Ringraziamo gli amici Maurizio e Fabio per la traduzione di questa bellissimo intervento.
L
Discorso tenuto il 10-2-2017
presso la St. James Academy a Lenexa, nello Stato del Kansas, in occasione
della seconda “Annual Defense of Faith Lecture”, organizzata dalla Regione di
Kansas City del Sovrano Militare Ordine di Malta (traduzione italiana a cura di
Maurizio Brunetti e Fabio Petito).
Introduzione
È un piacere, in qualità di Cardinale Patrono del Sovrano
Militare Ordine di Malta, presentare alla Regione di Kansas City la seconda Annual Defense of Faith Lecture. In particolare, è un piacere potervi dare avallo e supporto in vista della vostra missione principale: la difesa della fede e la cura del povero, specialmente dell’infermo. Che si tratti dell’uno o dell’altro ambito, per la vostra missione vi trovate a fronteggiare una sfida particolarmente impegnativa: rimanere fedeli a Cristo in un mondo che patisce una confusione dilagante e l’errore. Giustamente, attraverso la preghiera, la devozione e, soprattutto, la partecipazione alla Sacra Liturgia, puntate alla conversione personale, per essere poi in grado di portare Cristo nella nostra cultura che, un tempo cristiana, sta via via acquisendo tratti sempre più pagani. Uniti al Cuore Immacolato della Vergine Madre di Dio, affidate i vostri cuori al glorioso Cuore trafitto di Gesù, cercando lì la purificazione e le forze necessarie per restaurare le fondamenta di una cultura cristiana: il rispetto della dignità inviolabile della vita umana innocente; il rispetto dell’integrità del matrimonio e il suo incomparabile frutto – la famiglia – che è la culla della vita umana; il rispetto, infine, della libertà religiosa, che di una vita felice è condizione insostituibile.
Militare Ordine di Malta, presentare alla Regione di Kansas City la seconda Annual Defense of Faith Lecture. In particolare, è un piacere potervi dare avallo e supporto in vista della vostra missione principale: la difesa della fede e la cura del povero, specialmente dell’infermo. Che si tratti dell’uno o dell’altro ambito, per la vostra missione vi trovate a fronteggiare una sfida particolarmente impegnativa: rimanere fedeli a Cristo in un mondo che patisce una confusione dilagante e l’errore. Giustamente, attraverso la preghiera, la devozione e, soprattutto, la partecipazione alla Sacra Liturgia, puntate alla conversione personale, per essere poi in grado di portare Cristo nella nostra cultura che, un tempo cristiana, sta via via acquisendo tratti sempre più pagani. Uniti al Cuore Immacolato della Vergine Madre di Dio, affidate i vostri cuori al glorioso Cuore trafitto di Gesù, cercando lì la purificazione e le forze necessarie per restaurare le fondamenta di una cultura cristiana: il rispetto della dignità inviolabile della vita umana innocente; il rispetto dell’integrità del matrimonio e il suo incomparabile frutto – la famiglia – che è la culla della vita umana; il rispetto, infine, della libertà religiosa, che di una vita felice è condizione insostituibile.
Nell’ambito della vostra preghiera e dell’opera per la
trasformazione della nostra cultura, desidero riflettere su che cosa significhi
essere un cattolico nel mondo di oggi. Per ispirare e informare la nostra
preghiera, è importante esaminare la crisi della cultura cristiana nel nostro
tempo. Dobbiamo prendere atto della situazione oggettiva in cui essa si trova.
Al contempo, come cristiani, dobbiamo essere pieni di speranza e coraggio nella
nostra missione di costruire una cultura cristiana forte nelle nostre case,
nelle nostre comunità e nella nostra nazione. Dobbiamo confidare nel fatto che,
con l’ausilio della divina grazia che ci viene dal glorioso Cuore trafitto di
Gesù, trasformeremo l’odierna cultura popolare segnata da profonda confusione e
dall’errore e, perciò, anche da una mancanza di fede e di coraggio.
Nella mia presentazione di stasera, intendo riflettere sulla
crisi della cultura cristiana in Occidente, e sulla nostra chiamata a restaurarla,
nella fedeltà alla vocazione e alla missione cui noi tutti siamo consacrati mediante
i sacramenti del Battesimo e della Cresima e, per chi è sposato, del Santo
Matrimonio: la vocazione e la missione di dare nel mondo una testimonianza fedele,
generosa e disinteressata a Cristo. Questa è stata, naturalmente, la missione
del nostro Ordine sin dal suo inizio: proteggere i pellegrini cristiani diretti
in Terra Santa e accudire i malati, e – col passare del tempo – difendere il
cristianesimo dalla ripetuta minaccia di una dominazione musulmana.
Per prima cosa, traccerò il contesto del vivere la nostra vocazione
cristiana nel presente. Poi descriverò l’insegnamento della Chiesa sulla sacralità
della vita come forma di nuova evangelizzazione della nostra cultura, e mi
soffermerò in special modo sulla necessità di testimoniare le verità
riguardanti la sessualità umana. Infine affronterò un argomento di fondamentale
importanza per la famiglia intesa come agente primario per la trasformazione
della cultura: la responsabilità dei genitori come primi educatori dei propri figli.
1. La crisi della cultura
cristiana e le sue radici ideologiche
Papa Benedetto XVI (2005-2013), nell’allocuzione natalizia
rivolta nel 2010 al Collegio Cardinalizio, alla Curia Romana e al Governatorato
dello Stato Vaticano, si espresse con chiarezza e fermezza circa lo stato di
profondo disordine morale della nostra cultura. Il Pontefice parlò dei gravi mali
del nostro tempo, fra i quali, per esempio, gli abusi sessuali sui minori da
parte del clero, il mercato della pornografia minorile, il turismo sessuale e
il letale abuso delle droghe.
Riguardo ai gravi mali che affliggono il mondo nei nostri giorni,
Papa Benedetto XVI dichiarò che essi sono tutti
segni «[...] della dittatura di mammona che perverte l’uomo»[1],
la quale ha la sua origine nel «[...] di un fatale
fraintendimento della libertà, in cui proprio la libertà dell’uomo viene minata
e alla fine annullata del tutto»[2].
Di sicuro si tratta di manifestazioni di un modo di vivere etsi Deus non daretur, «come
se Dio non esistesse», per usare le parole di Papa san Giovanni Paolo II
(1978-2005)[3].
Sono manifestazioni
del peccato alla sua radice, che è l’orgoglio. È proprio a causa dell’orgoglio
se l’uomo manca di riconoscere come venga dalla mano di Dio tutto ciò che egli
è ed ha. Quel Dio che ci ha creato e che, dopo il peccato dei nostri
progenitori, ci ha redenti col Sangue Preziosissimo del suo Figlio unigenito.
Sono manifestazioni
della stoltezza di cercare la nostra libertà altrove che nella volontà di Dio,
finendo così schiavi di realtà create. Questa stoltezza si rivela in modo
particolarmente doloroso in una cultura fortemente caratterizzata da condotte
di dipendenza. Non riuscendo a trovare – com’è naturale che non si trovino – la
libertà e la felicità nelle cose create dove si era andati a cercarle, chiusi
nel nostro orgoglio, invece di ritornare all’obbedienza a Dio, preferiamo farci
ancora più schiavi di quella stessa cosa creata finché non ci distrugge.
2.
Ragione e fede nella conoscenza dei principi morali oggettivi
Più avanti, nella
stessa allocuzione, Papa Benedetto XVI ricordò il suo incontro nella
Westminster Hall col mondo della cultura, durante la sua visita pastorale nel
Regno Unito del settembre 2010. Le sue riflessioni, in quell’occasione,
riguardarono il «[...] giusto posto che
il credo religioso mantiene nel processo politico»[4].
Prendendo spunto dall’esempio di san Tommaso Moro (1478-1535), il Papa affrontò
in maniera diretta i «fondamenti etici
del discorso civile»[5].
Questi i termini in cui espose il punto di vista cattolico sull’argomento:
«La questione centrale in gioco, dunque, è la seguente: dove può essere
trovato il fondamento etico per le scelte politiche? La tradizione cattolica
sostiene che le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili
alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione. Secondo questa
comprensione, il ruolo della religione nel dibattito politico non è tanto
quello di fornire tali norme, come se esse non potessero esser conosciute dai
non credenti – ancora meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete,
cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione – bensì
piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce sull’applicazione della ragione
nella scoperta dei principi morali oggettivi»[6].
Papa Benedetto XVI notava
che il ruolo della religione nel discorso pubblico «non è sempre bene accolto»[7],
per varie ragioni che includono l’esistenza di forme distorte della religione
quali «il settarismo e il fondamentalismo».[8]
Egli osservava,
tuttavia, che tali distorsioni non giustificano l’esclusione della religione
dal discorso pubblico in quanto «la
ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata
dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente
della dignità della persona umana»[9].
Ciò che rimane vero e necessario è il giusto rapporto tra fede e ragione. «Per questo», concludeva il Santo Padre,
«vorrei suggerire che il mondo della
ragione ed il mondo della fede – il mondo della secolarità razionale e il mondo
del credo religioso – hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere
timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra
civiltà»[10].
Il discorso di Papa
Benedetto XVI terminava con un invito a salvaguardare e a far propria la giusta
relazione tra fede e ragione, essenziale per il perseguimento del bene comune,
del bene della società.
3. Discorso morale e sviluppo
umano
Nell’Enciclica Caritas in
Veritate, Papa Benedetto XVI espresse
la stessa preoccupazione in termini di sviluppo umano, indicando il danno arrecato
alla società in generale ove si escluda la religione dal discorso pubblico. Ecco
come descrisse gli effetti deleteri dei due atteggiamenti estremi (l’esclusione
della religione dalla vita pubblica e il fondamentalismo):
«L’esclusione della religione dall’ambito
pubblico come, per altro verso, il fondamentalismo religioso, impediscono l’incontro
tra le persone e la loro collaborazione per il progresso dell’umanità. La vita
pubblica si impoverisce di motivazioni e la politica assume un volto opprimente
e aggressivo. I diritti umani rischiano di non essere rispettati o perché
vengono privati del loro fondamento trascendente o perché non viene
riconosciuta la libertà personale. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde
la possibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la
ragione e la fede religiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla
fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi
onnipotente. A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata
dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano. La rottura di questo
dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità»[11].
Nella misura in cui sapremo ripristinare il rispetto per il
rapporto essenziale tra fede e ragione, potremo sperare sul futuro di una
cultura altrimenti destinata al declino.
I cristiani scoprono la vera relazione tra fede e ragione, il
vero concetto di ethos, di norma
morale, in Gesù Cristo; instaurando con Lui una relazione personale, giacché
Egli viene a incontrarci e a farsi un tutt’uno con noi nel suo Corpo mistico,
la Chiesa. La Madre del nostro Salvatore, nonché sua prima migliore discepola,
ci conduce a Lui, specialmente quando Questi si fa presente nei Sacramenti o
irrobustisce la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore in risposta
alle nostre preghiere e devozioni, prima fra tutte il Santo Rosario.
In Gesù Cristo, Dio e Figlio fattosi uomo, il cielo è sceso sulla
terra a dissipare l’oscurità dell’errore e del peccato, nonché a riempire le
nostre anime con la luce della verità e della bontà. Se viviamo in Cristo, unendo
il nostro al suo Sacratissimo Cuore, i fratelli e le sorelle tentati dalla
disperazione, persi nel mondo irreale del relativismo morale, troveranno nell’incontrarci
una guida per le loro vite e la speranza di cui erano desiderosi. Vivendo in
accordo alla verità che solo Cristo insegna nella sua Chiesa, diventiamo luce
per dissipare la confusione e l’errore all’origine dei molti e gravi mali
morali del presente. Allo stesso tempo, diamo testimonianza alla verità e alla
felicità che scaturisce dal vivere in accordo alla verità. In una lunga
intervista che ho rilasciato a Guillame d’Alancon, delegato episcopale per i
temi della vita e della famiglia nella diocesi di Bayonne in Francia, ho voluto
dare testimonianza alla verità oggettiva che ci rende liberi e che sottende la
nostra speranza[12]. Vivere
in Gesù Cristo è il nostro modo di contribuire al vero sviluppo umano che ogni
uomo, nel profondo del suo cuore desidera.
4. Sacralità della vita, il
programma per una nuova evangelizzazione
Per affrontare la sfida di vivere da cristiani in un mondo
totalmente secolarizzato, il beato Paolo VI e san Giovanni Paolo II ci hanno
chiamati a una nuova evangelizzazione. Il che comporta insegnare la fede,
celebrandola tanto nei Sacramenti quanto attraverso la preghiera e le devozioni,
e viverla mediante la pratica delle virtù come se fosse la prima volta; vale a
dire con lo stesso impegno ed energia dei primi discepoli e dei primi
evangelizzatori delle nostre terre. Davanti alla gravità dell’attuale
condizione del mondo, ci troviamo, come Papa san Giovanni Paolo II ci
ricordava, nella stessa situazione dei primi discepoli i quali, dopo aver
ascoltato il discorso di Pentecoste di Pietro gli chiesero: «Che dobbiamo fare?» (At 2,37). Come i primi evangelizzatori
che affrontarono un mondo pagano che non aveva mai sentito parlare di Nostro
Signore Gesù Cristo, così ci troviamo a fronteggiare una cultura incurante di
Dio e ostile alla Sua legge, invero inscritta nel cuore di ogni uomo (Rom 2,15). Dinanzi alle grandi sfide del
nostro tempo, Papa san Giovanni Paolo II ci ha ammonito sul fatto che non
salveremo noi stessi e il nostro mondo scoprendo qualche «formula magica» o «inventando
un nuovo programma»[13].
In termini inequivocabili dichiarava: «No, non una formula ci salverà, ma
una Persona, e la certezza che essa ci infonde:
Io sono con voi!»[14].
Ci ricordava, così, che il programma con il quale affrontare
efficacemente le grandi sfide spirituali del nostro tempo è Gesù Cristo, vivo
per noi nella Chiesa. «Il programma c’è
già», spiegava, «è quello di sempre, raccolto dal
Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo
stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e
trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste.
È un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se
del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione
efficace»[15].
In breve, il programma che conduce alla libertà e alla felicità è,
per ciascuno di noi, la santità di una vita vissuta in Cristo. Papa san
Giovanni Paolo II, infatti, pose l’intero piano pastorale per la Chiesa in
termini di santità:
«In realtà, porre la programmazione
pastorale nel segno della santità è una scelta gravida di conseguenze.
Significa esprimere la convinzione che, se il Battesimo è un vero ingresso
nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del
suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta
all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale.
Chiedere a un catecumeno: “Vuoi ricevere il Battesimo?” significa al tempo
stesso chiedergli: “Vuoi diventare santo?”. Significa porre sulla sua strada il
radicalismo del discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il
Padre vostro celeste” (Mt, 5,48)»[16]. Proseguendo, san Giovanni
Paolo II evocava il Concilio Ecumenico Vaticano II: «Questo ideale di perfezione non va equivocato come se implicasse una
sorta di vita straordinaria, praticabile solo da alcuni “geni” della santità»[17].
Papa san Giovanni Paolo II voleva insegnarci la straordinarietà della
nostra vita quotidiana, poiché, se vissuta in Cristo, produce in noi l’incomparabile
bellezza della santità. Egli dichiarava: «È ora di riproporre a tutti con
convinzione questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria: tutta la vita
della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa
direzione»[18].
Scorgendo in noi quella conversione quotidiana della vita tramite
cui ci sforziamo di approdare a un elevato standard
di santità, la misura alta della vita
cristiana ordinaria, il nostro prossimo scoprirà il grande mistero della
propria vita ordinaria, lungo la quale Dio concede quotidianamente il suo
incessante e incommensurabile amore, chiamandoli alla santità della vita in
Cristo, suo Figlio unigenito.
Nel novembre del 2010, in occasione del pellegrinaggio all’antico
santuario spagnolo di san Giacomo il Maggiore a Compostela, Papa Benedetto XVI
ha esortato gli europei a riconoscere il grande dono dell’amore di Dio al
mondo, Gesù Cristo, e a seguirlo nella santità di vita. Le sue parole rivolte
ai fedeli d’Europa, che si sono assuefatti all’incuranza nei confronti di Dio e
persino all’ostilità alla Sua legge, possono applicarsi anche ad altre nazioni
scristianizzate come la nostra. Le sue parole sono ulteriormente illuminate dal
contesto del suo pellegrinaggio, in quanto il vero scopo di un pellegrinaggio è
aprire i nostri occhi su quel grande mistero che è l’amore di Dio nelle nostre
vite; in modo da accorgersi di quanto straordinaria sia la propria vita di
tutti i giorni. Ascoltiamo le parole di Papa Benedetto XVI:
«Dio è l’origine del nostro essere e
il fondamento e culmine della nostra libertà, non il suo oppositore. Come l’uomo
mortale si può fondare su se stesso e come l’uomo peccatore si può riconciliare
con se stesso? Come è possibile che si sia fatto pubblico silenzio sulla realtà
prima ed essenziale della vita umana? Come ciò che è più determinante in essa
può essere rinchiuso nella mera intimità o relegato nella penombra? Noi uomini
non possiamo vivere nelle tenebre, senza vedere la luce del sole. E, allora,
com’è possibile che si neghi a Dio, sole delle intelligenze, forza delle
volontà e calamita dei nostri cuori, il diritto di proporre questa luce che
dissipa ogni tenebra? Perciò, è necessario che Dio torni a risuonare
gioiosamente sotto i cieli dell’Europa; che questa parola santa non si pronunci
mai invano; che non venga stravolta facendola servire a fini che non le sono
propri. Occorre che venga proferita santamente. È necessario che la percepiamo
così nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e
nelle difficoltà che gli anni portano con sé»[19].
Le parole del Santo Padre chiariscono il dinamismo inerente alla
vita dello Spirito Santo dentro di noi. Quello che sprona a dare testimonianza
del mistero dell’amore di Dio nelle nostre vite, in modo che le nostre vite
siano orientate ancor più pienamente verso Cristo e il nostro mondo si
trasformi.
5. La santità della vita e l’importanza
del testimoniare la verità sulla sessualità umana
Qui è importante fare chiarezza sulla relazione che c’è tra la
crescita nella santità e la pratica delle virtù della purezza, della castità, della
modestia, ovvero, il vivere la verità riguardo la sessualità e la vita umana.
Che senso ha parlare del nostro amore verso Dio e verso il prossimo, quando non
rispettiamo l’ordine che Dio ha posto nella natura e nei nostri cuori? È
significativo che Papa Benedetto XVI, nella sua enciclica Caritatis in Veritate, abbia fatto uno specifico riferimento all’enciclica
di Papa Paolo VI «per delineare il senso pienamente
umano dello sviluppo proposto dalla Chiesa»[20]. Papa Benedetto ha precisato
che l’insegnamento di Humanae Vitae non
attiene semplicemente alla moralità individuale:
«Humanae Vitae indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed
etica sociale, inaugurando una tematica magisteriale che ha via via preso corpo
in vari documenti, da ultimo nell’Enciclica Evangelium vitae»[21].
Papa Benedetto XVI ci ha ricordato quanto la retta comprensione
della sessualità sia essenziale in vista della santità della vita, che è poi l’indice
più genuino dello sviluppo umano. Nel trattare globalmente la questione della
procreazione, Papa Benedetto XVI ha evidenziato il carattere decisivo di una
retta comprensione della sessualità umana, del matrimonio e della famiglia:
«La Chiesa, che ha a cuore il vero
sviluppo dell’uomo, gli raccomanda il pieno rispetto dei valori umani anche
nell’esercizio della sessualità: non la si può ridurre a mero fatto edonistico
e ludico, così come l’educazione sessuale non si può ridurre a un’istruzione
tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali
contagi o dal « rischio » procreativo. Ciò equivarrebbe ad impoverire e
disattendere il significato profondo della sessualità, che deve invece essere
riconosciuto ed assunto con responsabilità tanto dalla persona quanto dalla
comunità»[22].
Per il futuro della cultura occidentale sarà decisivo il
ripristino del rispetto per l’integrità dell’atto coniugale e la promozione di
una cultura della vita. «Diventa una
necessità sociale», affermava Papa Benedetto XVI, «proporre
ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la
rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità
della persona»[23].
Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che «la cosiddetta permissività dei
costumi si basa su una erronea concezione della libertà umana»,
e che «la libertà, per costruirsi, ha
bisogno di lasciarsi educare preliminarmente dalla legge morale»[24]. Come appare chiaro dalle
considerazioni su esposte, la libertà individuale e la libertà della società in
generale, dipende da una fondamentale educazione nella verità in merito alla
sessualità umana e all’esercizio di quella verità in una vita pura e casta. Il
Catechismo della Chiesa Cattolica prosegue osservando quanto segue: «È necessario chiedere ai responsabili dell’educazione di impartire alla
gioventù un insegnamento rispettoso della verità, delle qualità del cuore e
della dignità morale e spirituale dell’uomo»[25]. Per il cristiano, si tratta
dell’educazione alla santità della vita alla sue reali fondamenta, al rispetto
dovuto alla dignità inviolabile di sé, del corpo e dell’anima, e degli altri al
pari di se stessi.
6. Il compito cruciale dei
genitori quali primi educatori dei loro figli
L’educazione in casa e a scuola è l’insostituibile strada per
guidare i nostri figli e la gioventù sulla via della felicità in vista della
quale Dio ha creato ognuno di noi. Con l’aiuto di una sana educazione a casa e a
scuola – l’unica capace di trasformare una cultura – i bambini sperimenteranno
la felicità sia durante i giorni del pellegrinaggio terreno sia nell’eternità in
Paradiso, che del loro pellegrinaggio è la meta. Luogo primo dell’educazione è
la famiglia, poi viene la scuola, essenzialmente correlata alla prima. Nella Familiaris Consortio, l’Esortazione
apostolica post-sinodale sulla famiglia del 1981, Papa san Giovanni Paolo II si
espresse così riguardo al matrimonio cristiano, alla famiglia e alla chiamata
all’evangelizzazione: «La famiglia cristiana, infatti, è la
prima comunità chiamata ad annunciare il Vangelo alla persona umana in crescita
e a portarla, attraverso una progressiva educazione e catechesi, alla piena maturità
umana e cristiana»[26]. L’educazione cristiana
nella famiglia e nella scuola instrada i bambini e la gioventù in modo vieppiù
profondo verso la Tradizione, presenta loro il grande dono della nostra vita in
Cristo tramandataci fedelmente in modo ininterrotto attraverso gli apostoli ed
i loro successori. L’educazione, per dirsi sana, cioè finalizzata al bene dell’individuo
e della società, dev’essere specialmente attenta ad armarsi contro gli errori
del laicismo e del relativismo. Alto è il rischio di non riuscire a comunicare
alle nuove generazioni la verità, la bellezza e la bontà della nostra vita e
del nostro mondo, così come espresse nell’insegnamento immutabile della fede,
nella sua più alta espressione tramite la preghiera, la devozione, il culto
divino, e la santità della vita di coloro che professano la fede e l’amore per
Dio «in spirito e verità» (Gv 4,24).
La Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum Educationis, promulgata nel corso del Concilio Vaticano
II, puntualizza che la responsabilità primaria dell’educazione dei bambini
appartiene ai genitori, i quali fanno affidamento su buone scuole per
assisterli nel fornire ogni aspetto dell’educazione globale dei loro figli che
essi non siano in grado di impartire a casa. Quando si cita la prole come a uno
dei beni essenziali del matrimonio, ci si riferisce tanto alla procreazione
quanto all’educazione del bambino. Cito dalla Gravissimum Educationis:
«I genitori, poiché han trasmesso la
vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto
considerati come i primi e i principali educatori di essa. Questa loro funzione
educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita.
Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera
vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce
l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è
dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società.
Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze
del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a
percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, conformemente
alla fede che han ricevuto nel battesimo»[27].
Certamente anche la società in generale, e la Chiesa in
particolare, hanno la responsabilità dell’educazione dei bambini e dei giovani,
ma tale responsabilità deve essere sempre esercitata nel rispetto verso quella primaria
dei genitori. Questi ultimi, da parte loro, dovrebbero essere pienamente
coinvolti in qualunque tipo di servizio educativo fornito dalla società e dalla
Chiesa. I bambini e i giovani non dovrebbero essere disorientati o condotti all’errore
da un’educazione ricevuta al di fuori delle mura domestiche, che si ponga in
conflitto con quella impartita in famiglia. Oggi i genitori devono essere
particolarmente vigilanti visto che, purtroppo, in alcune località le scuole
sono diventate strumento al servizio di un’agenda laicista nemica della vita
cristiana. Si pensi, per esempio, alla cosiddetta educazione gender che, in alcune scuole, è obbligatoria. Si tratta
di un attacco diretto alle basi su cui il matrimonio si fonda e, quindi, contro
la famiglia. Lo scorso dicembre ho parlato con una giovane madre cattolica il
cui figlio maggiore si è diplomato a maggio. Mi ha detto che su di un modulo d’iscrizione
a una delle nostre università più prestigiose, viene chiesto: che genere hai
scelto per il primo semestre? E c’erano ben venticinque opzioni.
Per il bene dei nostri giovani dobbiamo prestare particolare
attenzione a questa espressione fondamentale della nostra cultura che è il
sistema educativo. Buoni genitori e bravi cittadini dovranno vigilare sui programmi
che le scuole intendono proporre, nonché la vita che, più in generale, si
svolge al loro interno, al fine di assicurarsi che i nostri figli vengano formati alle virtù umane e cristiane e
non deformati da un indottrinamento
orientato alla confusione e all’errore concernente le principali verità
fondamentali della vita umana e della famiglia. Tali errori conducono alla
schiavitù del peccato causando, quindi, profonda infelicità e distruzione della
cultura. Oggi, purtroppo, sentiamo per esempio il bisogno di parlare di
«matrimonio tradizionale» come se fossero possibili altri tipi di matrimonio.
In realtà, esiste solo un tipo di matrimonio. È quello che Dio ci ha donato al
momento della creazione, e che Cristo ha redento con la sua passione salvifica
e la morte.
L’educazione impartita prima di tutto a casa e poi arricchita e
completata in via sussidiaria dalla scuola – soprattutto in quelle veramente cattoliche
– è diretta in buona sostanza alla formazione di buoni cittadini e di buoni
membri della Chiesa. In definitiva essa mira alla felicità della persona.
Questa discende dalla rettitudine delle relazioni e trova il suo compimento
nella vita eterna. Essa presuppone la natura oggettiva delle cose cui il cuore
umano, se addestrato ad attenersi a una coscienza rettamente formata, rimane
orientato. Essa punta a una conoscenza e un amore del vero, del bene e del
bello sempre più profondi. Forma la persona a continuare questa ricerca
fondamentale nel corso di tutta la sua vita.
7. Conclusione: Santità di
vita e martirio per la fede
Testimoniare una santità di vita significa, in una forma o nell’altra,
il martirio. Usando le parole della Sacra Scrittura, consiste nel morire a se
stessi per vivere in Cristo (cfr. 2 Cor
5,15 e 1 Pt 2,24). Quando sentiamo la
parola martirio, tendiamo a pensare esclusivamente a coloro che hanno versato il
loro sangue per amore di Cristo, che sono stati uccisi per odio a Cristo e alla
fede cristiana. I martiri di sangue danno la più alta possibile delle
testimonianze e ci fanno da modelli per quella che diamo quotidianamente al nostro
amore per Cristo, pur non essendo noi necessariamente chiamati a versare il sangue
come hanno fatto loro. Il martirio li rende meritevoli di procurarci molte
grazie per la nostra vita quotidiana. A fronte dell’avanzata di un’agenda contro
la vita e contro la famiglia sempre più aggressiva, peraltro promossa da molti fra
coloro che detengono le leve del potere, noi preghiamo, per intercessione della
Vergine Madre di Dio, san Giuseppe e tutti i santi, affinché possiamo essere
fedeli e coraggiosi nell’amare Cristo in ogni fratello e sorella, specialmente
i più bisognosi, coloro che il Signore ha chiamato «i più piccoli» fra i suoi fratelli (Cfr. Mt 25, 40.45).
Dinanzi ai guasti nella vita familiare, all’attacco di massa alla
vita umana innocente e indifesa, alla violazione dell’integrità dell’unione matrimoniale,
nonché alla negazione dell’indispensabile libertà religiosa, la chiamata al
martirio della testimonianza è ancora più pressante. Riflettendo in modo esteso
sullo stato critico della cultura cristiana e su come dobbiamo reagire, in
accordo alla chiamata alla santità della vita e al martirio della fede, per il
bene della nostra stessa salvezza e la salvezza del mondo, riconosciamo che è grazie
a Cristo che ci è possibile perseguire la salvezza ed essere veri martiri. È
nel seguirlo con fede e senza riserve che portiamo la luce della verità del
nostro mondo. Allo stesso tempo, Egli è con noi sempre (cfr. Mt 28,20) come ci ha promesso, per
sostenerci con la Sua grazia, attraverso lo Spirito Santo. Questo è il senso
fondamentale della natura militare del nostro ordine: essere, utilizzando le
parole di san Paolo, soldati di Cristo, combattere la buona battaglia, correre
la propria corsa fino alla fine e serbare la fede (cfr. Tm 4,7).
La vita del martire della fede trova il suo centro e la sua fonte
nel sacrificio eucaristico, nell’adorazione e in tutte le altre forme di devozione
eucaristica, specialmente le visite al Santissimo Sacramento e la comunione spirituale
nel corso dell’intera giornata. La comunione con il Signore nel Sacrificio
eucaristico viene esteso tramite la devozione eucaristica, a ogni aspetto e a
ogni momento della nostra vita.
La Beata Vergine Maria è il nostro modello e anche nostro grande
intercessore nel dare fedele e generosa testimonianza a Cristo. Lei è una di
noi. Lei condivide pienamente la nostra natura umana, per volontà di Dio è
stata preservata da qualunque macchia di peccato sin dal momento del suo
concepimento. Lei è stata sin dal primo momento, ed è rimasta, sempre
totalmente in Cristo. San Giovanni Paolo II, nella sua enciclica Veritatis Splendor, ci ricorda l’insostituibile
ausilio offertoci della nostra Beata Madre perché noi si dia quella testimonianza
che, poi, è il martirio:
«Maria condivide la nostra condizione
umana, ma in una totale trasparenza alla grazia di Dio. Non avendo conosciuto
il peccato, ella è in grado di compatire ogni debolezza. Comprende l’uomo
peccatore e lo ama con amore di Madre. Proprio per questo sta dalla parte della
verità e condivide il peso della Chiesa nel richiamare a tutti e sempre le
esigenze morali. Per lo stesso motivo non accetta che l’uomo peccatore venga
ingannato da chi pretenderebbe di amarlo giustificandone il peccato, perché sa che
in tal modo sarebbe reso vano il sacrificio di Cristo, suo Figlio. Nessuna
assoluzione, offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche,
può rendere l’uomo veramente felice: solo la Croce e la gloria di Cristo
risorto possono donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita»[28].
Possa la Beata Vergine Maria intercedere per noi affinché
ciascuno di noi possa essere vero e fedele testimone del Cristo vivo. Possiamo
noi volgerci sempre a lei, così che possa condurci a suo Figlio con il suo
materno consiglio, dato ai dispensatori del vino alla festa di matrimonio a
Cana: «Fate quello che vi dirà» (Gv 2,5). Possa Egli trasformare le
nostre vite e il nostro mondo. Possa Egli confermarvi nella vostra missione di promuovere
e salvaguardare una cultura cristiana nelle vostre case, nelle vostre comunità
e nella nostra amata patria.
Grazie per la vostra gentile attenzione. Che Dio benedica voi e
le vostre case.
[1] Benedetto XVI, Discorso
ai Cardinali, Arcivescovi, e Vescovi, Prelatura Romana, per la presentazione
degli auguri natalizi, del 20-12-2010
(http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2010/december/documents/hf_ben-xvi_spe_20101220_curia-auguri.html).
[2] Ibidem.
[3] Giovannni Paolo II, Esortazione apostolica
post-sinodale «Christifideles Laici»
del 30-12-1988, n. 34.
[4] Benedetto XVI, Discorso in occasione dell’incontro
con le autorità civili, del 17-9-2010 (https://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2010/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20100917_societa-civile.html).
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11] Benedetto XVI, Lettera Enciclica «Caritas
in veritate», del 29-6-2009, n. 56 (http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html).
[12] Cfr. Raymond Leo Burke e Guillaume d’Alançon, Hope for the
World: To Unite All Things in Christ, trad. ing., Ignatius Press, San
Francisco 2016.
[13] Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica «Novo
millennio ineunte», del 6-1-2001, n. 29.
[14] Ibidem.
[15] Ibidem.
[16] Ibid. n. 31.
[17] Ibidem.
[18] Ibidem.
[19] Benedetto XVI, Omelia
del corso della Santa Messa celebrata in occasione dell’Anno
Santo Compostelano nella Plaza del Obradoiro a Santiago de Compostela, del 6-11-2010.
[20] Idem, Lettera Enciclica «Caritas in veritate», doc. cit., n. 15.
[21] Ibid., n. 22.
[22] Ibid., n. 44.
[23] Ibidem.
[24] Catechismo della Chiesa Cattolica, n.
2526.
[25] Ibidem.
[26] Giovanni Paolo II, Esortazione post-sinodale
«Familiaris consortio», del 22-11-1981, n. 2.
[27] Concilio Ecumenico Vaticano II, Dichiarazione sull’educazione
cristiana «Gravissimum educationis», del 28-10-1965, n. 3.
[28] Giovanni Paolo II, Lettera
enciclica «Veritatis splendor», del 6-8-1993, n. 120.
In una Chiesa ormai divisa, divenuta un coacervo di sette e movimenti difformi, ognuna delle quali pretende di essere ispirata, vi sono ancora uomini coraggiosi che sfidando i regolamenti polizieschi bergogliani, vanno nel mondo a proclamare l'autentica dottrina cattolica. I tanti sacerdoti di vera fede si uniscano a loro e con coraggio confondano gli apostati; il popolo aprirà gli occhi e capirà di essere ingannato dal narcisismo sovversivo degli pseudo profeti.
RispondiEliminaConcordo. Però secondo me il popolo ha già "aperto gli occhi", e non ha alcun bisogno del clero per aprirli ulteriormente. La stragrande maggioranza del clero si è arresa: chi per fare più velocemente carriera, chi per codardia. Temo che l'iniziativa debba partire dai noi fedeli, "dall'alto" sarebbe già dovuta partire e non è successo nulla, ormai i sacerdoti hanno capito bene che Bergoglio sta cancellando la cattolicità, avrebbe già dovuto esserci un'iniziativa. Mi duole dirlo ma i vescovi hanno deluso, oltretutto Bergoglio è uno di quelli che "l'obbedienza non è più una virtù", per cui non si capisce perché i vescovi non si ribellino a costui. Il dato grottesco è che nelle altre religioni (chiamiamole così per capirci) c'è un irrigidimento, non ci si arrende alla modernità, e i relativi fedeli aumentano, gli unici pappamolle siamo noi cattolici. Comunque sia chiaro, chi ha tradito è il clero non il popolo cattolico, lo stesso Ratzinger si è dimesso, no, dico... dimesso!
EliminaUn cardinale firmatario dei Dubia e' scomparso ieri...rip.
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