In questa domenica in cui la Chiesa festeggia la Divina Misericordia, torna utile rammentare una visione cattolica di questo termine tanto strapazzato in questo anno giubilare ed in questo pontificato. Lo facciamo riproponendo il testo di un'omelia in merito.
EP
I sacerdoti sono tenuti anche a predicare l’amore con il
proprio esempio e le proprie parole perché, se la luce brilla, essa inoltre
riscalda. Bisogna che i sacerdoti siano pieni della carità di Nostro Signore
Gesù Cristo. La Croce è l’atto di carità più bello, più grande, più sublime che
sia mai esistito sulla terra. Nessun atto di carità è stato nemmeno
paragonabile a quello che Gesù ha compiuto sulla Croce. Egli allora ha prodotto
un atto infinito di carità. Con la sua immolazione ha amato Dio, ha glorificato
il Padre, la Santissima Trinità. Avrebbe forse potuto compiere un atto d’amore del
prossimo più grande che versare tutto il proprio Sangue sulla Croce per
riscattarci? No, non è possibile.
Allora noi, predicatori della Croce, non possiamo non
predicare la carità, non essere caritatevoli. “Dio è carità” (1 Gv 4,8), dice
san Giovanni. Dunque, dobbiamo predicare la carità. La carità, dobbiamo
manifestarla prima a quelli che, come noi, hanno ricevuto la grazia del
battesimo. Come dice san Paolo, noi dobbiamo prima praticare la carità verso i
nostri fratelli nella fede (Gal 6,10), verso chi, come noi, ha in sé la grazia
di Nostro Signore Gesù Cristo, ma dobbiamo anche manifestarla verso i
peccatori, quelli che sono nell’errore, nell’eresia, nello scisma, che
abbandonano Gesù Cristo. E come si chiama l’amore che dobbiamo nutrire verso i
peccatori, le persone che vivono nell’errore? Misericordia. La Croce è un’opera
manifestamente gloriosa di misericordia perché, se Nostro Signore non si fosse tanto chinato
sulla nostra miseria e, vedendoci peccatori, ci avesse rigettato perché odiava
il peccato, noi saremmo stati tutti condannati. Nessuno, tra di noi avrebbe
potuto essere salvato, eccetto la santissima Vergine Maria. Di conseguenza, noi
non abbiamo il diritto di non essere misericordiosi, di non chinarci sulle
miserie di questo mondo. Dobbiamo incontrare i peccatori, non per lasciarci
attirare dai loro peccati, né per confermarli nei loro peccati, né per essere
deboli davanti all’errore e al disordine del peccato, ma per guarirli, per
attirarli alla salute spirituale, come il medico si china sul malato per fargli
ritrovare la salute: ecco quello che dobbiamo fare.
Mons. Marcel Lefebvre, omelia ad Econe il 2 febbraio 1978