Si è svolto sabato 23 giugno, a Roma, l'atteso convegno "Vecchio e nuovo modernismo: alle radici della crisi nella Chiesa".
Organizzato dalla Fondazione Lepanto e presieduto dal Prof. Roberto de Mattei, il convegno ha visto la presenza di un pubblico selezionato, proveniente da tutto il mondo (vasta la rappresentanza anglofona), che con i suoi partecipi interventi ha dato all'evento il taglio di una vera e propria giornata di studio. Il convegno è stato reso ulteriormente significativo dall'autorevolezza dei relatori, la gran parte dei quali ha a suo tempo sottoscritto la Correctio Filialis formulata nel 2017 in seguito all'emanazione dell'Esortazione Apostolica Amoris Laetitia.
I lavori sono stati introdotti da Joseph Shaw, Presidente della Latin Mass Society inglese e Segretario della Fondazione Internazionale Una Voce (FIUV), il quale ha evidenziato lo scopo dell'iniziativa: riunirsi per approfondire le questioni fondamentali sottese al multiforme dibattito apertosi nella Chiesa negli ultimi anni. Questioni fondamentali che concernono "l'oggettività dei sacramenti, la natura della grazia santificante, il ruolo della tradizione e dell'autorità nella teologia e la natura stessa della verità, nella fede e nella morale". Dopo aver sottolineato che gli ultimi tempi hanno visto l'emergere di temi assai diversi tra loro ("un giorno scopriamo che l'indissolubilità del matrimonio è sotto attacco", poco dopo "impazza la questione se le unioni omosessuali possano essere mezzi di grazia", questione che poi "servirà da trampolino di lancio per qualcosa di ancora più scioccante"), Shaw ha osservato che "lungi dall'essere una distrazione dall'attuale crisi che si verifica a tutti i livelli, nelle diocesi e nelle parrocchie di tutto il mondo", l'approccio incentrato sulle questioni fondamentali è l'unico "che possa affrontare i nostri problemi pratici in modo costruttivo, e conferisce significato e peso a tutte le cose sensate che vengono dette sulle questioni meno fondamentali, specifiche, che si spostano di giorno in giorno come le dune di sabbia nel deserto".
Sviluppando questa più che opportuna impostazione, i relatori susseguitisi nel corso della giornata hanno trattato de "Il modernismo: radici e conseguenze storiche" (Prof. Roberto de Mattei), di "Romano Amerio e il modernismo" (Prof. Enrico Maria Radaelli), de "La Nouvelle Théologie e il modernismo" (Dr. John R. T. Lamont), di "Collegialità: una nuova dottrina?" (P. Albert Kallio O.P.), de "La riforma liturgica, specchio del progetto conciliare" (Abbé Claude Barthe), de "L'applicazione del Summorum Pontificum" (Dott. Maria Guarini), di "Oltre il relativismo. Condizioni per un costruttivo rapporto tra scienza e fede" (Prof. Don Alberto Strumia), de "Il papa eretico: tra teologia e prassi giuridica" (Prof. Valerio Gigliotti), di "Papa Francesco: un cambio di paradigma della Chiesa" (José Antonio Ureta). Purtroppo assente per motivi personali il Prof. Giovanni Turco, il testo della cui relazione - "Il Modernismo come filosofia della prassi" - è stato comunque distribuito ai partecipanti.
I pregevolissimi spunti di riflessione forniti dal complesso delle relazioni sono così ricchi e vari che non ne è possibile una sintesi; confidiamo, peraltro, che gli atti del convegno vengano comunque resi disponibili in rete. A noi basterà riportare qualche flash, ripreso qua e la da alcune delle relazioni: senza la pretesa, ovviamente, di essere esaurienti, ma, piuttosto, per stuzzicare l'attenzione dei lettori in attesa dell'auspicata pubblicazione integrale dei vari interventi.
Prof. Roberto de Mattei: "il modernismo si proponeva (...) di trasformare il cattolicesimo dall’interno, lasciando intatto, nei limiti del possibile, l’involucro esteriore della Chiesa. Come immaginare che un movimento così vasto e ramificato si sia arreso dopo la condanna? Negli anni seguenti alla morte di Pio X, la strategia dei modernisti fu quella di dichiarare inesistente il modernismo e di accusare duramente la repressione antimodernista. Le tendenze dei novatori in campo biblico, liturgico, teologico ed ecumenico, continuarono a svilupparsi all’interno della Chiesa in maniera apparentemente spontanea e priva di ordine e direzione, come già era avvenuto sotto Leone XIII. In realtà il modernismo circolava non solo nei libri, ma in tutto il corpo della Chiesa, avvelenandone ogni aspetto". "Quanto è estesa oggi la presenza del neo-modernismo nella Chiesa? E’ difficile trovare un seminario o un’università cattolica, che ne siano immuni. La domanda dovrebbe essere rovesciata, Qual è il seminario o l’università cattolica fedele al Magistero della Chiesa? Purtroppo non è difficile rispondere a questa domanda. Il modernismo pervade la Chiesa, anche se pochi lo rivendicano esplicitamente".
Dr. John R. T. Lamont: "la seconda condanna della Nouvelle Théologie (...) non è riuscita a contenere una vera rinascita del modernismo. (...) Nelle circostanze attuali non c'è molta speranza che le autorità della Chiesa agiscano per correggere gli errori dei loro predecessori nell'affrontare il modernismo. Se e quando tale azione verrà presa, la lezione da trarre dalla storia della nouvelle théologie è che l'obiettivo di tale azione non dovrebbe essere né pietà né severità, ma legalità".
José Antonio Ureta: "come rapportarsi ai pastori che assumono e attuano il cambiamento di paradigma" nella Chiesa? Occorre riconoscere "Papa Francesco come il Vicario di Cristo in Terra e i nostri vescovi diocesani come successori degli Apostoli, ma senza per questo lasciare di resistergli in faccia, come San Paolo resistette a San Pietro". Se "abusando del proprio potere e cercando di forzarli ad accettare i loro traviamenti, tali prelati arrivassero a condannare (i cattolici fedeli al loro battesimo) a causa della loro posizione di fedeltà al Vangelo e di resistenza all'autorità, saranno tali pastori, e non i cattolici fedeli, i responsabili di questa rottura e delle sue conseguenze davanti a Dio, al diritto della Chiesa e alla Storia, così come avvenne con Sant'Atanasio, vittima di un abuso di potere, ma una stella nel firmamento della Chiesa".
Abbé Claude Barthe: "la liturgia riformata produce tra coloro che la praticano un'impressione di appiattimento della trascendenza, allontanandoli proporzionalmente da ciò che credono di toccare con le proprie mani, contrariamente alle liturgie tradizionali, latine o greche che, sottolinenando nei gesti e nelle parole l'immensa elevazione del mistero che svelano deformandolo, fanno paradossalmente toccare il soprannaturale attraverso una sorta di gioco continuo di allontanamento/avvicinamento". "Il problema posto da questa liturgia è lo stesso di quello sollevato dai testi dottrinali ambigui come quelli riguardanti i principi dell'ecumenismo (...), o come il capitolo VIII di Amoris Laetitia. (...) Si tratta, insomma, per fare riferimento al Pensiero debole di Gianni Vattimo, di una liturgia debole, eco di un magistero debole, corrispondenti entrambi alle attese della modernità che rifiuta sia gli obblighi assoluti del Credo che quelli di un rito imperfetto ancorato al Credo".