Un bellissimo testo di Joseph Ratzinger ripubblicato l'anno scorso dagli amici di Romualdica
Romualdica 25-3-2016
L’immagine di Cristo crocifisso, che sta al centro della liturgia del Venerdì Santo, manifesta tutta la serietà della sofferenza, dello smarrimento e del peccato dell’uomo. E tuttavia, lungo i secoli della storia della Chiesa, è stata sempre percepita come immagine di consolazione e di speranza. L’Altare di Isenheim di Matthias Grünewald, forse l’immagine della croce più toccante di tutta la cristianità, si trovava in un convento di Antoniani nel quale venivano curati quelli che erano stati colpiti dalle terribili epidemie che flagellarono l’Occidente nel tardo Medioevo.
Il Crocifisso è raffigurato come uno di loro, l’intero suo corpo piagato e coperto dai bubboni della peste, il più oscuro male del tempo. Si avverano in lui le parole del profeta: è ricoperto dai nostri bubboni. I monaci pregavano di fronte a questa immagine con i loro malati, che trovavano consolazione nel riconoscere che, in Cristo, Dio pativa insieme a loro. Da questa immagine essi sapevano che, proprio grazie alla loro malattia, erano identici a Cristo crocifisso che, colpito anche lui, si era unito a tutti coloro che nella storia erano stati colpiti; sperimentavano la presenza del Crocifisso nella loro croce e, attraverso la loro sofferenza, si sapevano ancorati in Cristo e così immersi nell’abisso dell’eterna misericordia. Sentivano la sua croce come la loro redenzione.
Il Crocifisso è raffigurato come uno di loro, l’intero suo corpo piagato e coperto dai bubboni della peste, il più oscuro male del tempo. Si avverano in lui le parole del profeta: è ricoperto dai nostri bubboni. I monaci pregavano di fronte a questa immagine con i loro malati, che trovavano consolazione nel riconoscere che, in Cristo, Dio pativa insieme a loro. Da questa immagine essi sapevano che, proprio grazie alla loro malattia, erano identici a Cristo crocifisso che, colpito anche lui, si era unito a tutti coloro che nella storia erano stati colpiti; sperimentavano la presenza del Crocifisso nella loro croce e, attraverso la loro sofferenza, si sapevano ancorati in Cristo e così immersi nell’abisso dell’eterna misericordia. Sentivano la sua croce come la loro redenzione.
Oggi molti uomini provano una profonda diffidenza verso questa idea di redenzione. Seguendo Karl Marx, considerano consolatoria, di fronte alla valle di lacrime terrena, la consolazione in cielo, perché in nulla migliora la miseria nel mondo, bensì la perpetua, in ultima analisi solo a vantaggio di chi ha interesse al mantenimento dello status quo. Invece della consolazione, essi esigono un cambiamento che redima eliminando il dolore. Non la redenzione attraverso il dolore, ma la redenzione dal dolore: questa è la parola d’ordine; non l’attesa dell’aiuto divino, ma l’umanizzazione dell’uomo per mezzo dell’uomo: questo è il compito. A questo punto, naturalmente, si può subito obiettare che sono false le alternative proposte; perché è del tutto evidente che gli Antoniani vedevano nella croce di Cristo non una scusa che li avrebbe esonerati da un’opera mirata e organizzata di aiuto agli uomini. Con 369 ospedali sparsi in tutta Europa, gli Antoniani avevano realizzato una rete di soccorso nella quale la croce di Cristo era assunta come esortazione pratica a cercare Cristo nel sofferente e a sanare il suo corpo ferito: dunque a cambiare il mondo e a far cessare il dolore. È lecito chiedersi se oggi, all’invocare a gran voce umanità e umanizzazione, corrisponda un impulso reale a servire e a soccorrere pari ad allora. A volte si ha la sensazione che vogliamo riscattarci da un compito che è diventato troppo faticoso per noi col parlarne, almeno, in modo altisonante. In ogni caso già oggi viviamo, in larga misura, prendendo dai Paesi più poveri persone con il compito di servire, perché nei nostri popoli l’impulso a servire è divenuto troppo debole. E tuttavia bisogna chiedersi quanto possa vivere un organismo sociale nel quale viene meno un organo vitale che a lungo andare non è rimpiazzabile con un trapianto.
In questo senso, proprio anche nell’ambito della necessaria opera di costruzione e cambiamento del mondo da parte dell’uomo, la questione dovrà essere considerata diversamente da come avviene nelle facili contrapposizioni oggi di moda. Tuttavia con questo la domanda in questione non ha ancora avuto completamente risposta. Perché gli Antoniani, conformemente al Credo cristiano, non solo hanno annunciato e praticato la redenzione dalla croce ma anche la redenzione per mezzo della croce. È richiamata così una dimensione dell’esistenza umana che oggi ci sfugge sempre più e che tuttavia costituisce l’autentico nucleo del fatto cristiano, a partire dal quale soltanto è possibile comprendere l’operare cristiano per e in questo mondo.
Come è possibile coglierlo? Tenterò di accennarvi rifacendomi allo sviluppo dell’immagine della croce in un artista moderno che, pur non essendo cristiano, fu tuttavia sempre più avvinto dalla figura del Crocifisso, avvicinandosi sempre più al suo nocciolo: Marc Chagall. Il Crocifisso compare la prima volta in una delle sua primissime opere, nel 1912. Nel contesto della composizione è visto come un bambino; esprime il dolore degli innocenti, il dolore innocente in questo mondo, che proprio come tale è segno di speranza. Poi dalle opere di Chagall il Crocifisso scompare per 25 anni buoni, e ricompare di nuovo solo nel 1937 con un significato mutato, approfondito.
Il Trittico della crocifissione composto in quell’anno ha una singolare anticipazione in un'altra immagine tripartita che più tardi Chagall distrusse e della quale tuttavia esiste ancora lo schizzo a colori ad olio. L’opera è intitolata “Rivoluzione”. Nella parte sinistra si vede una massa eccitata che sventola bandiere rosse brandendo armi: è la raffigurazione della Rivoluzione in quanto tale. La metà destra del dipinto raffigura scene di pace e di gioia: sole, amore, musica. L’opera della rivoluzione sarà un mondo trasformato, redento, sanato. Al centro, a congiungere le due parti, si vede un uomo che fa una verticale. È chiaramente un riferimento diretto a Lenin, che simboleggia per antonomasia la rivoluzione, nella quale il sotto diventa sopra e la destra diviene sinistra, nella quale si compie quell’inversione totale che significa avvento di un mondo nuovo. Si ha l’impressione che venga evocato un testo gnostico risalente alle origini del cristianesimo, nel quale si dice che Adamo, cioè la natura dell’uomo, sta a testa in giù e per questo scambia sopra e sotto, destra e sinistra; per mettere a posto l’uomo e il mondo sarebbe necessaria una completa inversione dei valori: la rivoluzione. Si potrebbe definire questo quadro di Chagall quasi come un altare della teologia politica; egli, come già aveva atteso nel 1917 la salvezza dalla Rivoluzione russa, allo stesso modo, dopo la prima delusione, la sperò una seconda volta dal governo del Fronte Popolare che era andato al potere in Francia nel 1937.
Il fatto che abbia distrutto quell’opera mostra come, questa seconda volta, la speranza in lui venne meno definitivamente. Creò il trittico da capo, con la medesima disposizione strutturale: a destra l’immagine dell’avvento della salvezza – ora raffigurato in modo più limpido e chiaro rispetto a prima – a sinistra il mondo in subbuglio (segnato ora però più dal dolore che dalla lotta) sovrastato dal Crocifisso. Il cambiamento decisivo, che conferisce anche alle due parti laterali un significato nuovo, si trova al centro: il posto del simbolo della rivoluzione e della sua ammaliante speranza è preso dall’immagine del Crocifisso, di inconsueta grandezza. Il rabbino – l’Antico Testamento, Israele –, che nel trittico precedente stava seduto, quasi a conferma, a fianco di Lenin, ora si trova ai piedi del Crocifisso. Non più Lenin, ma il Crocifisso è la speranza d’Israele, la speranza del mondo.
Non è necessario chiedersi fino a che punto Chagall si sia voluto qui avvicinare di proposito all’interpretazione cristiana dell’Antico Testamento, della storia e più in generale dell’uomo. Indipendentemente da tutto questo, chi veda i due dipinti l’uno accanto all’altro ne potrà ricavare una decisiva affermazione cristiana. La salvezza del mondo ultimamente non viene dalla trasformazione del mondo, da una politica divinizzata, innalzata ad assoluto. È necessario lavorare al cambiamento del mondo, sempre: in modo concreto e sincero, realistico, paziente, umano. E tuttavia c’è un’esigenza e una domanda dell’uomo che va al di là di tutto quello che la politica e l’economia possono dare; una domanda alla quale è possibile rispondere solo attraverso Cristo crocifisso, attraverso l’uomo nel quale il nostro dolore tocca il cuore di Dio, l’amore eterno. Perché è di esso che ha sete l’uomo, e senza di esso, nonostante tutti i miglioramenti possibili e anche necessari, egli rimane un esperimento assurdo. La consolazione che proviene da colui che porta i nostri lividi ci è necessaria anche oggi, proprio oggi. È Lui, in verità, l’unica consolazione non consolatoria. Dio conceda che i nostri occhi e il nostro cuore si aprano a questa consolazione; che diveniamo capaci di vivere in essa e di ritrasmetterla; che, in mezzo al Venerdì Santo della storia, riceviamo il mistero pasquale del Venerdì Santo di Cristo e così diveniamo dei redenti.
Non è necessario chiedersi fino a che punto Chagall si sia voluto qui avvicinare di proposito all’interpretazione cristiana dell’Antico Testamento, della storia e più in generale dell’uomo. Indipendentemente da tutto questo, chi veda i due dipinti l’uno accanto all’altro ne potrà ricavare una decisiva affermazione cristiana. La salvezza del mondo ultimamente non viene dalla trasformazione del mondo, da una politica divinizzata, innalzata ad assoluto. È necessario lavorare al cambiamento del mondo, sempre: in modo concreto e sincero, realistico, paziente, umano. E tuttavia c’è un’esigenza e una domanda dell’uomo che va al di là di tutto quello che la politica e l’economia possono dare; una domanda alla quale è possibile rispondere solo attraverso Cristo crocifisso, attraverso l’uomo nel quale il nostro dolore tocca il cuore di Dio, l’amore eterno. Perché è di esso che ha sete l’uomo, e senza di esso, nonostante tutti i miglioramenti possibili e anche necessari, egli rimane un esperimento assurdo. La consolazione che proviene da colui che porta i nostri lividi ci è necessaria anche oggi, proprio oggi. È Lui, in verità, l’unica consolazione non consolatoria. Dio conceda che i nostri occhi e il nostro cuore si aprano a questa consolazione; che diveniamo capaci di vivere in essa e di ritrasmetterla; che, in mezzo al Venerdì Santo della storia, riceviamo il mistero pasquale del Venerdì Santo di Cristo e così diveniamo dei redenti.
[Il testo presentato è la seconda parte del saggio d’apertura di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI contenuto in Gesù di Nazaret. Scritti di cristologia, secondo tomo del volume VI dell’opera omnia di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, pubblicato in traduzione italiana dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2015.]
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