di don Alfredo Morselli
A partire dal 30 maggio 2016, MiL ha presentato studio approfondito su alcuni punti controversi dell'esortazione Amoris laetitia: data l'ampiezza, lo scritto è stato diviso in più post: è possibile scaricare il testo completo in formato PDF.
Beato Angelico, Matrimonio della Vergine
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Osservazioni su alcuni punti controversi
dell'Esortazione apostolica
Amoris laetitia
III. Considerazioni finali
1. In Paradiso in
carrozza?
Al §
305 di Amoris Laetitia, leggiamo:
"Ricordiamo che «un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, può essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà». La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non può mancare di fare propria questa realtà".
È
difficile immaginare in concreto un cristiano che si comporta bene ", quando sappiamo bene che
"inizia il giudizio dalla casa di Dio" (1 Pt 4,17) e che "ogni tralcio che porta frutto, [il Padre] lo pota perché porti più frutto"
(Gv 15,2).
Non
esistono, nella storia della salvezza, "i cristiani dalla vita
esteriormente corretta" senza la Croce, o che possano permettersi di andare
in Paradiso in carrozza.
È pur
vero che ciascuno "con tutta umiltà" deve considerare gli altri
superiori a se stesso (Fil 2,3), ma
ciò è vero per tutti (sposati lecitamente o meno, peccatori o giusti).
2. Le pietre e la misericordia
Una domanda che sorge da alcuni passi di Amoris Laetitia riguarda l'identità di
non precisati lanciatori di pietre.
§ 49 (grassetto redazionale): "Nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l'effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio. In tal modo, invece di offrire la forza risanatrice della grazia e la luce del Vangelo, alcuni vogliono “indottrinare” il Vangelo, trasformarlo in «pietre morte da scagliare contro gli altri»".
§ 305: "Pertanto, un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa «per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite»".
Ci chiediamo a chi possono essere rivolte queste accuse?
Forse a Pio XII, l'Angelico Pastore?
Oppure lanciava pietre S. Giovanni Paolo II, vero apostolo
della Misericordia? O Benedetto XVI, che se da un lato, come i suoi
predecessori, ha ribadito l'impossibilità per alcuni fratelli di accedere ai
sacramenti, sicuramente non li emarginava né li riteneva scomunicati, ma accoratamente
si raccomandava: "I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro
situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale
attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile
cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza
ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica,
la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente
con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità
vissuta, le opere di penitenza, l'impegno educativo verso i figli"[1]?
Oppure sono quei poveri preti che, con le lacrime agli
occhi, spesso beffeggiati dai confratelli e non sostenuti dai Vescovi,
obbediscono al Magistero e per questo si sentono rimbrottati dai fedeli
"Come mai il parroco tal dei tali
ci dà la Comunione e Lei no?"
Inoltre, bisogna stare attenti, a forza di accusare "i
farisei", a non rovesciare la parabola del fariseo e del pubblicano, e così
non ci scappi un inconscio «Ti ringrazio Signore, perché non sono come questo
fariseo… Io non sono attaccato alle forme e al danaro, ai riti esterni e alle
certezze teologiche, etc. etc.…"
Detto questo, accolgo in ogni modo la raccomandazione del
Papa, perché il pericolo di usare come pietre la Verità potrebbe esserci; ma
vedo ben maggiore oggi un altro pericolo: quello di usare la Misericordia come
una maschera.
3. La maschera della misericordia
La misericordia può venire usata come una maschera che
nasconde l'amore di Dio Creatore, che ci ha plasmati secondo un piano
sapiente (che sappiamo essere una Persona, lo stesso Gesù Cristo) e quindi con
una legge: questa legge non opprime, ma libera la nostra libertà, e la
trasgressione implica la morte non per un atto vendicativo di Dio, ma per un
nostro radicale mal funzionamento,
alla lunga suicida.
Ed ecco che la parola misericordia
può essere usata dal demonio: "Non morirete affatto! (Gen 3,4), fate pure come volete, andate
dove vi porta il cuore…, poverini, fate pure anche voi la S. Comunione. Non più
è vero, non si può più dire che «fra i cristiani una qualsiasi altra unione tra
un uomo e una donna al di fuori del sacramento, fatta anche in forza della
legge civile, è una forma di esiziale concubinato»[2]… oggi
non è più esiziale…"
La misericordia può diventare una maschera che nasconde l'amore di Cristo che ci circonda (cfr. 2 Cor 5,14), l'Amore che conta i
capelli del nostro capo: fatta salva nel modo più assoluto la nostra libertà, è
verissimo anche che non si muove foglia
che l'Amore non voglia: ed è un Amore che trasforma le disavventure – e gli
stessi castighi che ci creiamo con i peccati – nelle migliori condizioni per
santificarci, purché abbracciamo ogni momento la croce di Cristo che è la
Nostra Croce (simul mia e Sua).
In tutto questo la parola misericordia può essere usata per
indicare una seconda maschera diabolica, per farci dimenticare la
provvidenzialità e la soprannaturalità delle prove e travestirle da difficoltà
insormontabili, guardando solo la nostra debolezza e non la Grazia che c'è
sempre: " È vero che Dio ha detto:
Non dovete mangiare di nessun albero del giardino? (Gen 3,1)"
Il demonio ha ingigantito la difficoltà, ha presentato il
comandamento di Dio come una legge tirannica, impossibile ad osservarsi… nessun albero, quando invece l'albero da
cui non si poteva mangiare era uno solo.
Oltre ai testi citati nel presente studio, vengono buone, a
questo proposito, le parole di S. Ignazio di Loyola:
"Settima regola. Chi si trova nella desolazione,
consideri che il Signore, per provarlo, lo ha affidato alle sue forze naturali,
perché resista alle diverse agitazioni e tentazioni del demonio; e può riuscirci con l'aiuto di Dio che gli
rimane sempre, anche se non lo sente chiaramente. È vero, infatti, che il
Signore gli ha sottratto il molto fervore, il grande amore e la grazia
abbondante; però gli ha lasciato la grazia sufficiente per la salvezza
eterna"[3].
Il Papa al § 312 ribadisce che "conviene sempre considerare «inadeguata
qualsiasi concezione teologica che in ultima analisi metta in dubbio l'onnipotenza
stessa di Dio, e in particolare la sua misericordia»"[4].
Ma
non sarebbe forse la più grande negazione della misericordia di Dio il solo
pensiero che Egli possa lasciare le persone intrappolate nella situazione – a
questo punto sono negate logicamente anche la Provvidenza e il Governo del
mondo da parte di Dio – e senza la grazia non dico sufficiente ma sovrabbondante?
Se la difficoltà e x, la grazia sarà
sempre x+1.
Certamente
non si deve esigere o pretendere la santità altrui, o disprezzare fatica e
cadute di chi è animato da sincera volontà, ma non si può negare che possiamo e
dobbiamo arrivare in vetta, prendere il largo, Duc in altum, come diceva Gesù (Lc 5,4) e come raccomandava S. Giovanni Paolo II all'inizio del
nuovo millennio[5].
Infine la misericordia può diventare una maschera che
nasconde la pusillanimità e la paura di chi è invece inviato ad
annunciare il Vangelo.
a) La pusillanimità:
come mente a se stesso chiunque pensi di aver commesso un peccato che Dio non è
in grado di perdonare, proiettando su Dio la propria meschinità, così è
possibile che il nostro cuore, non in tensione verso grandi cose, attribuisca
la propria pusillanimità al prossimo - nella fattispecie il cosiddetto divorziato risposato – e lo immagini
necessariamente incapace di spiccare il
volo.
Il povero "divorziato risposato" è, in fin dei
conti, considerato un bruto, mediocre[6],
tiepido, incapace di resistere alla tentazione[7], neppure
in grado - per la situazione - di cogliere il diritto naturale primario; non si
può altro che dirgli, con la maschera della misericordia: "coabita pure uxorio modo con chi non è tuo vero
coniuge".
Il nostro, poi, per poter fare la Comunione, non può neppure
decidere da solo, ma se la deve vedere con un prete![8]
b) La paura: non intendo
qui la paura di essere perseguitati da un uditorio che non ne vuol sapere del
Vangelo, ma la paura del profeta Giona, che non solo non credeva inizialmente che
la predicazione della verità fosse
efficace, ma che è rimasto addirittura amareggiato del suo successo.
Oso ipotizzare che se Giona, anziché dire "Ancora
quaranta giorni e Ninive sarà distrutta" (Gio 3,4), avesse detto: "Vista la vostra situazione e la
vostra cultura, tenendo conto dell'indebolimento delle vostre capacità
naturali, essendoci in tutto quello che fate degli elementi di verità etc.
etc.", i Niniviti lo avrebbero cacciato in malo modo.
In questo caso il demonio usa la misericordia come maschera
per nascondere la mancanza di ardore apostolico e di fede nella potenza della
Resurrezione, che opera in chi annuncia il Vangelo con franchezza.
IV. Conclusione.
1. Prime risposte ai dubbi inziali.
Dopo questa lunga meditazione sul Magistero possiamo ora
dare una risposta alle domande che ci eravamo fatti all'inizio del nostro
studio:
1)
Si possono dare atti umani (che procedono dalla
libera volontà umana) intrinsecamente cattivi, ovvero atti che, posta la piena
avvertenza e il deliberato consenso, sono sempre peccato grave?
R: Sì (De fide catholica[9])
2)
È possibile che l'uomo si trovi in una
situazione dove non abbia altra possibilità che quella di compiere un atto
intrinsecamente cattivo?
R. No (De fide divina
et catholica[10])
3)
È possibile ammettere l'epikeia per i precetti negativi del diritto naturale?
R. No (Theologice
certum[11])[12]
4)
Una persona cattolica, finché, con piena
consapevolezza della legge di Dio e della Chiesa, con deliberato consenso,
sceglie di convivere uxorio modo con
una persona dell'altro sesso, senza che tale convivenza sia stata benedetta dal
sacramento del matrimonio, può ricevere validamente l'assoluzione sacramentale?
R. No (De fide divina
et catholica)
5)
Il desiderio della grazia sacramentale, l'impossibilità
di interrompere la convivenza a motivo dei figli o di altri gravi fattori, l'affetto
consolidatosi nel tempo, la fedeltà reciproca dei conviventi, il matrimonio
civile già celebrato, l'impossibilità di ricevere la dichiarazione di nullità
del precedente matrimonio rato e consumato, la convinzione soggettiva che il
precedente matrimonio sacramentale fosse invalido, possono essere circostanze
che rendano legittima e valida l'assoluzione di cui al punto 4)?
R. No (De fide divina
et catholica)
6)
Ammessa l'impossibilità materiale di
interrompere la convivenza di cui ai punti 4) e 5), possono esserci condizioni
oggettive e soggettive che rendano impossibile la sua "regolarizzazione",
attraverso il vero e fermo proposito di vivere castamente la suddetta
convivenza, "come fratello e sorella"? In caso affermativo, quali
sarebbero tali circostanze?
R. No (De fide divina
et catholica)
7)
Il sacerdote che negasse l'assoluzione
sacramentale di cui ai punti 4) e 5), nonostante l'insistenza del penitente, e
il dolore di quest'ultimo per l'assoluzione negata, può esser considerato come
un "duro di cuore" e, perciò, rimproverato per la sua mancanza di
misericordia e, magari, punito dal suo Ordinario?
R. No
8)
Il sacerdote che, commosso per la sofferenza del
penitente, o per altri motivi, concedesse l'assoluzione di cui ai punti 4) e
5), compie un atto sacrilego, e perciò è meritevole di rimprovero e,
eventualmente, di altri provvedimenti correttivi, da parte del suo Ordinario?
R. Sì
9)
Il sacerdote che negasse pubblicamente la
comunione sacramentale a conviventi notori, di cui ai n.n. 4) e 5), può essere
rimproverato e/o punito come nel caso al punto 7)?
R. No
Confrontando questa sintesi del Magistero precedente con
alcune affermazioni di Amoris laetitia,
si può dire che, se è ineluttabile, definitivo, entusiasmante, il dovere
dell'annuncio della misericordia, di essere Chiesa-in-uscita e Chiesa-ospedale-da-campo
(idea opposta all'ecclesiologia luterana e calvinista), non di meno il recente documento salta sul cavallo della misericordia con
troppa foga, ricadendo - con alcune formulazioni molto discutibili - dalla
parte opposta a quel rigorismo che pure, per altro verso, è condannabile.
2. La «dottrina dell'oggetto» è la mano tesa della Misericordia divina.
Concludo sottolineando che sono quanto mai unito e
obbediente al successore di Pietro nella volontà di essere apostolo della
Misericordia: ma vorrei quasi gridare
che l'annuncio della misericordia, a
questo mondo in frantumi, è possibile solo rimanendo saldamente aggrappati alla
«dottrina dell'oggetto»[13], al
senso oggettivo dell'agire umano (morale che invece Papa Francesco sembra
temere).
Alla donna "peccatrice" del Vangelo di S. Luca (in
realtà, a quel punto, "ex peccatrice"), "sono perdonati i suoi
molti peccati, perché ha molto amato"[14]: allo
stesso modo, il mondo riamerà Gesù Cristo se avrà coscienza che non gli è
stato perdonato poco (colui al quale
si perdona poco - un atto cattivo falsamente reso buono dalle circostanze -
ama poco), ma che gli sono stati
perdonati peccati enormi (materia grave, piena avvertenze e deliberato
consenso), perché Gesù è colui che perdona molto, non poco. Di fronte a
questi grandi peccati c'è la misericordia per il passato e la grazia per il
presente e il futuro, per arrivare alla vittoria finale: "…non c'è più
nessuna condanna per coloro che sono in Cristo Gesù"[15].
Non di tratta dunque di lanciare
pietre, ma di annunciare: "et nos cognovimus et credidimus charitati".
Di fronte alla menzogna del diavolo che insinua: la legge opprime, non ce la potrai mai fare, noi invece confessiamo:
abbiamo conosciuto e creduto all'amore che
Dio ha in noi"[16].
Mi metto con questi sentimenti alla scuola di S. Ignazio di
Loyola, che nei suoi Esercizi spirituali
pone il colloquio della misericordia dopo
le meditazioni sul peccato.
Prima di questo colloquio, nei due primi esercizi della prima
settimana, il fondatore dei gesuiti ci invita a chiedere vergogna e confusione di noi stessi richiamando alla memoria la gravità e malizia del peccato contro il suo
Creatore e Signore, crescente e
intenso dolore e lacrime per piangere i [propri] peccati e a pesare i propri peccati vedendo la bruttezza e la malizia intrinseca che ogni
peccato mortale commesso ha in sé, anche se non fosse vietato[17].
Solo dopo S.
Ignazio propone quello che i predicatori di esercizi chiamano "il
colloquio della misericordia":
"Terminerò con un colloquio, nel quale esalterò la misericordia del mio Dio, rendendo grazie per avermi conservato la vita fino a questo momento, e prendendo la risoluzione di correggermi con il soccorso della sua grazia"[18].
Il Papa, sostanzialmente, propone al mondo il colloquio della misericordia: "Benissimo
Santità, la seguiamo, con gioia ed entusiasmo"; ma per fare bene il colloquio della misericordia bisogna rimanere ancorati
alla morale dell'oggetto, bisogna vedere
prima "la bruttezza e la malizia intrinseca che ogni peccato mortale
commesso ha in sé, anche se
non fosse vietato".
N.B.: S. Ignazio usa il termine vedere per indicare che non è sufficiente avere una conoscenza
intellettualistica del peccato, ma bisogna quasi toccarlo con mano, nella sua realtà, nella sua bruttezza, senza
sconti: è un orrore di cui il peccatore si è appropriato: "Il secondo esercizio è la meditazione sui propri peccati"[19].
La vittoria sul peccato si ottiene accusando se stessi, non
scusandosi: diceva S. Giovanni Paolo II nel 1983:
"Nel mistero della riconciliazione con Dio, nel Sacramento in cui si compie questa riconciliazione, l'uomo accusa se stesso confessando i suoi peccati; e mediante ciò toglie la potenza a quell'Accusatore che, giorno e notte, accusa ognuno di noi, e l'umanità intera, davanti alla Maestà del Dio tre volte santo. Infatti, quando l'uomo accusa davanti a Dio se stesso, quella confessione delle colpe, nata dal pentimento, unita nel sacramento della Riconciliazione al Sangue dell'Agnello, porta la vittoria!"[20]
Allora, se la vittoria arriva con la confessione, chi non
può confessarsi non vince? Cominci con l'accusarsi e comincerà a vincere;
già l'accusa di se stesso è un atto mosso da una grazia attuale, è un segno che
Dio ci ha trovati, una promessa di Gesù che ci dice che, se vogliamo, potremo
proseguire fino al traguardo; tutti quelli che raggiungono una meta hanno
cominciato da un primo passo; dopo il primo passo, avremo la grazia per il
secondo e così via.
Sebbene la velleità o volontà imperfetta di non voler
peccare non sia sufficiente per ricevere l'assoluzione, non di meno anche
questo inizio di volere è mosso dalla grazia.
Tanto
il peccatore quanto il giusto[21], che
cercano Dio, in qualche modo lo hanno già trovato[22],
o meglio, sono già stati trovati da Lui. Il desiderio di ricevere l'assoluzione
e di accostarsi all'Eucarestia deriva dal Cuore di Colui che ha detto: “desiderium
desideravi, "Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con
voi, prima della mia passione" (Lc 22, 15)”: questa grazia è una garanzia,
assolutamente de congruo, misericordia Dei revelata supposita, un pegno di altre grazie
future.
È
per questo che San Francesco di Sales
può dire, sia al giusto che al peccatore: "…quando sentiamo in noi il
desiderio del sacro amore, sappiamo di cominciare ad amare… (perché) il
desiderio di amare e l'amore dipendono dalla medesima volontà; perciò, appena
abbiamo formulato il vero desiderio di amare, cominciamo ad avere amore, e di
mano in mano che questo desiderio cresce, aumenta anche l'amore. Chi desidera
ardentemente l'amore, amerà ben presto con ardore"[23].
Tanto
il giusto quanto il peccatore che chiede l'assoluzione, ma non ha ancora le
disposizioni necessarie per riceverla, desiderano ardentemente l'amore:
unica è la meta per entrambi, anche se il giusto ha già valicato il colle
della giustificazione, mentre il peccatore si sta ancora arrampicando verso
questa prima tappa intermedia.
Sant'Agostino può dunque esortare
entrambi: "Ti dispiaccia sempre ciò che sei, se vuoi guadagnare ciò che
non sei… Aggiungi sempre, avanza sempre, progredisci sempre. Non fermarti lungo
la via, non indietreggiare, non deviare" [24].
L'accompagnamento
dei cosiddetti divorziati risposati (e di tutti i peccatori … compreso chi
scrive) non è altro che incoraggiarci a vicenda in questo modo. Si tratta di
esortarci ad accogliere le continue grazie attuali, le divine attenzioni, i
divini richiami, con la preghiera, con la carità fraterna, con la misericordia,
con l'ascolto della parola di Dio, con la devozione alla Madonna etc.
Il
cammino di conversione non è altro, una volta presa la decisione di
convertirsi, se non lasciare che la grazia trasformi la velleità di esser buoni in vera
buona volontà. Se è verissimo che né pentere (ricevere l'assoluzione
e quindi poter ricevere l'Eucarestia) e volere (continuare uno stato di
sostanziale concubinato) insieme puossi[25],
è altrettanto vero che si può dare il via ad una serie di atti che porteranno
finalmente a un santo ed eroico non volere più peccare.
Così,
chi si trova in stato di peccato, accogliendo una grazia attuale, ne attira
subito un altra, e così via, fino alla decisione di abbandonare lo stato di peccato
mortale.
Dalla
sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia[26]
può intendersi sia di chi progredisce nella carità (e allora con grazia
su grazia si intende la crescita della carità , mediante l'infusione di una
maggior grazia abituale), sia di chi alla carità si avvicina, pur a piccoli
passi (e allora con grazia su grazia possiamo intendere grazia attuale
su grazia attuale).
Ma
se uno non è in grazia di Dio, la Comunione sacramentale sarebbe un farmaco
contro-indicato, non per un decreto positivo ecclesiastico, ma per la verità
delle cose: la Comunione sacramentale richiede, per sua natura, lo stato di
grazia: non è vietata, ma non corrisponde all'essere di
quella tappa del cammino verso l'unione con Gesù, che viene detta preparazione
alla giustificazione.
Di fronte allo scoraggiamento indotto dal demonio, quando
questi dipinge come impossibile uscire dallo stato di peccato (giacché "è
proprio del cattivo spirito di causare [nelle persone che lavorano
coraggiosamente a purificarsi dei loro peccati] tristezza e tormenti di
coscienza, e di alzare ostacoli, di inquietare con false ragioni, al fine
d'arrestare i loro progressi nel cammino della virtù")[27],
annunciamo la vittoria della grazia: sufficit
tibi gratia mea, "ti basta la mia grazia"[28].
La morale oggettiva, che dichiara la realtà del peccato, non
occultandolo nella situazione e nelle circostanze, ne rende possibile l'accusa
e quindi ne rende possibile il perdono: rende evidente al peccatore ciò da cui,
seppure con fatica, ma con l'auto della grazia, egli deve e può - in ogni
situazione - allontanarsi: la dottrina dell'oggetto è dunque la mano tesa
della misericordia divina.
L'etica della situazione è invece la negazione della
misericordia, perché, con falsa compassione, lascia l'uomo nel pantano del suo
peccato; la nuova morale non ha
niente da farsi perdonare; anzi, nasconde a Dio proprio ciò che Dio vuole
perdonare.
Oscar Wilde diceva: "La Chiesa Cattolica è soltanto per
i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili va bene la Chiesa
Anglicana"[29].
A conclusione di questo studio, oso modificare questo aforisma: "La Chiesa
Cattolica è soltanto per i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili
va bene l'etica della situazione".
* *
*
Ho scritto queste pagine,
condividendo quanto afferma R. Spaemann: "Ogni singolo cardinale, ma anche
ogni vescovo e sacerdote è chiamato a difendere nel proprio ambito di
competenza l'ordinamento sacramentale cattolico e a professarlo pubblicamente"[30].
Nuovamente dichiaro che intendo per ritrattato tutto quello
che, contro la mia volontà e senza alcuna mia consapevolezza, fosse contrario a
quanto la Chiesa propone a credere.
Faccio mio il proposito della Beata Giacinta Marto, la
pastorella di Fatima, come ci è raccontato da Suor Lucia:
"Ci vennero ad interrogare due sacerdoti, che ci raccomandarono di pregare per il Santo Padre. Giacinta domandò chi era il Santo Padre e quei buoni sacerdoti ci spiegarono chi era e come aveva molto bisogno di preghiere. Giacinta cominciò ad amare tanto il Santo Padre che, ogni volta che offriva i suoi sacrifici a Gesù aggiungeva: è per il Santo Padre"[31].
[1]
Esort. apost. Sacramentum Caritatis, 22-2-2007, § 29:
[2]
Pio IX, Allocuzione al Concistoro
segreto, 27-9-1852, cit. in Istruzione della S. Penitenzieria, 15-1-1866, DS/40
2991.
[3]
S. Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, § 320.
[4]
Citando il documento della Commissione
Teologica Internazionale, La speranza della salvezza per i
bambini che muoiono senza battesimo (19 aprile 2007), 2.
[5]
Cfr. Lettera apostolica Novo millennio ineunte, 6-1-2001
[6]
Affermava il Card. W. Kasper:
"Non siamo in grado, come esseri umani, di raggiungere sempre l'ideale, la
cosa migliore" e "…l'eroismo non è per il cristiano medio";
«Ecco gli argomenti per la comunione ai divorziati risposati» intervista di A.
Tornielli al Card. Kasper, 8.5.2014, http://tinyurl.com/jo4o7un.
[7]
Secondo il P. G. Cavalcoli O.P. i
conviventi sarebbero esposti alla "forza soverchiante della
tentazione", data la "forte occasione inevitabile, che vince la
resistenza di una buona volontà contraria"; «La comunione ai risposati non
tocca la dottrina ma la disciplina», intervista di Andrea Tornielli a P.
Giovanni Cavalcoli O.P., 17-10-2015.
[8]
Mons. Vincenzo Paglia ha così
risposto in un'intervista alla domanda "Chi decide [l'ammissione ai
sacramenti]?": "Il confessore in dialogo col fedele…", cfr. http://tinyurl.com/je8wwxk.
[9]
Proposto a credere costantemente dal Magistero della Chiesa.
[10] "Inoltre
con fede divina e cattolica, si deve credere tutto ciò che è contenuto nella
parola di Dio scritta o tramandata, e che la Chiesa propone di credere come
divinamente rivelata sia con un giudizio solenne, sia nel suo Magistero ordinario
e universale" ("Porro fide divina et catholica ea omnia credenda
sunt, quae in verbo Dei scripto vel tradito continentur et ab Ecclesia sive a
solemmni iudicio sive ordinario et universali magisterio tamquam divinitus
revelata credenda proponuntur"); Concilio
Vaticano I, Const. dogm. Dei
filius, cap. III, DS/40 3011.
[11]
Dalla sua negazione segue la negazione di qualche dogma o di qualche verità di
fede divina.
[12]
Riporto alcune lucide spiegazioni di autori probati per cui non si dà epikeia
nei precetti negativi che obbligano semper
et pro semper. Fondamentale è la spiegazione dei Salmaticenses, Cursus theologiae moralis, t. III, Venetiis 1764, tf. XI, c. IV, punctum IV, n.
41: "Haec autem virtus epikeia non
solum habet locum respectu legis humanae; sed etiam respectu divinae et
naturalis. Pro quo nota, quod cum lex
universaliter loquatur, potest aliquando habere universalitatem, non solum in
communi, sed pro singularibus casibus particularibus; et tunc hoc evenit,
quando est lex negativa prohibens quod ab extrinseco est malum ut mentiri,
fornicari, falsum iuramentum emittere, blasphemare: et tunc non habet locum
epikeia: quia cum non possit denudari a malitia illa materia, in omni casu et
eventu illa lex obligat, et sic in ea numquam licet praeter verba legis agere.
Aliquando vero licet lex loquatur in communi, non tamen ad omnes casus
particulares extenditur, sed recte interpretamur, legislatorem noluisse illu
casum particularem oh singulares circumstantias sub lege comprehendere; sed
noluit hoc exprimere, vel quia eius notitia est limitata, et non potest ad
omnes casus, qui possunt occurrere, se extendere, ut accidit in legislatore
humano; vel si norma eius illimitata est, ut in legislatore divino contingit,
noluit exprimere in particulari casu, quos volebat eximere, vel comprehendere,
ut vitaret prolixitatem, et confusionem in lege, ut inquit D. Th. 1.2, q. 96.
a.6, sciens dari virtutem epikeiae, per quam possunt homines universalitatem
legis corrigere, et secundum circumstantias occurrentes illius voluntatem
interpretari. Et id contingit, quando illa res praecepta potest denundari a
malitia, quia tunc potest habere locum epikeia". Altri autori: Pio Van Der Velden,
Principia Theologiae moralis, t. I,
Tornaci 1875, p. 130: "Epikia stricte sumpta cadere nequit in legem divinam, ut patet ex eius definitione: Deum quippe de futuris
latere nihil potest. Nihilominus lex divina positiva non obligat cum gravi
incommodo aut damno […] De lege naturali
pariter certum est, quod ea cum gravi incommodo non obliget, si sit
affirmativa: exempla de praecepto eleemosynae et correctionis fraternae id
probant apud omnes. Si autem sit
negativa, et malitia intrinseca omnino tolli nequeat, quocumque in casu
observanda est. Hinc numquam licita
sunt: blasphemia, contemptus legis, qui sit formalis; eo quod directe vel
indirecte contemnatur tunc Deus ipse". P . G. Antoine, Theologia
moralis, t. II, Avenione 1818, p. 112: "Epikiia est benigna et rationabilis interpretatio, casum aliquem particularem
ob suas circumstantias non comprenhendi Lege, quamvis per verba generalia lata:
ideoque Legem non obligare in tali casu. Hinc
sola Lex positiva admittit Epikiiam non naturalis; quia sola Lex positiva
statuit per verba generalia, quae restringenda sunt ex aequitate in certis
casibus. At Lex naturalis excipit omnes
casus excipiendos: est enim ordinatio divina per dictamen rationis intimata de
omnibus et singulis, quae ex natura rei agenda ve! omittenda sunt ad honeste ac
recte vivendum". A. J. J. F.
Haine, Theologiae moralis elementa,
Lovanii, 1894, p. 158: "Epikeia
vero, cum sit quaedam legis correctio, eo quod legislator non omnes casus
particulares praevidere potuerit,
proprie locum habere non potest in lege divina et naturali; bene vero in
omnibus legibus humanis". Le quattro citazioni sopra riportate sono
riprese da: E Lio O.F.M, «Morale perenne» e «morale nuova» nella
formazione ed educazione della coscienza, Roma: PUL, 1979, pp. 316-17,
grassetto redazionale.
[13]
Con dottrina dell'oggetto intendiamo
quanto Giovanni Paolo II insegnava al § 82 di Veritatis splendor: "La dottrina dell'oggetto, quale fonte
della moralità, costituisce un'esplicitazione autentica della morale biblica
dell'Alleanza e dei comandamenti, della carità e delle virtù. La qualità morale
dell'agire umano dipende da questa fedeltà ai comandamenti, espressione di
obbedienza e di amore. È per questo — lo ripetiamo — che è da respingere come
erronea l'opinione che ritiene impossibile qualificare moralmente come cattiva
secondo la sua specie la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati,
prescindendo dall'intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità
delle conseguenze prevedibili di quell'atto per tutte le persone interessate.
Senza questa determinazione razionale della moralità dell'agire umano, sarebbe
impossibile affermare un «ordine morale oggettivo» e stabilire una qualsiasi
norma determinata dal punto di vista del contenuto, che obblighi senza
eccezioni; e ciò a scapito della fraternità umana e della verità sul bene, e a
detrimento altresì della comunione ecclesiale"; http://tinyurl.com/h2smc7b.
[14]
Lc 7, 47.
[15]
Rm 8,1.
[16]
1 Gv 4,16.
[17]
Esercizi spirituali, § 48e 57 passim.
[18]
Esercizi spirituali, § 61.
[19]
Esercizi spirituali, § 55.
[20]
Solenne concelebrazione eucaristica per l'apertura della VI assemblea generale
del Sinodo dei Vescovi, Omelia di Giovanni Paolo II, Basilica Vaticana -
Giovedì, 29 settembre 1983, http://tinyurl.com/zjx9eng.
[21]
Riprendo anche qui da: «"Inaccettabile". Il documento base del sinodo
"compromette la verità"», http://tinyurl.com/jotjuse.
[22]
Cfr. Pascal, Pensées, 553:
"Consolati, tu non mi cercheresti se non mi avessi già trovato".
[23]
San Francesco di Sales, Trattato
dell'amor di Dio (a c. di F.
Marchisano), XII, 2, Torino: UTET, 1969, pag. 896.
[24]
"Dicitis: Quid est ambulare? Breviter dico:
Proficere; ne forte non intellegatis, et pigrius ambuletis. Proficite, fratres
mei, discutite vos semper sine dolo, sine adulatione, sine palpatione. Non enim
aliquis est intus tecum, cui erubescas, et iactes te. Est ibi, sed cui placet
humilitas, ipse te probet. Proba et te ipsum tu ipse. Semper tibi displiceat
quod es, si vis pervenire ad id quod nondum es. Nam ubi tibi placuisti, ibi
remansisti. Si autem dixeris: Sufficit; et peristi. Semper adde, semper ambula,
semper profice; noli in via remanere, noli retro redire, noli deviare. Remanet,
qui non proficit; retro redit, qui ad ea revolvitur unde iam abscesserat;
deviat, qui apostatat. Melius it claudus in via, quam cursor praeter viam.
Conversi ad Dominum, etc". Sermo 169, 15 (18), http://tinyurl.com/z8wfr7o.
[25]
"…ch'assolver non si può chi non si pente,/né
pentere e volere insieme puossi/per la contradizion che nol consente";
D. Alighieri, Divina Commedia, Inferno, XXVII, 118-120.
[26]
Gv 1, 16.
[27]
Esercizi spirituali, § 315.
[28]
2 Cor 12,9.
[29]
"The Catholic Church is
for saints and sinners alone. For respectable people, the Anglican Church will
do"; Oscar Wilde, Epigrams, Ware:Wordsworth Editions,
2007, p. 112.
[30]
«Spaemann: "È il caos eretto a principio con un tratto di penna"», in
Settimo Cielo, http://tinyurl.com/gnvo33v.
[31]
P. Luigi Kondor, SVD - P. Dr. Joaquin M.
Alonso, CMF (†1981) a c. di, Memorie
di Suor Lucia, Volume I, Fatima: Secretariado dos Pastorinhos, 2005, p. 50.