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Marco Respinti, La bianca torre di Echtelion, 23-8-2016
Cloro al clero. Negli anni 1970 la Sinistra usava questo slogan allitterativo per canzonare il nemico: lo scriveva infatti “CL al clero” essendo “CL” la sigla sia del suddetto elemento chimico sia del movimento cattolico di Comunione e Liberazione. Nata dall’intuizione culturale e dalla premura educativa di un prete della provincia milanese per cui è aperto il processo di canonizzazione, ovvero il Servo di Dio Luigi Giussani, CL era l’incubo del movimento studentesco spranghista. I due mondi si erano bordeggiati, fiutati, un po’ persino presi, ma alla fine era stata rottura netta. Li differenziava un abisso, anche se da fuori potevano pure sembrare (sin troppo) simili, proprio come un dì un ciellino mi spiegò la differenza che nel Medioevo passava tra un santo riformatore e un eresiarca: in tutto uguali (atteggiamenti, gergo, retorica, moniti, gesti, comportamenti, vestiario), salvo che l’uno agiva nell’obbedienze all’unica vera Chiesa, l’altro invece da fuori, anzi contro. Come tutti i ciellinismi, è una spiegazione iperbolica anche questa, ma resta vera.

Ora, i “cristiani impegnati” sono quelli che stanno sulle gonadi a tutti perché hanno la pretesa di ficcare o di cavare Cristo ovunque. In questo senso sono degli eterni bastian contrari, dei malcontenti cronici, dei contestatori nati. Come dice il convertito Alice Cooper, «Bere birra è facile. Lordare la tua camera in albergo è facile. Ma essere cristiano, questa è una vocazione tosta. Questa è ribellione».
Don Julián Carrón, il leader di Comunione e Liberazione
Se avete resistito nella lettura sin qui, ora potresti chiedervi: “E chissenefrega?”. Sarebbe anche giusto. Sono beghe interne, mene che interessano solo loro, anzi nemmeno avremmo il diritto di ficcanasare impunemente. E invece no, per una pletora di motivi. Ne elenco per ora tre. Il primo è che CL non è un brufolo sulla pelle del mondo. Il secondo è la famosa sineddoche del “cristiano impegnato”. Il terzo è che, mentre un tempo i “cristiani impegnati” parlavano dalle catacombe, oggi don Carrón fa testo dal “CorSera” con effetti comici. Intervistandolo, addirittura Dario di Vico cerca di mettergli le parole giuste in bocca: se, come dice, il leader desidera solo assicurare a tutti uno spazio dove vivere il cristianesimo liberamente, quello spazio altro non può essere che l’Occidente, ma niente, lui insiste, s’impapocchia in una esegesi intellò da cui si potrebbe cavare tutto e il suo contrario, e scantona la questione centrale, dirimente. Che il buon Di Vico dal giornalone dei giornaloni riassume con precisione domandandogli se a suo avviso esista oggi o no una centralità della questione islamica in Europa. È una domanda-riassunto, in stile iperbolico come dovrebbe piacere ai ciellini, giacché in modo forte pone una serie enorme di problemi: cos’è l’Occidente, quali sono i nostri “valori”, com’è finito il disagio della civiltà, che senso ha lo scontro delle civiltà, da dove veniamo, dove andremo, a che ora è la fine del mondo, che senso ha la vita?, e tutto ciò che se ne cava è solo un continuo retrocedere. Niente che morda, nulla per cui valga la pena farsi ammazzare come quelle migliaia di stupidi nuovi martiri sparsi nel globo. Al posto dell’antica, sana aggressività del ciellinese, il leader parla oggi la lingua che non batte dove il dente duole confermando la verità di un pensiero che molto piaceva ai ciellini, un pensiero di T.S. Eliot: «Così finisce il mondo/ Non con uno scoppio, ma con un frigno». E uno sbadiglio. Nel mondo trans di oggi, anche CL ha cambiato sesso. Fortunatamente, però, non tutti i ciellini se le son fatte tagliare.
Marco Respinti