Ringraziando gli amici di Radici Cristiane pubblichiamo l'intervista all'abbè Claude Barhe, cappellano del pellegrinaggio Summorum Pontificum che si terrà a Roma dal 14 al 17 settembre. Invitiamo tutti i nostri lettori ad andare a Roma per il decennale del Summorum Pontificum.
Domani pubblicheremo l'intervista a Guillaume Ferluc, segretario generale del Coetus Internationalis Summorum Pontificum, organizzatore del Pellegrinaggio.
A presto a Roma!
L
Diretto da Roberto de Mattei
I fedeli del pellegrinaggio “Summorum Pontificum”, provenienti da ogni
angolo del mondo, rappresentano ancora una minoranza nella Chiesa, minoranza
tuttavia estremamente viva e dotata di una forte capacità di mobilitazione.
L’abbé Claude Barthe, cappellano del pellegrinaggio “Summorum Pontificum”, ce
ne spiega il perché…
RC n.126 - luglio/agosto 2017 di Luigi Bertoldi
E' cappellano del pellegrinaggio
Summorum Pontificum, promosso a Roma da cinque anni per render grazie
dell’omonimo Motu Proprio, promulgato da Benedetto XVI: l’abbé Claude Barthe,
teologo, esperto di Liturgia Romana, ha dedicato diversi scritti alla crisi,
che la Chiesa sta vivendo. In quest’intervista ci spiega quanto e come la S.
Messa tridentina possa esserne una sorta di antidoto.
Ritiene che la Sacra Liturgia
promossa dal Motu proprio Summorum Pontificum possa risanare le criticità
emerse e diffondere santità tra i fedeli, come è stato per quasi duemila anni a
questa parte?
L’immenso beneficio apportato dal
“Summorum Pontificum” è d’aver dichiarato che il Messale tridentino, nella sua
ultima edizione del 1962, non è stato abolito dalla riforma di Paolo VI.
L’effetto santificante su una Chiesa minata da una crisi della fede, ben più
radicale di quella modernista, è doppio, in funzione dell’adagio lex orandi
lex credendi. Da una parte, benché questa Messa resti minoritaria, il solo
fatto che venga celebrata ovunque nel mondo permette la diffusione di ciò
ch’essa rappresenta meravigliosamente circa l’espressione del sacrificio
propiziatorio e dell’assoluta trascendenza del mistero eucaristico: ha anche
una valenza taumaturgica, se si può dire, applicata ad un popolo cristiano
malato nella fede.
D’altra parte, poiché il Motu
Proprio di Benedetto XVI ha ristabilito la liturgia di prima (l’edizione del
messale tridentino del 1962 è stata pubblicata qualche mese prima dell’apertura
del Concilio Vaticano II) in parallelo con la liturgia del dopo (il messale
promulgato in seguito al Concilio, nel 1970), il che rappresenta un caso unico
nella storia del culto cristiano, essa rappresenta una testimonianza
sorprendente e provvidenziale della continuità della Tradizione della Chiesa.
Come cappellano del pellegrinaggio
“Summorum Pontificum”, a dieci anni dal Motu Proprio, che bilancio si sente di
trarre?
La cosa più semplice è quella
d’offrirvi un bilancio in cifre. In Francia nel 2007 c’erano 120 luoghi, ove
venivano officiate le Messe domenicali; nel 2017, ce ne sono 220. Senza
peraltro influire sulle Messe non ufficiali della Fraternità San Pio X: esse
hanno proseguito una lenta crescita (da 185 a 195). Un’inchiesta pubblicata da
Le Pèlerin nel gennaio scorso mostra come il 7% dei Cattolici preferisca la
Messa in latino, il 20% gradisca l’una e l’altra, il 33% non avrebbe nulla
contro la prima (ciò che si aggiunge agli studi pubblicati da Paix liturgique
in Nove sondaggi per la storia: il 20% dei Cattolici praticanti assisterebbe
volentieri tutte le domeniche alla Messa tradizionale, se celebrata nella
propria parrocchia).
Negli Stati Uniti il numero dei
luoghi di culto tradizionali – al di fuori della Fraternità San Pio X, che qui
si sviluppa notevolmente – è più che raddoppiato. Non conosco i dati relativi
all’Italia, ma in Germania, Austria, Svizzera, si è passati da 42 luoghi
ufficiali di culto a 87. Si può dire senza tema d’errore che il numero di
località, nelle quali vengono talvolta celebrate più Messe domenicali, è
certamente raddoppiato nel mondo grazie al Motu Proprio di Benedetto XVI, senza
pregiudicare l’attività della Fraternità San Pio X. E, soprattutto, il numero
di Paesi, ove la Messa tradizionale viene officiata, è esploso: è oggi presente
nelle tre Diocesi dell’Indonesia, primo Paese musulmano al mondo, a Cuba, a
Singapore, in Lituania, in Zimbabwe, in Corea del Sud, ecc.
A questo incremento assoluto si
aggiunge l’aumento relativo nel nostro Occidente sempre più secolarizzato. In
Francia, ad esempio, il fenomeno è lo stesso di quello concernente i
seminaristi tradizionali: il loro numero è in crescita relativamente flebile,
ma regolare; ma la loro proporzione in rapporto ai seminaristi diocesani non
cessa di aumentare (la proporzione circa le ordinazioni è del 20%, una ogni
cinque). Allo stesso modo i luoghi di culto tradizionale aumentano in media di
dieci all’anno, ma la crescita proporzionale dei luoghi di culto straordinario
rispetto ai luoghi di culto ordinario aperti tutte le domeniche (da 10 a 20
mila) è necessariamente molto più importante, tenuto conto della scomparsa
continua di preti e la chiusura di chiese su tutto il territorio.
C’è, ciò nonostante, un punto nero:
contrariamente a ciò che chiede l’istruzione Universae Ecclesiae (n. 21), i
seminaristi diocesani non hanno sempre la possibilità di apprendere a celebrare
la Messa tradizionale nei loro seminari.
Qual è il vero spirito, la vera
anima del Pellegrinaggio “Summorum Pontificum”?
Questo Pellegrinaggio a Roma non è
una “manifestazione”, ma una testimonianza, tra altre iniziative, della
perpetua giovinezza propria della liturgia tradizionale. E’ prima di tutto un
atto di pietà, un momento di preghiera, d’azione di grazie e d’implorazione.
Il suo fine è quello di condurre
alla Tomba dell’Apostolo una rappresentanza di preti diocesani, religiosi,
membri della comunità tradizionale, fedeli, seminaristi di ogni provenienza,
che pratichino così come possono nel contesto della liturgia tradizionale.
Quest’anno, le comunità Ecclesia Dei, votate alla celebrazione della Messa
tradizionale, si associeranno in modo particolare a tali celebrazioni. Così
come l’anno scorso l’Istituto del Buon Pastore, che festeggiava il suo decimo
anniversario, aveva organizzato la celebrazione di una Messa nell’ambito del
Pellegrinaggio, così quest’anno i superiori della Fraternità di San Pietro e
dell’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote celebreranno la Messa
rispettivamente di domenica e di venerdì. Come sempre, comunque, i partecipanti
si uniranno liberamente alle cerimonie ed ai pii esercizi, provenendo da
parrocchie, associazioni, comunità religiose.
D’altronde è questo il motivo per
cui il Coetus Internationalis, la sigla promotrice, non vuole assolutamente
essere una federazione di associazioni o di movimenti: non esiste che per
render servizio nell’organizzare questo pellegrinaggio, al quale prende parte
chiunque lo voglia, senza iscrizioni preliminari, senza dover specificare di
quale appartenenza si sia, per assistere liberamente all’una o all’altra delle
cerimonie o, il che è ancor meglio, a tutte. Ciò permette una grande
flessibilità e fa in modo che specialmente i fedeli ed i preti appartenenti
alla Fraternità San Pio X possano parteciparvi tranquillamente.
Perché per i dieci anni dal Motu
Proprio Summorum Pontificum si è ritenuto opportuno anticiparne la data?
Perché, per questi dieci anni, la
Commissione pontificia Ecclesia Dei ci ha chiesto di organizzare il
pellegrinaggio a metà settembre e non a fine ottobre, prima della festa di Cristo
Re, affinché possa coincidere con i dieci anni dall’applicazione del Motu
Proprio, avvenuta il 14 settembre 2007. Così, corrispondendo agli auspici di
mons. Pozzo, due eventi congiunti si verificheranno in tale occasione: il
quinto colloquio Summorum Pontificum, organizzato da Giovani e Tradizione e
dall’Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum, il cui “direttore d’orchestra” è
Padre Vincenzo Nuara o.p. della Commissione Ecclesia Dei. Si terrà
all’Università “San Tommaso” giovedì 14 settembre.
Il colloquio si concluderà alla sera
con i Vespri pontificali celebrati nella chiesa dell’«Angelicum», Vespri che
costituiranno anche la prima cerimonia del pellegrinaggio, che proseguirà sino
a domenica, avendo quale momento culminante la processione dei pellegrini,
dirigentisi verso la Basilica di San Pietro attraverso le vie della Città
sabato 16, per partecipare alla Messa pontificale, che si svolgerà nella
Basilica vaticana alle ore 11.
In una società fortemente segnata
dal relativismo, riunire migliaia di laici e centinaia di sacerdoti a Roma in
preghiera per il Pellegrinaggio ha già in sé del miracoloso…
Sì, lo credo, dal momento che alcuni
vengono da lontano, da tutti i Paesi d’Europa, d’America, per portare questa
preghiera a Roma. Ciò che mi meraviglia in modo particolare è il numero di
sacerdoti presenti e specialmente l’affluenza di seminaristi sia in talare, sia
in abiti civili. Più in generale il dono di Dio, di cui il pellegrinaggio non è
che una delle cristallizzazioni, è la giovane età dei fedeli, che assistono
alla Messa tradizionale. Mons. Gullickson, Nunzio in Svizzera, ha scritto: «Due
documenti pontifici hanno avuto un impatto sulla mia vita: il primo è l’Humanae
Vitae, pubblicata da Paolo VI; l’altro è il Summorum Pontificum di Benedetto
XVI». Ed è vero che questi due documenti molto differenti per argomento, l’uno
in favore della santità del matrimonio, l’altro in favore della Messa, la Messa
e le famiglie, convergono.
Quale il rapporto con le gerarchie,
tanto a Roma per il pellegrinaggio quanto nelle singole Diocesi per il
coinvolgimento dei fedeli? Cosa vede in prospettiva?
A Roma bisogna sottolineare come la
generosità richiesta dai Motu Proprio successivi, Ecclesia Dei, Summorum
Pontificum, sia stata davvero applicata. Il pellegrinaggio, molto pacifico del
resto, è entrato a far parte delle consuetudini della Città eterna. Nelle
Diocesi del mondo, invece, sussistono situazioni di ogni tipo: dalla tranquilla
accettazione della liturgia tradizionale al suo rifiuto accompagnato da forme
di larvata persecuzione.
Di fatto, la richiesta della “Messa
in latino” fa parte di un movimento di fondo, che non si arresterà. Si guarda
oggi ad un Cattolicesimo nuovo, fatto di preti “identitari”, di fedeli in
maggioranza giovani, di famiglie molto praticanti, di comunità nuove, di
tradizionalismi diversi, di scuole cattoliche, di movimenti di giovani. Questo
Cattolicesimo rimane ancora minoritario, ma ha una capacità di mobilitazione
(ad esempio, in Francia la Manif pour Tous) che non hanno altre componenti
invecchiate e sfinite del corpo cristiano. La sensibilità liturgica
tradizionale – io dico sensibilità pensando al senso della fede e non ad un
attaccamento sentimentale – non è che una componente di questa domanda più
generale di “ritorno” dal punto di vista religioso ed anche sociale (Il Maggio
68 conservatore, secondo il titolo di Gaël Brustier). Ma questa sensibilità
genera un numero di futuri preti che è ben lungi dall’esser trascurabile ed,
allo stesso tempo, apporta una coscienza precisa della crisi, che affligge la
Chiesa.
Quanto all’insieme di questo
Cattolicesimo dal volto nuovo, presenta ancora un’omogeneità indecisa,
essenzialmente in quanto mancano pastori per infondervi un grande disegno, che
sia veramente riformatore e missionario. Per ora, le élites ecclesiastiche
fanno fatica a porsi in sintonia con esso, come se non sapessero in che modo uscire
dalla versione cattolica del maggio ’68, come se non sapessero leggere i «segni
dei tempi», ch’esse hanno così sovente invocato. Ora, questa reviviscenza
liturgica, che il Motu Proprio Summorum Pontificum ha consacrato dieci anni fa,
è in modo estremamente chiaro un segno dei tempi, uno dei segni dei tempi
nuovi.