Il vescovo di Aleppo piange sulle rovine della Siria
di Giorgio Bernardelli
«Abbiamo avuto della settimane un po' più facili, soprattutto durante la Pasqua: c'era la tregua, abbiamo visto tanta gente nelle chiese.
Da alcuni giorni, però, purtroppo questa tregua è stata rotta.
Hanno ricominciato di nuovo a bombardare».
Il vicario apostolico mons. Abou Khazen parla nella sede della Regione a Milano, ma lo stesso racconta praticamente in presa diretta il dramma che si sta consumando in queste ore nella sua Aleppo.
A tutti ha raccontato la quotidianità della guerra ad Aleppo e di quel cessate il fuoco finito in frantumi senza che nemmeno la cosa faccia notizia nei nostri tg.
«Siamo entrati nel sesto anno della guerra - spiega mons. Abou Khazen -.
La metà della popolazione in Siria è profuga, la distruzione è totale: sembra l'Apocalisse.
E le minoranze sono coloro che hanno sofferto di più: cristiani, yazidi, assiri, caldei, musulmani moderati che stanno anche loro soffrendo».
Viene dal cielo la morte sui quartieri dei cristiani ad Aleppo: ha di nuovo il volto delle bombole di gas lanciate dalle milizie islamiste sulle zone controllate dall'esercito di Assad. Solo nelle ultime ore sono una ventina i morti provocati da questi ordigni, artigianali ma non meno letali rispetto a tutti gli altri.
«La gente li chiama il cannone dell'Inferno - racconta il vescovo - tanta è la distruzione che provocano».
La metà della popolazione in Siria è profuga, la distruzione è totale: sembra l'Apocalisse.
E le minoranze sono coloro che hanno sofferto di più: cristiani, yazidi, assiri, caldei, musulmani moderati che stanno anche loro soffrendo».
Viene dal cielo la morte sui quartieri dei cristiani ad Aleppo: ha di nuovo il volto delle bombole di gas lanciate dalle milizie islamiste sulle zone controllate dall'esercito di Assad. Solo nelle ultime ore sono una ventina i morti provocati da questi ordigni, artigianali ma non meno letali rispetto a tutti gli altri.
«La gente li chiama il cannone dell'Inferno - racconta il vescovo - tanta è la distruzione che provocano».
Distruzione non solo fisica: «La Siria è composta di 23 gruppi etnici e religiosi differenti - continua il vescovo -.
Mi piaceva paragonarlo a un bel mosaico.
È proprio questo ciò che i gruppi legati all'Isis e ad al Nusra vogliono distruggere.
Vogliono ridurre tutto a un colore solo, il colore nero».
È proprio questo ciò che i gruppi legati all'Isis e ad al Nusra vogliono distruggere.
Vogliono ridurre tutto a un colore solo, il colore nero».
Descrive le proporzioni di questa distruzione, mons. Abou Khazen: «Aleppo era paragonata a Milano: era la città industriale e commerciale della Siria - ricorda -.
C'erano 43mila tra fabbriche e piccole aziende, alcune avevano anche tremila operai. Adesso non c'è più nulla: i macchinari sono stati rubati, li hanno venduti in Turchia.
C'erano 43mila tra fabbriche e piccole aziende, alcune avevano anche tremila operai. Adesso non c'è più nulla: i macchinari sono stati rubati, li hanno venduti in Turchia.
L'hanno fatto persino con il grano immagazzinato nei silos: portato via e venduto per due piastre. Mentre la gente ad Aleppo per mesi e mesi soffriva la fame».
«Per due anni siamo stati sotto assedio completo: mancava proprio tutto - continua -.
Poi l'esercito regolare è riuscito ad aprire un varco, la strada da cui adesso arrivano i rifornimenti, il carburante, la possibilità di entrare e uscire.
Ma la città resta divisa a metà: metà dei quartieri è nelle mani dei gruppi fondamentalisti e metà sotto l'esercito regolare».
Ma la città resta divisa a metà: metà dei quartieri è nelle mani dei gruppi fondamentalisti e metà sotto l'esercito regolare».
Resta durissima la vita ad Aleppo: «L'acqua e l'elettricità sono le due sfide più grandi oggi - spiega il vescovo francescano -.
Sono sette mesi che siamo senza elettricità: per avere un po' di corrente dobbiamo rifornirci dai generatori che sono nelle strade.
Spesso poi i jihadisti ci tagliano l'acqua: l'ultima volta siamo rimasti più di due mesi senza. Per fortuna in città ci sono dei pozzi soprattutto nelle chiese, nei conventi, nelle moschee.
Spesso poi i jihadisti ci tagliano l'acqua: l'ultima volta siamo rimasti più di due mesi senza. Per fortuna in città ci sono dei pozzi soprattutto nelle chiese, nei conventi, nelle moschee.
Li abbiamo aperti e la gente viene ad attingere l'acqua.
Ma la povertà e la distruzione sono tali che mancano persino i recipienti per farlo.
Così come Chiese abbiamo cominciato a distribuire dei bidoni.
Nelle case non c'erano i serbatoi, perché l'acqua non era mai stata un problema: stiamo aiutando le famiglie a procurarsele.
Alcuni camioncini, poi, li abbiamo trasformati in piccole autocisterne: li utilizziamo per portare l'acqua agli anziani e agli ammalati.
E aiutiamo tutti, senza differenza di etnia o religione».
La disoccupazione è ovunque ad Aleppo.
«Non c'è il lavoro, non c'è il commercio - spiega mons. Abou Khazen -.
Un dollaro valeva 50 lire siriane, adesso ne vale 550.
Un dollaro valeva 50 lire siriane, adesso ne vale 550.
E lo stipendio - per chi ha la fortuna di avercelo ancora - è rimasto lo stesso.
L'embargo? Danneggia solo la povera gente che arriva a bruciarsi le scarpe per riscaldarsi».
L'embargo? Danneggia solo la povera gente che arriva a bruciarsi le scarpe per riscaldarsi».
In un contesto del genere non può stupire che la gente prende la strada dell'Europa. E non finirà finché non si porrà fine alla guerra.
Racconta di sentirsi come un padre che vede i propri figli partire: «Siamo grati per ciò che questa città sta facendo per tanta nostra povera gente - ringrazia il vescovo venuto dalla Siria -. Speriamo sia un esempio per altri di apertura e di accoglienza».
Eppure, nonostante il dramma, continua a credere fermamente nella Siria come mosaico di etnie e religioni diverse.
E non solo lui: «Il gesto del Papa a Lesbo è stato percepito da tanti musulmani per la sua delicatezza: lo hanno ammirato molto - racconta -.
Ci sono musulmani di Aleppo che quando vedono i cristiani che partono li invitano a restare.
Ci sono musulmani di Aleppo che quando vedono i cristiani che partono li invitano a restare.
Dicono loro: “Per favore non lasciateci soli”».
I gruppi che sparano le bombole del gas su Aleppo proprio questo vogliono distruggere; e mons. Abou Khazen non ha paura di dirlo ad alta voce.
Del resto ieri da Mosul, l'altra città martire, è giunta l'ennesima conferma, con la notizia di un nuovo scempio: la distruzione della chiesa dei domenicani, la chiesa con l'orologio, punto di riferimento per i fedeli di rito latino nella città irachena. ( V.foto )
Da quasi due anni ormai loro non ci sono più, costretti all'esilio; ma allo Stato islamico non basta: del mosaico vuole cancellare ogni ricordo.
Mentre tutti parlano dell'indebolimento dell'Isis, sbandierando successi veri o presunti, sul terreno il terrore e la devastazione vanno avanti.
Mentre la comunità internazionale - in Siria come in Iraq - mostra ancora una volta di avere ben altri interessi e priorità.
Fonte : La Nuova Bussola Quotidiana