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Grazie a Franca Giansoldati per la ripresa di questa, ennesima, brutta notizia per la Chiesa e la sua Liturgia. QUI su MiL Michael Haynes. ...

domenica 26 giugno 2016

La mitria, il Monsignore e i giornali dai titoli fuorvianti "ad effetto"

- C'è un articolo (che postiamo) che "gira" nei social ma che va letto bene anche perchè porta un  titolo fuorviante e volutamente ad effetto. 
- C'è Mattia (forse un ministrante)  che  avrebbe preferito vedere il  Prevosto indossare  la mitria in occasione del "giubileo sacerdotale"  del  40° di Messa.
- C'è un Monsignore, giustamente amato da tutti per le sante caratteristiche sacerdotali che racchiude (umiltà,  carità e mitezza d'animo) che alla fine della celebrazione ha detto  :< la mitra è per le cose ufficiali, quando c’entra la persona, bisogna essere poveri, e affidati.
Ma il Monsignore non ha affatto affermato che non metterà la mitra. 
La sua è meramente un'immagine: non dobbiamo andare in giro"con la mitra" nel senso che, al di fuori dell'ufficialità, dobbiamo rapportarci agli altri in modo semplice e umile. 
La mitra è riservata all' ufficialità, nella quale supponiamo vada in primis annoverata la Liturgia solenne.
E' la mentalità inculcata spesso dalla stampa, che vuole presentare la Liturgia  in modo demagogicamente populista o peggio marxista falsandone i valori e gli "istrumenti" liturgici: le insegne, così come i paramenti e i sacri arredi, non sono stati concepiti per un vezzo  del Consacrato ma  solo per la "maggior gloria di Dio". 
Dopo la breve parentesi del contrastato pontificato di Benedetto XVI i mass media ci ha fatti ritornare indietro di decenni: quando ci sarà concesso di riappropriarci del semplice e sano senso liturgico dei nostri Maggiori che in un occasione di una festa, nella contentezza di tutta la comunità, tiravano fuori dagli armadi della Sagrestia tutto quello che avevano di più bello e di più prezioso ?
AC

«Via la mitra dal capo. Bisogna essere poveri»
di Andrea Aliverti  

anniversario Monsignor Pagani, 40 anni di sacerdozio votati all’umiltà: «Ai preti servono solo Gesù e la gente»
BUSTO ARSIZIO - Don Severino Pagani, 40 anni di ministero sacerdotale in quella Busto che ha
imparato ad amare. «Niente mitra sul capo, bisogna essere poveri».
E la Basilica di San Giovanni gli tributa una calorosa standing ovation.
Per la Messa del 40esimo anniversario dall’ordinazione sacerdotale del prevosto, monsignor Severino Pagani, c’erano in prima fila il neo-sindaco Emanuele Antonelli e il suo predecessore Gigi Farioli, ma è arrivato anche un messaggio di Papa Francesco.
«I miei confratelli mi vogliono bene - ha ammesso don Severino a fine cerimonia - hanno organizzato tutto per me, cercando di non farmi sapere niente».
«Ho chiesto due grazie»
Per festeggiare il prestigioso traguardo di “Monsignore” - originario di Turate, ordinato nel giugno del ’76 dal cardinale Giovanni Colombo - sono stati stampati dei santini-ricordo, è stato allestito un rinfresco nel cortile della casa parrocchiale e nella serata di ieri è stato organizzato un suggestivo concerto-meditazione con tutti i cori del Decanato.
«Ho un amico su questo altare che si chiama Mattia: voleva che mettessi la mitra oggi - ha confessato don Severino - gli ho detto: la mitra è per le cose ufficiali, quando c’entra la persona, bisogna essere poveri, e affidati. Perché la persona del prete scompare, dev’essere povera».
Una lezione di umiltà, quella di monsignor Pagani, che ricorda la sua prima Messa quarant’anni fa: «A Gesù chiesi una grazia, di andare a casa alla sera sempre stanco.  Ma gli dissi anche: voglio morire da prete, perseverare fino alla fine. Me le ha concesse tutt’e due». 
E ricorda anche il suo arrivo a Busto, alla fine di giugno di quattro anni fa, dopo una lunga carriera di insegnamento e pastorale giovanile, per succedere a monsignor Franco Agnesi.
L’album dei ricordi «Il ministero pastorale mi ha insegnato che un prete entra in punta di piedi, un po’ timoroso, poi si fa accompagnare a conoscere la città e la sua grande storia.
Ai seminaristi dicevo che per diventar preti ci vogliono due cose: Gesù e la gente. 
La città aiuta ad amare la gente e a rispettare la storia personale di ciascuno, chi viene e chi non viene in Chiesa, perché tutti sono figli di Dio, sempre».
E Busto Arsizio, dopo quattro anni, la definisce ormai «la mia amata città».
Una Busto di cui, citando la lettera di San Paolo ai Corinti, può ben dire: «Sono veramente convinto che in questa città Dio ha un popolo numeroso».
Un amore ricambiato.
Don Severino ringrazia, tributando a sua volta il sindaco uscente Gigi Farioli «per il bene che ha fatto e che continuerà a fare» e il nuovo sindaco Emanuele Antonelli: «Lo saluto con grande affetto e grande stima.
Confidiamo in una distinta ed efficace collaborazione per il bene della nostra amata città».


http://www.laprovinciadivarese.it/stories/busto-e-valle-olona/via-la-mitra-dal-capo-bisogna-essere-poveri_1187495_11/

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