Mala tempora currunt
L
Settimo Cielo 31-3-17
Tra i sacerdoti nati nella diocesi di Carpi, che papa Francesco visiterà domenica 2 aprile, ce n'è uno che gli dà del filo da torcere.
Si chiama Roberto A. Maria Bertacchini. È cresciuto alla scuola di tre gesuiti di prima grandezza: i padri Heinrich Pfeiffer, storico dell'arte e docente alla Gregoriana, Francesco Tata, già provinciale della Compagnia di Gesù in Italia, e Piersandro Vanzan, scrittore di spicco de "La Civiltà Cattolica". Studioso di Agostino, è autore di libri e saggi su riviste di teologia. È stato ordinato sacerdote nel 2009 da Carlo Ghidelli, rinomato biblista e arcivescovo ora emerito di Lanciano-Ortona, la diocesi nella quale è incardinato.
La scorsa settimana don Bertacchini ha inviato a Francesco e al cardinale Gerhard L. Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, un "Promemoria" di sei pagine molto critico delle tesi esposte in una recente intervista dal nuovo preposito generale della Compagnia di Gesù, il venezuelano Arturo Sosa Abascal, vicinissimo al papa.
Sono tesi, scrive don Bertacchini, "di una gravità tale che non si possono passare sotto silenzio senza farsene complici", perché rischiano di "sfociare in un cristianesimo senza Cristo".
Il testo integrale del "Promemoria" è in quest'altra pagina di Settimo Cielo:
Mentre qui di seguito ne è riportata una sintesi.
L'intervista del generale dei gesuiti criticata da don Bertacchini è quella rilasciata al vaticanista svizzero Giuseppe Rusconi e pubblicata sul blog Rossoporpora lo scorso 18 febbraio, dopo che era stata controllata parola per parola dallo stesso intervistato.
Settimo Cielo ne diede un ampio resoconto in più lingue.
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PROMEMORIA
sull'intervista del generale dei gesuiti circa l'inattendibilità dei Vangeli
di Roberto A. Maria Bertacchini
Il generale dei gesuiti a febbraio ha rilasciato un’intervista dove insinua che le parole di Gesù sull’indissolubilità del matrimonio non siano un punto di stabilità teologica, bensì un punto di partenza della dottrina, che dovrà poi essere convenientemente sviluppato. Ciò che – al limite – potrebbe anche avvenire sostenendo l’esatto contrario, ossia la compatibilità del divorzio con la vita cristiana. Tale iniziativa ha a mio avviso innescato una situazione esplosiva.
Naturalmente Arturo Sosa Abascal S.I. è molto accorto a non cadere in eresia conclamata. E questo, in un certo senso, è anche più grave. Occorre dunque riassumere il filo del suo ragionamento.
La domanda che pone è se gli evangelisti siano attendibili e dice: bisogna discernere. Dunque non è detto che lo siano. Un’affermazione così grave andrebbe argomentata in lungo e in largo, perché si può anche ammettere l’errore in un dettaglio narrativo; ma revocare in dubbio la veridicità di insegnamenti dottrinali di Gesù è altra questione.
Sia come sia, il nostro gesuita non entra nel merito, ma – molto abilmente – si appella al papa. E siccome Francesco, trattando di coppie separate e quant’altro, fino al momento dell'intervista non aveva mai citato passi nei quali Gesù richiamava all’indissolubilità matrimoniale, il messaggio implicito del nostro gesuita era lampante: se il papa non cita quei passi, significa che ha fatto discernimento e li ritiene non gesuani. Dunque non sarebbero vincolanti. Ma tutti i papi hanno insegnato in modo opposto! Che importa? Si saranno sbagliati. Oppure avranno detto e insegnato cose giuste per il loro tempo, ma non per il nostro.
Sia chiaro: l’esimio gesuita non dice questo "apertis verbis", ma lo insinua, lo lascia intendere. E così dà una chiave interpretativa della pastorale familiare del papa, questa: che si discosta dall’insegnamento tradizionale. Infatti, oggi “sappiamo” che molto probabilmente, anzi, quasi certamente, Gesù non ha mai insegnato che il matrimonio è indissolubile. Sono gli evangelisti che hanno capito male.
Un cristianesimo senza Cristo?
La questione è di una gravità tale che non si può passare sotto silenzio, senza farsene complici. Il rischio è di sfociare in un cristianesimo riduttivo del messaggio gesuano, ossia in un cristianesimo senza Cristo.
Nel Vangelo della messa del 24 febbraio scorso v’era il brano di Mc 10, 2-12 sul ripudio. Ebbene è accettabile pensare che non si sa se Gesù abbia proferito quelle parole, e che esse non sarebbero vincolanti?
Il "sensus fidei" ci dice che gli evangelisti sono attendibili. Invece, il nostro generale dei gesuiti rifiuta questa attendibilità, per giunta disinteressandosi del fatto che anche san Paolo aveva ricevuto dalla Chiesa questa dottrina come gesuana, e come tale la trasmetteva alle sue comunità: "Agli sposati ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito e, qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito, e il marito non ripudi la moglie" (1 Cor 7, 10,11).
La coerenza di tale passo con i testi dei Vangeli sinottici sul ripudio e sull’adulterio è troppo chiara. E sarebbe assurdo immaginare che essi dipendano da Paolo e non da tradizioni pre-pasquali. Non solo. In Ef 5, 22-33 Paolo riprende il medesimo insegnamento di Gesù e lo rafforza pure. Lo riprende, perché cita il medesimo passo della Genesi citato da Gesù; lo rafforza, perché il Cristo ama la Chiesa in modo indissolubile, sino a dare la sua vita, e oltre la vita terrena. E di tale fedeltà Paolo fa il modello della fedeltà coniugale.
Perciò è del tutto chiaro che vi sia un’evidente continuità d’insegnamento tra la predicazione pre-pasquale e quella post-pasquale; ed è pure chiara la discontinuità col giudaismo, che invece conservava l’istituto del ripudio. Ma se san Paolo stesso fonda su Cristo tale discontinuità, ha senso mettere in dubbio i Vangeli? Da dove viene quel salto che ispirò la prassi della Chiesa antica, se non da Cristo?
Si noti che anche in ambiente greco-romano il divorzio era ammesso, e in più esisteva l’istituto del concubinato, che senza difficoltà poteva sfociare in un successivo legame coniugale, come attesta per esempio la vicenda di sant’Agostino. E in storiografia vale il principio che un’inerzia culturale non si cambia senza causa. Perciò, essendo il cambiamento storicamente attestato, quale la causa se non Gesù? Se poi essa fu il Cristo, perché dubitare dell’attendibilità dei Vangeli?
Infine, se Gesù non disse quelle parole, da dove nasce il commento drastico dei discepoli ("Ma allora non conviene sposarsi!") in Mt 19, 10? Tra quei discepoli vi era anche Matteo, e non fanno una bella figura: si dimostrano tardi a comprendere e attaccati alle tradizioni che Gesù contesta. Dunque, da un punto di vista storiografico, la pericope di Mt 19, 3-12 è del tutto attendibile: e tanto per motivi di critica interna che esterna.
L'orizzonte dogmatico
D’altra parte, affermare che non si sa se Gesù abbia effettivamente proferito quelle parole e che, in buona sostanza, esse non sarebbero vincolanti è, "de facto", un’eresia, perché si nega l’ispirazione della Scrittura. 2 Tm 3 è chiarissimo: "Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia".
"Tutta" include evidentemente anche Mt 19, 3-12. Altrimenti si attesta che vi sia una parola "altra", prevalente sulla Scrittura stessa e sulla sua ispirazione. Infatti, affermata l’inattendibilità di alcune parole di Gesù, è come aprire una fessura nella diga della "fides quae", fessura che porterà l'intera diga a disgregarsi. Esemplifico:
a) Se Gesù non ha detto quelle parole, gli evangelisti non sono attendibili. E, se non sono attendibili, non sono veraci; ma, se non sono veraci, neppure possono essere ispirati dallo Spirito Santo.
b) Se Gesù non ha detto quelle parole, avrà davvero detto tutte le altre che prendiamo per buone? Chi è inattendibile su una questione innovativa, potrebbe esserlo pure su altre parimenti tali, come la risurrezione. E se, per dare il sacerdozio alle donne, "La Civiltà Cattolica" non esita a porre in discussione un magistero solenne invocato come infallibile, non sarà il caos? A quale autorità biblica appellarsi, se gli esegeti stessi sono perennemente e sempre più divisi? Ecco in che senso la diga frana.
E non è finita, perché seguendo i dubbi del generale gesuita, non ci si mette sotto i piedi solo san Paolo, ma anche il Vaticano II. Infatti, ecco cosa si legge in "Sacrosasnctum Concilium" 7:
"Cristo è sempre presente nella sua Chiesa […]. È presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura".
Siccome i passi sull’indissolubilità matrimoniale sono letti nella messa, e precisamente: Mc 10, 2-12 nel venerdì della VII settimana del tempo ordinario e nella domenica XXVII dell'anno B, Mt 19, 3-12 nel venerdì della XIX settimana del tempo ordinario e Mt 5, 27-32 nel venerdì della X settimana, ne segue che il Vaticano II attribuisce in modo certo all’autorità di Gesù quelle parole.
Sicché chi segue i dubbi del generale gesuita non sconfessa solo il Vaticano II e per giunta in una costituzione dogmatica, ma dubita della Tradizione al punto da rendere astratta e irraggiungibile la stessa autorità di Gesù maestro. Perciò siamo di fronte a un vero e proprio bombardamento a tappeto, davanti al quale è assolutamente necessaria la più ferma delle reazioni.
Concludendo, la transizione da una religiosità della legge a una del discernimento è sacrosanta, ma è ricca di insidie. Essa esige una formazione cristiana d’eccellenza, oggi purtroppo rara. E anche che si abbia vero amore e deferenza verso la Parola divina.
In ogni caso, se si liscia il pelo al mondo, col solo fine di evitare conflitti e persecuzioni, non si è solo vili, si è totalmente fuori dal Vangelo, che esige franchezza e fortezza in difesa della Verità. Gesù non ha temuto la croce, né gli apostoli. San Paolo, poi, è chiaro:
"Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo" (Gal 6, 12).
Essere circoncisi voleva dire per un verso rientrare nella religiosità riconosciuta da Roma come legittima, e per un altro compiacere il pensiero corrente. San Paolo sa che la vera circoncisione è quella del cuore, e non cede.
Carpi, 19 marzo 2017
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Una postilla. Nel testo integrale del "Promemoria", don Bertacchini scrive che papa Francesco, il 24 febbraio, pochi giorni dopo la pubblicazione dell'intervista di padre Sosa, "ha riprovato le posizioni del generale gesuita" dedicando l'intera sua omelia in Santa Marta – cosache non aveva mai fatto in precedenza – al passo del Vangelo di Marco con le nettissime parole di Gesù su matrimonio e divorzio.
Nell'omelia, a giudizio di don Bertacchini, Francesco avrebbe contestato i dubbi di padre Sosa, evidenziando che "Gesù rispose ai farisei quanto al ripudio, e dunque l’evangelista è attendibile".
Propriamente, però, il commento di papa Francesco a quel passo del Vangelo di Marco è apparso piuttosto tortuoso, a giudicare dai resoconti autorizzati dell'omelia pubblicati dalla Radio Vaticana e da "L'Osservatore Romano".
A un certo punto, infatti, il papa è addirittura arrivato a dire che "Gesù non risponde se [il ripudio] sia lecito o non sia lecito".
E anche dove il papa polemizza – giustamente, scrive don Bertacchini – con quella che chiama la "casistica", affiora una contraddizione. Perché che cosa fa di diverso "Amoris laetitia", quando sollecita a discernere caso per caso chi ammettere alla comunione e chi no, tra i divorziati risposati che vivono "more uxorio"?
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