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giovedì 14 aprile 2016

Misericordia per tutti, tranne che per i figli obbedienti

"Amoris lætitia". Misericordia per tutti, tranne che per i figli obbedienti

di Sandro Magister - Settimo Cielo, 8 aprile 2016

Il capitolo ottavo, su divorziati risposati e dintorni, è quello che più stupisce dell'esortazione "Amoris lætitia":
È un'inondazione di misericordia. Ma è anche un trionfo della casuistica, pur così esecrata a parole. Con la sensazione, alla fine della lettura, che ogni peccato è scusato, tante sono le sue attenuanti, e quindi svanisce, lasciando spazio a praterie di grazia anche nel quadro di "irregolarità" oggettivamente gravi. L'accesso all'eucaristia va da sé, neppure è necessario che il papa lo proclami dai tetti. Bastano un paio di allusive note a piè di pagina.
E quelli che fin qui hanno obbedito alla Chiesa e si sono riconosciuti nella sapienza del suo magistero? Quei divorziati risposati che con tanta buona volontà, per anni o per decenni, hanno pregato, frequentato la messa, educato cristianamente i figli, fatto opere di carità, pur in una seconda unione diversa dalla sacramentale, senza fare la comunione? E quelli che oltre a ciò hanno accettato di vivere "come fratello e sorella", non più in contraddizione col precedente matrimonio indissolubile, e hanno così potuto accedere all'eucaristia? Che ne è di tutti questi, dopo il "liberi tutti" che tanti hanno letto nella "Amoris lætitia"?

C'è una nota a piè di pagina – un'altra, non le due citatissime che fanno balenare la comunione per i divorziati risposati – che riserva a quelli tra loro che hanno compiuto la scelta di convivere "come fratello e sorella" non una parola di conforto ma uno schiaffo.
Gli si dice infatti che facendo così possono far danno alla loro nuova famiglia, poiché "se mancano alcune espressioni di intimità, 'non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli'". Il sottinteso è che fanno meglio gli altri a condurre una vita da coniugi anche in seconde nozze civili, magari facendo anche la comunione.
Leggere per credere. È la nota numero 329, che impropriamente cita a sostegno del suo rimprovero nientemeno che la costituzione conciliare "Gaudium et spes", al n. 51.
Ma questo è un dettaglio. Letta nel suo insieme, la "Amoris lætitia" può dare spunto a giudizi complessivamente positivi, anche da parte di analisti che non hanno taciuto le loro critiche a talune impazienze dei due sinodi sulla famiglia.
Uno di questi è Juan José Pérez-Soba, sacerdote della diocesi di Madrid e professore di pastorale familiare nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, presso la Pontificia Università del Laterano.
Molti già lo conoscono per l'ampio suo intervento su www.chiesa dello scorso 23 febbraio:
Ecco qui di seguito un suo primo commento all'esortazione.

*

NON UN CAMBIAMENTO DI DOTTRINA, MA L'INVITO A UN CAMMINO NUOVO

di Juan José Pérez-Soba

È finalmente uscito il documento più atteso del magistero degli ultimi anni, che indubbiamente segna una svolta nel pontificato di Francesco. Incoraggiavano questa attesa le enormi aspettative create attorno ai due sinodi sulla famiglia, oggetto di un grande dibattito all'interno della Chiesa. Abbiamo quindi ora le prime proposte.
La prima è la più evidente: chi aspettava un cambiamento nella dottrina della Chiesa non sarà accontentato e rimarrà deluso. Una premessa ripetuta continuamente era che l'obiettivo dei sinodi era pastorale e non dottrinale; tuttavia, molti non hanno voluto capirlo.
Non solo: chi aspettava che l'esortazione apostolica del Santo Padre andasse più avanti dei sinodi, rimarrà deluso anche lui. Alcuni sognavano questo dopo aver letto la "Relatio finalis" della XIV assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi, perché non rispondeva a molte delle questioni sollevate nel dibattito precedente. Adesso abbiamo visto che nemmeno il papa ha voluto dare loro risposta. Allo stesso modo che nel sinodo non si faceva menzione in modo esplicito dell'ammissibilità alla comunione o alla confessione nel caso dei divorziati risposati, non la si fa nemmeno qui. Il papa, nell'esprimere la sua posizione personale, non ha voluto che confermare il sinodo nelle sue stesse espressioni. Questo desiderio è molto chiaro in tutta l'esortazione, dove parecchi paragrafi non sono altro che una citazione dei testi delle due relazioni sinodali, senza nessun commento. Su un tema che aveva voluto aprire alla discussione all'interno della comunità e sul quale poteva intervenire con la sua autorità, il papa non fa altro che ripetere l'affermazione del sinodo del 2015: “Occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate” ("Amoris lætitia" 299, che cita la "Relatio" del 2015, 84).
La prima conseguenza che si ricava dall'esortazione è che la proposta del cardinale Kasper, già respinta nel sinodo, non è stata accettata. Non c'é nel testo rimando alcuno a una tolleranza ufficiale di un situazione di seconde nozze non sacramentali. Le condizioni indicate dal cardinale tedesco non sono mai menzionate. La sua richiesta che "dovrebbero valere ed essere pubblicamente dichiarati dei criteri vincolanti”, sulla base di come “nella mia relazione ho cercato di fare”, non è stata accolta.
Ma non dobbiamo dimenticare la prudenza con cui Kasper parlava della necessità di “un cammino buono e comune”. Se il desiderio del papa fosse stato una svolta in questo senso, lo avrebbe espresso chiaramente, come dimostrazione della "parresìa" alla quale alludeva lo stesso cardinale. Il fatto che non è stato così conferma che non ha voluto una svolta come valorizzazione di tutto il processo sinodale, che è il contesto vero dell'esortazione.
In definitiva, non si fornisce nessuna ragione oggettiva per la quale un divorziato che vive in una nuova unione possa ricevere i sacramenti al di fuori delle condizioni manifestate nella "Familiaris consortio", n. 84, che nella "Relatio" del 2015 è indicata, al n. 85, come “criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni”. Non la si fornisce in nessun punto del documento. Le semplici allusioni delle note 336 e specialmente 351 rimandano a situazioni di tipo generale, senza far effettivo riferimento ai divorziati risposati.
Allora, cosa troviamo nell'esortazione apostolica? Prima di tutto, il suo stesso titolo ce lo indica: "Amoris lætitia". Una spinta a prendere sul serio l'amore con la forza della gioia che caratterizza la "Evangelii gaudium". Può sembrare un'interpretazione superficiale, ma risponde al testo e all'intenzione che palpita nell'autore. Il papa stesso dice che in un testo così esteso ci sono parti che si leggeranno in modo diverso (n. 7). L'obiettivo del testo, dunque, non è fare una rivoluzione nella Chiesa, bensì portare avanti una “conversione pastorale misericordiosa” (nn. 201 e 293). Questo è certamente qualcosa di nuovo, di evangelico e senza dubbio di missionario, anche se non è quanto si aspettavano i mass media.
Per questo motivo il papa mette sull'avviso, all'inizio, su quelle che sarebbero due interpretazioni sbagliate perché provenienti da un ambito inutilmente polemico (n. 2): “I dibattiti che si trovano nei mezzi di comunicazione o nelle pubblicazioni e perfino tra i ministri della Chiesa vanno da un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento, all’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche”. È un modo per dire che per fare qualsiasi cambiamento bisogna prima riflettere e trovare le basi, e si deve rendere ciò manifesto. La conclusione chiara è che il papa non dà inizio a nessun cambiamento, bensì, come dice lui immediatamente, apre un processo di riflessione all'interno di “un'unità di dottrina e di prassi” (n. 3) aperta alle variabili di culture e tradizioni.
Per capire il valore di novità dei testi si possono distinguere, nell'esortazione, tre parti. Prima tutta una serie di testi che sistematizzano i contributi dei sinodi e seguono praticamente alla lettera le loro indicazioni. Poi i testi che vanno considerati come commenti alle catechesi del papa sulla famiglia e forniscono spunti bellissimi sulla convivenza familiare partendo dal mistero di Dio presente nella famiglia. Infine i testi nei quali il papa parla molto liberamente e in modo nuovo, e che hanno solo pochi rimandi. Ciò si trova specialmente nei capitoli quarto e quinto, che sono i più suoi, dove troviamo le affermazioni più personali, che devono illuminare le altre.
Questo non è quanto vogliono i mass media; ma è quanto il papa vuole offrire alla Chiesa nel processo aperto dal cammino sinodale. In questo contesto, osserviamo che egli cita ampiamente la teologia del corpo di san Giovanni Paolo II, praticamente ignorata nei sinodi. È lì che si trova riaffermata con delicatezza, ma al contempo con fermezza, la "Humanae vitae" come luce necessaria dell'amore coniugale.
Ecco perché tutta la sua dottrina dell'amore non è soltanto una bella riflessione ma anche una grande promessa di una svolta pastorale di dimensione importanti. Il papa dice molto chiaramente qual è il suo proposito (n. 199): “Senza pretendere di presentare qui una pastorale della famiglia, intendo limitarmi solo a raccogliere alcune delle principali sfide pastorali”. In questo senso, è specialmente importante quanto afferma  al n. 211: “La pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima di tutto una pastorale del vincolo, dove si apportino elementi che aiutino sia a maturare l’amore sia a superare i momenti duri. Questi apporti non sono unicamente convinzioni dottrinali, e nemmeno possono ridursi alle preziose risorse spirituali che sempre offre la Chiesa, ma devono essere anche percorsi pratici, consigli ben incarnati, strategie prese dall’esperienza, orientamenti psicologici. Tutto ciò configura una pedagogia dell’amore che non può ignorare la sensibilità attuale dei giovani, per poterli mobilitare interiormente”.
Qui si vede il primato di una visione pastorale il cui centro è insegnare ad amare, superando la mera visione dottrinale o le considerazioni spirituali. Il fatto di centrarla sul vincolo indica la necessità di avere come fine primario quella preziosa realtà umana che non può essere ridotta a una considerazione giuridica.
Ecco perché i suoi apporti nuovi sono una riflessione più estesa sulla teoria del "gender" (n. 56) e la necessità di superare un sentimentalismo dell'amore, che richiede un'adeguata educazione sessuale (nn. 280-286), oltre che contribuire con la riflessione più sistematica sulla carità coniugale che si trova nel magistero (nn. 120-122). Questi sono i fari che devono guidare le azioni che compaiono nel capitolo ottavo e il cui obiettivo è condurre le persone a quella pienezza di vita che l'amore ci dona. Il papa vede tutto questo unito in modo diretto al "kerygma", sul quale ha sempre fondato il suo impulso pastorale (n. 58), come anelito evangelico che accompagna tutto il suo pontificato.
Questa è, veramente, un'intuizione pastorale enorme riguardo alla famiglia perché, come ha detto a Santiago de Cuba il 2 settembre 2015, le famiglie “non sono un problema, sono principalmente un'opportunità” (n. 7). Questa intuizione è essenziale per portare avanti la svolta di una Chiesa più famigliare, autentica “famiglia di famiglie” (n. 87). Richiede la conversione pastorale di un'azione misericordiosa che è la luce che illumina tutto il capitolo ottavo.
Ciò non può essere considerato come secondario, ma bisogna vederlo sempre alla luce della positività dell'amore, per non cadere in una casuistica che il papa rifiuta. E intende questo come una ricerca che non è un cambiamento delle norme, come sperano alcuni. Per dirla con le parole del papa (n. 304): “Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione”.
È qui che egli ci invita a una più profonda riflessione sull'azione pastorale, nella quale la misericordia è parte della sua stessa ragione interna. È un compito ancora da svolgere, e il papa vuole aprire la via. È qui che si compie quello che lui chiede all'inizio (n. 2): “La riflessione dei pastori e dei teologi, se è fedele alla Chiesa, onesta, realistica e creativa, ci aiuterà a raggiungere una maggiore chiarezza". Le tre chiavi che introducono il capitolo ottavo, “accompagnare, discernere ed integrare”, hanno senso non come azioni separate, bensì guidate dall'amore che dona loro il proprio contenuto.
Senza cambiamenti nella dottrina e nella normativa ecclesiale, il papa apre un processo di maggior comprensione della misericordia nella pastorale della Chiesa. Ma lo fa chiaramente partendo dalla sua precedente riflessione sull'amore, perché la misericordia è un suo frutto (n. 27). È ben consapevole del “vero significato della misericordia, la quale implica il ristabilimento dell’Alleanza” (n. 64). Nella riflessione pastorale non manca di fare riferimento ai documenti precedenti del magistero, che sono principio di interpretazione della portata della sue affermazioni. Fa così con la "Familiaris consortio" e con la dichiarazione sull'ammissibilità alla sacra comunione per i divorziati risposati del pontificio consiglio per i testi legislativi (24 giugno 2000). Riguardo all'azione umana e alla sua razionalità cita ripetutamente san Tommaso d'Aquino e il Catechismo della Chiesa cattolica. Certamente sta tracciando una via in perfetta continuità ecclesiale, ma con un nuovo respiro: quella letizia che unisce questo documento con la "Evangelii gaudium".
Dobbiamo capire bene l'apertura pastorale di questa esortazione per evitare di cadere in interpretazioni ambigue della stessa, che il papa stesso sa bene quali effetti disastrosi potrebbero avere nella pastorale, e per questo motivo sin dall'inizio, come abbiamo letto (n. 2), reclama la necessità di essere chiari.
Questo dipenderà, in larga misura, delle famiglie cristiane, che sono riflesso del vero Vangelo che le unisce.