gracias, con tutti i nomi delle persone implicate.
Non una parola invece sulla vicenda del 2009, che – stando al resoconto della BBC – configurerebbe il classico copione del sacerdote non sanzionato dopo la denuncia del misfatto e lasciato operare col grave pericolo di reiterare gli abusi.
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5. Ma molto più che il cardinale Gracias, è il papa in persona che proprio nel giorno d’apertura del summit è stato nuovamente chiamato in causa per la protezione da lui accordata all’argentino Gustavo Óscar Zanchetta, suo amico e figlio spirituale da quando questi era sottosegretario della conferenza episcopale argentina, promosso a vescovo di Orán nell’estate del 2013, poi dimessosi per imprecisate “ragioni di salute” nell’estate del 2017 ma prontamente elevato dal papa, nel dicembre di quello stesso anno, alla carica vaticana creata apposta per lui di “assessore” dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica.
Lo scorso Natale il quotidiano argentino “El Tribuno” aveva dato notizia che contro Zanchetta, quando era vescovo di Orán, era stata inoltrata al nunzio in Argentina una denuncia per abusi su una decina di seminaristi.
Il 4 gennaio, il direttore della sala stampa vaticana smentì questa notizia, asserendo che in Vaticano le accuse a Zanchetta risultavano pervenute non prima dell’autunno del 2018 e che un’indagine previa era in corso in Argentina per valutarne l’attendibilità.
Il 21 febbraio, però, “El Tribuno”, per la penna della giornalista Silvia Noviasky, è tornato sull’argomento fornendo le prove documentali (vedi foto) che denunce molto circostanziate dei cattivi comportamenti di Zanchetta erano state inoltrate da ecclesiastici della diocesi di Orán alle autorità competenti, in Argentina e a Roma, a più riprese dal 2015 al 2017.
Col corollario che papa Francesco era al corrente delle malefatte del suo pupillo ben prima che ne accettasse le dimissioni da vescovo di Orán e lo promuovesse ad assessore dell’APSA.
Di cui tuttora Zanchetta ricopre la carica. Col papa che tace, nel pieno del summit convocato per fare chiarezza su questo capitolo dolente della vita della Chiesa.