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giovedì 2 giugno 2016

Osservazioni su alcuni punti controversi dell'Esortazione apostolica «Amoris laetitia» - 2.5 - quando non si può dare l'assoluzione

di don Alfredo Morselli

A partire dal 30 maggio 2016, MiL ha presentato studio approfondito su alcuni punti controversi dell'esortazione Amoris laetitia: data l'ampiezza, lo scritto è stato diviso in più post: è possibile scaricare il testo completo in formato PDF.

Beato Angelico, Matrimonio della Vergine

Osservazioni su alcuni punti controversi
dell'Esortazione apostolica

Amoris laetitia


II.         Verità irrinunciabili (5)

3. Non è possibile assolvere chi non ha il vero e fermo proposito di emendarsi

Anche qui il Magistero parla chiaro; per quanto riguarda il sacramento della Riconciliazione abbiamo le seguenti affermazioni:
Catechismo dell Chiesa Cattolica, § 1650: "La riconciliazione mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a vivere in una completa continenza" S. Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, 22-11-1981, § 84: "La riconciliazione nel sacramento della penitenza - che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico - può essere accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, «assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi» (S. Giovanni Paolo PP. IIOmelia per la chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 7 [25 Ottobre 1980]: AAS 72 [1980] 1082)[1]. 
L'omelia citata da S. Giovanni Paolo II così afferma:
"Quantunque non si debba negare che tali persone possano ricevere, se ne ricorrano le condizioni, il sacramento della penitenza e quindi la comunione eucaristica, quando sinceramente abbracciano una forma di vita, che non contrasti con la indissolubilità del matrimonio - cioè quando l'uomo e la donna, che non possono soddisfare l'obbligo della separazione assumono l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di astenersi dagli atti propri dei coniugi, e quando non c'è motivo di scandalo - tuttavia la privazione della riconciliazione sacramentale con Dio non li distolga dalla perseveranza nella preghiera, dall'esercizio della penitenza e della carità perché possano conseguire la grazia della conversione e della salvezza"[2].
Le motivazioni di questa disciplina si basano sul fatto che non è possibile assolvere se il penitente non mostra i segni di un autentico pentimento: il Concilio di Trento definisce che "La contrizione, che occupa il primo posto tra gli atti del penitente, è il dolore dell'animo e lla riprovazione del peccato commesso , accompagnati dal proposito di non può peccare più in avvenire. Questo atto di contrizione è sempre necessario per domandare la remissione dei peccati…"[3]. In questa linea, non si può assolvere validamente un divorziato risposato civilmente (come chiunque altro) che non voglia impegnarsi a non "peccare più" e non si proponga di astenersi da qualunque peccato - nel nostro caso in particolare dagli atti propri dei coniugi - e di fare tutto quanto sia in suo potere a tal scopo[4].

San Giovanni Paolo II ha descritto, con mirabile equilibrio, le caratteristiche del proposito, che non deve essere né velletario (sostanzialmente indeciso) né come la Provvidenza ha permesso, per nostra edificazione, le affermazioni presuntuose di San Pietro: "io non ti rinnegherò" etc[5]:
"È inoltre evidente di per sé che l'accusa dei peccati deve includere il proponimento serio di non commetterne più nel futuro. Se questa disposizione dell'anima mancasse, in realtà non vi sarebbe pentimento: questo, infatti, verte sul male morale come tale, e dunque non prendere posizione contraria rispetto ad un male morale possibile sarebbe non detestare il male, non avere pentimento. Ma come questo deve derivare innanzi tutto dal dolore di avere offeso Dio, così il proposito di non peccare deve fondarsi sulla grazia divina, che il Signore non lascia mai mancare a chi fa ciò che gli è possibile per agire onestamente. Se volessimo appoggiare sulla sola nostra forza, o principalmente sulla nostra forza, la decisione di non più peccare, con una pretesa autosufficienza, quasi stoicismo cristiano o rinverdito pelagianismo, faremmo torto a quella verità sull'uomo dalla quale abbiamo esordito, come se dichiarassimo al Signore, più o meno consciamente, di non aver bisogno di Lui. Conviene peraltro ricordare che altro è l'esistenza del sincero proponimento, altro il giudizio dell'intelligenza circa il futuro: è infatti possibile che, pur nella lealtà del proposito di non più peccare, l'esperienza del passato e la coscienza dell'attuale debolezza destino il timore di nuove cadute; ma ciò non pregiudica l'autenticità del proposito, quando a quel timore sia unita la volontà, suffragata dalla preghiera, di fare ciò che è possibile per evitare la colpa"[6].
INDICE GENERALE




[1] http://tinyurl.com/pfvvhgf.
[2] http://tinyurl.com/jajer8s.
[3] Concilio di Trento, Dottrina sul sacramento della Penitenza, 25-11-1551, c. 4: DS/40 1676 "Contritio, quae primum locum inter dictos paenitentis actus habet, animi dolor ac detestatio est de peccato commisso, cum proposito non peccandi de cetero. Fuit autem quovis tempore ad impetrandam veniam peccatorum hic contritionis motus necessarius, et in homine post baptismum lapso ita demum praeparat ad remissionem peccatorum, si cum fiducia divinae misericordiae et voto praestandi reliqua coniunctus sit, quae ad rite suscipiendum hoc sacramentum requiruntur. Declarat igitur sancta Synodus, hanc contritionem non solum cessationem a peccato et vitae novae propositum et inchoationem, sed veteris etiam odium continere, iuxta illud: 'Proicite a vobis omnes iniquitates vestras, in quibus praevaricati estis, et facite vobis cor novum et spiritum novum' (Ez 18, 31). Et certe, qui illos Sanctorum clamores consideraverit: 'Tibi soli peccavi, et malum coram te feci' (Ps 50, 6); 'Laboravi in gemitu meo; lavabo per singulas noctes lectum meum' (Ps 6, 7); 'Recogitabo tibi omnes annos meos in amaritudine animae meae' (Is 38, 15), et alios huius generis, facile intelliget, eos ex vehementi quodam anteactae vitae odio et ingenti peccatorum detestatione manasse".
[4]Il sito WEB L'Homme Nouveau riporta un importante responso della Congregazione per la dottrina della fede:

"À la question d'un prêtre français: «Un confesseur peut-il donner l'absolution à un pénitent qui, ayant été marié religieusement, a contracté une seconde union après divorce?» La Congrégation pour la Doctrine de la Foi a répondu le 22 octobre 2014 : « On ne peut exclure a priori les fidèles divorcés remariés d'une démarche pénitentielle qui déboucherait sur la réconciliation sacramentelle avec Dieu et donc aussi à la communion eucharistique. Le Pape Jean-Paul II dans l'Exhortation apostolique Familiaris consortio (n. 84) a envisagé une telle possibilité et en a précisé les conditions : “La réconciliation par le sacrement de pénitence – qui ouvrirait la voie au sacrement de l'Eucharistie – ne peut être accordée qu'à ceux qui se sont repentis d'avoir violé le signe de l'Alliance et de la fidélité au Christ, et sont sincèrement disposés à une forme de vie qui ne soit plus en contradiction avec l'indissolubilité du mariage. Cela implique concrètement que, lorsque l'homme et la femme ne peuvent pas, pour de graves motifs – par exemple l'éducation des enfants –, remplir l'obligation de la séparation, ils prennent l'engagement de vivre en complète continence, c'est-à-dire en s'abstenant des actes réservés aux époux” (cf. aussi Benoît XVI, Sacramentum Caritatis, n. 29).
La démarche pénitentielle à entreprendre devrait prendre en compte les éléments suivants :
1 – Vérifier la validité du mariage religieux dans le respect de la vérité, tout en évitant de donner l'impression d'une forme de “divorce catholique”.
2 – Voir éventuellement si les personnes, avec l'aide de la grâce, peuvent se séparer de leur nouveau partenaire et se réconcilier avec celles dont elles se sont séparées.
3 – Inviter les personnes divorcées remariées, qui pour de sérieux motifs (par exemple les enfants), ne peuvent se séparer de leur conjoint, à vivre comme “frère et sœur”.
En tout état de cause, l'absolution ne peut être accordée qu'à condition d'être assurée d'une véritable contrition, c'est-à-dire “de la douleur intérieure et de la détestation du péché que l'on a commis, avec la résolution ne peut plus pécher à l'avenir” (Concile de Trente, Doctrine sur le Sacrement de Pénitence, c. 4). Dans cette ligne, on ne peut absoudre validement un divorcé remarié qui ne prend pas la ferme résolution de ne plus “pécher à l'avenir” et donc de s'abstenir des actes propres aux conjoints, et en faisant dans ce sens tout ce qui est en son pouvoir ».
Luis F. Ladaria, sj, archevêque titulaire de Thibica, Secrétaire".

Cfr. http://tinyurl.com/hd8jfqr.
[5] Cfr. Mt 26, 33-35 e Mc 14, 29-31.
[6] Giovanni Paolo II, Lettera al Card. William W. Baum in occasione del corso sul foro interno organizzato dalla Penitenzieria Apostolica [22 marzo 1996], 5: Insegnamenti XIX, 1 [1996], 589, http://tinyurl.com/hvj5hzo; questo documento è citato anche nella nota 364 di Amoris laetitia.

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