Riprendiamo dal sito del CNSP, un ricordo commosso di don Pierangelo Rigon scritto da Italo Francesco Baldo per il Coetus di Ancignano, a una settimana dalla sua scomparsa.
Anche noi ci uniamo al dolore dei dei suoi amici di Ancignano, condividendone però la
preghiera in suffragio dell'anima del caro sacerdote per trovare conforto nella sicura speranza
cristiana.
Roberto
AGGIORNAMENTO: Questa sera alle 19 nel Duomo di Sandrigo verrà celebrata una Santa Messa nel 7° della sua morte.
Requiem aeternam dona ei, Domine, et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace. Amen.
Requiem aeternam dona ei, Domine, et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace. Amen.
“La
mia vocazione è nata lì: dal servizio all’altare, osservando gesti
ieratici, ascoltando l’eco della preghiera di chi mi aveva preceduto
usando gli stessi segni sacri, le medesime parole per esprimere la fede
nel Mistero di Dio affidato alla sua Chiesa.”
*
“Un ragazzino pensoso alla vigilia
del suo ingresso (6 ottobre 1968) nel seminario vescovile di Vicenza:
attratto dal sacro ministero sacerdotale, ancora non può sapere
attraverso quali vie, spesso strette e tortuose, il buon Dio lo
preparerà a diventare ministro dell’altare, cui salirà il 9 aprile
1983.”
*
“Imposizione delle mani del Vescovo
mons. Arnoldo Onisto. E’ un momento indescrivibile: lo Spirito prende
possesso di un pover’uomo e ne fa un “alter Christus”. Solo questa
grazia, non certo i miei sforzi e la mia buona volontà, che comunque non
è mancata, mi ha mantenuto fedele per oltre trentadue anni …”
*
“Stavo pensando a quel giorno, 8
settembre 2005 (dieci anni fa!), quando ho iniziato il servizio
sacerdotale in quel di Ancignano. In quel giorno si commemoravano i 100
anni dall’inaugurazione del campanile e, per l’occasione, ho riesumato e
indossato una mozzetta (non la porta più neanche il papa…) per dare una
solenne benedizione. Qualche risolino di compatimento … ma io avanti lo
stesso!”
*
*
*
Visita pastorale del Vescovo Pizziol alla comunità legata al Rito antico. In compagnia di un giovanissimo chierichetto innamorato del Rito antico.
Don Pierangelo Rigon (8 agosto 1957 – 17 febbraio 2016)
Non può bastare una vita per conoscere
il mondo che un uomo porta dentro di sé e che è in grado di regalare a
chi gli sta accanto. Figurarsi quanto possono fare poche, pallide
parole, scritte da chi conosceva don Pierangelo Rigon da meno di due
anni. Ma l’intensità degli affetti supplisce alla brevità del tempo. E
se «un’ora non è mai solo un’ora ma un vaso colmo di profumi, di suoni,
di progetti e di climi» – come scriveva Proust nella Recherche – così
questi due anni sono stati un continuo incenso di grazie temporali e
spirituali che il Signore mi ha dato attraverso l’amicizia con don
Pierangelo, il suo impegno nella celebrazione e nella promozione della
S. Messa celebrata secondo la Forma Straordinaria del Rito Romano, la
sua attenzione pastorale e dottrinale. Ed è stata proprio la comune
sensibilità ed attenzione dottrinale il “fomite” – per dirla con San
Tommaso – della mia piccola collaborazione in quel di Ancignano, quando
don Pierangelo mi ha proposto di curare una breve rubrica settimanale
nel foglietto di coordinamento parrocchiale “Placeat” dedicata alla
Dottrina Cattolica. Un segno della sensibilità, intelligenza e
sollecitudine pastorale di questo sacerdote: non si trattava di proporre
dotti contenuti teologici ma di ricordare gli insegnamenti della Santa
Chiesa come faro perenne della nostra vita di fede, come viatico
verso
una condotta coerente con le nostre promesse battesimali. Ben ricordava
don Pierangelo l’ammonimento di San Paolo: «Verrà giorno, infatti, in
cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire
qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie
voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole»
(2Tm 4, 3-4). Vedeva quante anime, sperdute in quel ginepraio
relativista e modernista con cui il cattolico deve fare necessariamente i
conti oggi, corrono il rischio di essere traviate dalla confusione
dottrinale, dal pontificare di falsi maestri. A coloro che lo cercavano
per la confessione, per la direzione spirituale o semplicemente per un
bisogno di essere ascoltati, don Pierangelo indicava le armi per la
“buona battaglia”: la frequenza nei Sacramenti, la preghiera e la Santa
Dottrina Cattolica. Insomma, attingere dalla Tradizione plurisecolare
della Chiesa, dai suoi più luminosi testimoni, dalla “veterum sapientia”
ma non in una sorta di prospettiva archeologica – quasi si trattasse di
vecchi e impolverati fossili – ma con la riverenza del discente verso
un patrimonio di grazie che il Signore conserva con la potenza del Suo
Spirito e per tali ragioni non solo non può eclissarsi ma nemmeno
perdere la sua attualità e potenza salvifica.
Tutto questo e molto altro don
Pierangelo ha saputo trasmettere con le parole e la testimonianza di
vita, a me e a tutti coloro i quali hanno varcato le porte della piccola
parrocchia di San Pancrazio ed hanno scorto in un “semplice” sacerdote
in talare, un vero servo di Cristo e della Sua Chiesa.
Marco Ciuro
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E’ iniziata la seconda vita del
reverendo don Pierangelo Rigon, che ha consacrato tutta la sua vita al
servizio di Dio. Educato da una famiglia cattolica e attenta alla
partecipazione della vita ecclesiale, dopo gli studi nel Seminario
diocesano di Vicenza, la consacrazione a sacerdote nel Duomo di Sandrigo
ad opera del vescovo mons. Arnoldo Onisto, svolse il suo ministero in
varie parrocchie della diocesi di Vicenza e negli ultimi anni in quella
di Ancignano, la piccola frazione di Sandrigo dall’umile alto campanile
che volle restaurato come la settecentesca Chiesa. Attento al servizio
divino sia quello interiore, la preghiera, sia a quello liturgico, ne
approfondiva i vari aspetti e curava con particolare attenzione che le
celebrazioni fossero sempre ben attente a sottolineare come in esse la
centralità appartiene sempre e solo Dio, a Dio Padre, a Dio Figlio a Dio
Spirito Santo. Nel corso della sua vita approfondì con studi presso il
Pontificio Ateneo Sant’Anselmo il valore della liturgia; si addottorò
con una dissertazione sull’opera liturgica del cardinale Alfredo
Ildefonso Schuster (Per ritus et preces … consummentur in unitatem cum Deo: L’opera liturgica del card. Alfredo Ildefonso Schuster
(1880-1954), Vicentine, s.n., 2006). Il Reverendo colse con attenzione
i segni di rinnovamento della chiesa cattolica, e tenne in grande
considerazione la tradizione come tesoro dal quale attingere ne e per il
presente. Fu sempre fedele al grande mandato che i presbiteri ricevono
all’ordinazione, cioè quello di curare la Santa Messa per i vivi e i
morti e la cura delle anime che gli erano affidate e quelle che a lui si
rivolgevano e sempre con grande disponibilità, servendosi anche dei
mezzi moderni di comunicazione.
Con sincera adesione al magistero
apostolico, svolse i compiti che gli erano di volta in volta affidati
senza protagonismi e con pacatezza espresse sempre il suo pensiero,
argomentandolo con serenità d’intenti e di azione conformi. Quando papa
Benedetto XVI con il Motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007
concesse la possibilità di celebrare ad ogni presbitero la S. messa
nella forma prevista dal papa Giovanni XXIII nel Messale Romano del
1962. Don Pierangelo accolse con benevolenza l’invito di molti fedeli
della diocesi vicentina e in accordo con il Vescovo, mons. Cesare
Nosiglia, iniziò, dapprima nella Chiesa di San Rocco a Vicenza e poi
nella sua, dedicata a San Pancrazio, ad Ancignano, le celebrazioni. Ebbe
sempre molta attenzione, anche quando certi presbiteri “alla moderna”
cercarono di distoglierlo, per il rito antico, ma don Pierangelo sapeva
che il suo servizio era importante per molti e con l’assenso
dell’attuale vescovo di Vicenza, monsignor Beniamino Pizziol, continuò
fino alla fine a svolgerlo, mai trascurando i suoi doveri nella
parrocchia per i fedeli che continuavano ad usufruire delle celebrazioni
secondo il Messale Romano promulgato da papa Paolo VI. Non
discontinuità tra i due riti, ma complementarietà semmai, come è nella
Chiesa, che per don Pierangelo era sempre unica nel tempo e nelle sue
vicende. Illustrò anche pubblicamente il Mutu proprio ed ebbe la gioia
di vedere la Chiesa di San Pancrazio con sempre nuovi e anche giovani
fedeli. Con sobrietà e insistendo sul valore spirituale, avvicinò coloro
che con continuità o talora frequentavano la sua parrocchia, dove si
era formato un gruppo stabile di fedeli, apprezzato anche dal Vescovo
che loro affidava, durante la visita pastorale il 31 gennaio 2016, il
compito di significare il valore della liturgia nella forma prevista dal
Motu proprio. In questa prospettiva don Pierangelo aveva predisposto
settimanalmente un bollettino, Placeat nel quale illustrava la messa
domenicale e forniva, con l’ausilio dei fedeli, preziose comunicazioni e
note teologiche, che esprimeva anche nelle Prediche in cui univa
scienza e armonia del discorso.
Una particolare attenzione don
Pierangelo diede al canto liturgico, memore di quanto il vescovo
Ferdinando Rodolfi aveva sostenuto nell’opuscolo “Che il popolo canti”,
riedito più volte. Favorì la nascita di una Schola cantorum chiamata
“Laetificat juventutem meam” e la partecipazione di altre Schole della
diocesi alla liturgia antica domenicale, coinvolgendo anche alcuni altri
presbiteri. In occasione della visita pastorale di mons. B. Pizziol
aiutò la nascita dell’“Associazione mons. Ferdinando Rodolfi, pro missa
antiqua” che, come recita lo statuto, ha come scopo “la crescita e
l’incremento spirituale dei suoi membri e di soggetti terzi
specialmente per mezzo dell’esercizio del culto cattolico, così
come tramandato dalla santa e venerabile Tradizione della
Chiesa, nonché la promozione della forma “straordinaria” del
Rito Romano della Santa Messa e dei Sacramenti, così come
stabilito dal motu proprio “Summorum Pontificum” di papa Benedetto
XVI” (art.4).
Accanto alla grande attenzione per la
liturgia sia nella forma in uso sia in quella straordinaria non
dimenticò la cura delle anime con attenzione e costante vicinanza, anche
quando la salute difettava.
Lascia una bella eredità, come figura di
sacerdote, alla quale sempre fu legato, come si espresse commentando
degli scritti dottrinali inediti del presbitero e poeta vicentino
Giacomo Zanella (Editrice Veneta, 2015). A noi che lo abbiamo amato e
apprezzato, resta non il ricordo, ma l’autentica memoria che quanto da
lui compiuto sia quel terreno fertile nel quale la Chiesa Cattolica,
come lui voleva, trovasse sempre nuova acqua per irrigare con la
preghiera, i campi della fede, come indicava Santa Teresa d’Avila.
Italo Francesco Baldo