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sabato 3 dicembre 2016

First Things su Amoris laetitia: "Una Distinzione senza Disciplina"


Ringraziando per la traduzione da First things l'amico Giovanni.
L

di Dan Hitchens, 30 settembre 2016

Ogni volta che qualcuno tenta di difendere la comunione per i divorziati risposati, la riforma che essi propongono suona sempre più come una eresia. La risposta di John F. Crosby per me non fa eccezione. Sulla questione di come la riforma potrebbe essere compatibile con l'insegnamento cattolico, Crosby risponde con una storia di dubbia rilevanza (o di scarsa precisione). La sua risposta conferma questa mia tesi: in pratica, tutto ciò significa annullare la disciplina sacramentale della Chiesa.

Crosby afferma che l'accesso alla comunione per alcuni cattolici risposati non sarebbe un grande sconvolgimento, perché "la disciplina della Chiesa" ha già subito un “grande cambiamento” per la concessione di san Giovanni Paolo II: “Nella sua riforma del Diritto Canonico della Chiesa del 1983, sollevò la scomunica che per secoli era imposta automaticamente alle persone che si risposavano senza che fosse riconosciuto nullo il loro primo matrimonio”. La stessa storia è stata raccontata dal collega di Crosby, Rocco Buttiglione. Capita di essere imprecisi: il papa che ha sollevato la scomunica fu Paolo VI, nel mese di novembre del 1977. Inoltre la scomunica risaliva solo al 1884, quando venne emanata in un solo paese, gli Stati Uniti, quindi è difficile riferirsi a una “disciplina della Chiesa” che durò “per secoli”.

Ma non importa il dettaglio, la storia è comunque irrilevante. La disciplina della Chiesa sulla
comunione, a differenza delle sue leggi sulla scomunica, è stato insegnata come prassi non modificabile (Giovanni Paolo II, 1981), fondata sulla Scrittura (Benedetto XVI, 2007), e come un “insegnamento costante e universale [...]”, che “non può essere modificato a causa delle diverse situazioni” (Congregazione per la Dottrina della Fede, 1994). Queste dichiarazioni non fanno altro che confermare una dottrina che è stata costante dai tempi della Chiesa primitiva. Non una volta Crosby richiama questo corpo di insegnamenti.

Il secondo punto di Crosby, inoltre, mantiene la dottrina cattolica a conveniente distanza. La distinzione che invoca, tra commettere un peccato grave e essere in una condizione di peccato mortale, è familiare (la stessa ultima disperata difesa è stata suggerita da Jeff Mirus e P. Paul Keller). Ma si può applicarla alla comunione per i risposati?

La risposta, secondo i teologi che hanno studiato l'argomento, è no. Josef Seifert dice che l'affermazione si basa su “un errore logico”. Vero, bisogna avere “piena conoscenza” di un peccato perché sia mortale. Ma i cattolici credono che la legge morale è scritto nel cuore di tutti. “Pertanto”, scrive Seifert, “non possiamo supporre un'ignoranza senza colpa riguardo la malvagità di un omicidio o di un adulterio”.

Forse per qualcuno potrebbe ancora mancare “il pieno consenso” (l'altra condizione)? Il teologo Brian Harrison ha offerto una trattazione esaustiva a questa domanda. Egli conclude che, secondo le definizioni di teologi cattolici ortodossi da San Tommaso d'Aquino in poi, ciò non è possibile. Gli adulti che si impegnano in una situazione di peccato a lungo termine sono consenzienti ad esso, per quanto difficile possa essere la loro situazione.

Seifert e Harrison possono sbagliarsi, ma le loro critiche richiedono una risposta di pari rigore teologico. E anche se potesse essere fornita, ci sarebbe ancora la questione di come questa riforma possa funzionare nella pratica. Ho già fatto questa obiezione allo schema di Rocco Buttiglione; quello di Crosby è ancora più impraticabile.

Crosby fornisce due esempi di persone che sono “in una condizione di peccato, senza essere esattamente ... in peccato mortale” così che potrebbero “forse” fare la comunione: la Sonia di Dostoevskij, che lavora come prostituta per aiutare la famiglia povera; e una cattolica divorziata che riscopre la sua fede proprio mentre si è legata in una nuova relazione a lungo termine. Il compagno della divorziata dice che la lascerà, e porterà via i loro bambini, a meno che non continui ad avere rapporti sessuali con lui. La frase successiva merita un paragrafo a sé stante:

“Questa donna non si trova forse in una situazione diversa da una comune adultera così come Sonia è diversa da una comune prostituta?”

Questa domanda non solo è disumanizzante; rivela perché la riforma secondo Crosby non potrebbe mai funzionare. Secondo la prassi attuale, i sacerdoti sono guidati da due principi. Il primo è che, prima di prendere la comunione, si deve confessare il peccato grave, col fermo proposito di correggersi. Il secondo è che a tutti, chiunque essi siano, dovrebbero essere offerti amore, misericordia, amicizia e solidarietà. Ad essi dovrebbe essere offerto il bellissimo insegnamento della Chiesa, secondo il quale non importa in quale pasticcio ci si possa trovare, dato che con la grazia di Dio si può sempre uscirne. Ma se la riforma di Crosby fosse stata emanata, i sacerdoti avrebbero dovuto giudicare le anime del loro gregge. Le donne risposate sarebbero divise tra coloro le cui vite hanno un tragico richiamo dostoevskiano e coloro che sono semplicemente “adultere comuni”.

Anna può ricevere la comunione, perché il suo partner porterà via i bambini se smette di fare sesso con lui (situazione dostoevskiana: semplice condizione peccaminosa). Invece Barbara non può ricevere la comunione, perché il suo compagno la abbandonerebbe senza portarsi via i bambini (una adultera comune: peccatore mortale). Chris può ricevere la comunione, perché pensa che se smettesse di avere rapporti sessuali con la sua partner il loro rapporto andrebbe a rotoli (dostoevskiano: semplice condizione di peccato), ma David è escluso dalla comunione, perché il rapporto con la compagna non risentirebbe di tale scelta (adultero comune: peccatore mortale).

Questo perfida farsa dovrebbe finire prima di cominciare, prima che porti a ciò che sta già accadendo in alcuni luoghi: l'abbandono della Disciplina della Chiesa.

Se si introduce un’assurdità in una sequenza di ragionamenti, spesso si finisce con grandi mali. I pro-choice dicono che non vogliono che avvengano gli aborti; credono solo nel diritto della donna di poter scegliere. Poiché questo "diritto" è incoerente, i pro-choice finiscono per giustificare la macellazione di massa. I difensori della comunione per i risposati dicono che non sostengono un “va tutto bene” ma solo che non pensano che tali divorziati risposati siano tutti “comuni” adulteri. Poiché la distinzione tra “comune” e “non comune” è illogica, essi finiscono per giustificare la profanazione di massa dell’Eucaristia.

Dan Hitchens è vice direttore di The Catholic Herald.

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