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domenica 27 dicembre 2015

Spiritualità ecclesiale della musica sacra




                            Un saggio di Cornelio Fabro e un discorso di papa Benedetto

  L’emarginazione  della musica sacra, in particolare liturgica, dal CVII in poi,  ha lasciato un vuoto nella pratica religiosa del mondo cattolico e continua a suscitare dure critiche non solo da parte di musicisti di Chiesa fedeli alla tradizione, ma anche da parte di tanti fedeli privati di un mezzo efficace per recepire la parola di Dio, iniziato con la Chiesa nascente.                                             
  C. Fabro, grande filosofo e teologo ( 1911-1995), sacerdote della Congregazione delle Sacre Stimmate, del quale si sta ristampando l’opera omnia, molto critico della ‘svolta antropologica’, seguita al CVII, fu uno dei più autorevoli collaboratori della rivista di musicologia sacra ‘Cappella Sistina’, fondata dal venerato M°. card. Bartolucci, per la quale scrisse un magistrale saggio sul n.11 del 1966, quando stava maturando la riforma liturgica post-conciliare. Ottimo organista, il M° F. Vignanelli, titolare della cattedra di organo  presso il Pontificio Istituto di Musica Sacra, gli propose di diventare suo assistente. La sua autorevole voce, come quella di molti altri, critica della distruttiva riforma liturgica, fu proditoriamente oscurata.  Dall’ampio saggio di C. Fabro sono qui trascritti i passi più pertinenti alla musica sacra ed, in particolare, liturgica:
 “ La musica è, come il linguaggio, una presentazione sensibile dello spirito, ma, mentre il linguaggio evoca direttamente idee, emozioni, immagini, la musica è anzitutto e soprattutto espressione di suoni di ‘ forme di suono’, di dinamismo di complessi e strutture sonore  affidate a strumenti o alla stessa voce umana nel canto.  La musica, come il linguaggio, può spaziare in tutti i campi dello spirito, coglierne le intime movenze per evocarle in una partecipazione universale. La musica, anzi, può superare lo stesso linguaggio, obbligato a rispettare le regole della grammatica e della sintassi, poiché, quando si applica alla parola e diventa canto tende ad invadere l’intera persona, a scuotere le forze più misteriose e a esprimere  le passioni e aspirazioni più profonde. Nella storia della civiltà la musica è stata legata soprattutto alle manifestazioni del culto verso l’Essere supremo ed alla celebrazione dei riti della vita e della morte; soprattutto per la religione cristiana nella quale la musica ha assunto forme nuove e di eccezionale ricchezza spirituale.
  L’arte musicale esige una conoscenza accurata e specifica della scienza dei suoni nei loro rapporti e sviluppi ( contrappunto); ma, d’altra parte, la musica scaturisce da una ‘ idea musicale’ che muove nell’anima da cieli ignoti : là è scienza e conoscenza obiettiva, qui è ispirazione ed elevazione subiettiva , slancio ed impeto dello spirito. Parimenti la musica, come arte del suono, esige da un lato un impegno obiettivo  quale si richiede nell’esecuzione di qualsiasi pezzo musicale; dal lato soggettivo, invece, della comprensione ed interpretazione, l’attività musicale ha radici misteriose e segrete che rimandano alla struttura più propria  dell’Io nascosto  nel fondo della coscienza.
  Non stupisce allora che nella Sacrosantum Concilium ( SC), la musica goda di particolare favore: ‘La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio di inestimabile valore, per il fatto che il canto sacro unito alle parole è parte necessaria e integrante della liturgia solenne. La Chiesa riconosce il canto gregoriano come canto proprio della liturgia romana al quale spetta, a parità di condizioni. il posto principale; altri generi di musica, specialmente la polifonia, sono ammessi purché rispondano allo spirito del’azione liturgica’. Si raccomanda poi ‘ una partecipazione al canto di tutta l’assemblea dei fedeli’. Coesistenza  di tradizione e novità; la conciliazione non sembra facile. La difficoltà non è affatto apparente e per poco che si voglia forzare uno dei termini si turberà quel meraviglioso equilibrio che deve regolare l’azione liturgica perché possa incidere intimamente nelle anime. 
  ‘Canto del popolo’ e ‘canto popolare’ sono presi dagli avversari del ‘canto ecclesiastico’ per sinonimi, ma la realtà è meno semplicistica, perché il popolo può ben essere educato al canto gregoriano come l’hanno mostrato abili maestri di cappella e zelanti pastori di anime e allora la liturgia diventa veramente, nella partecipazione alle mistiche riflessioni del canto liturgico per eccellenza, una commossa festa dello spirito. Questo è l’autentico ‘canto del popolo’, nella spirituale continuità con la societas fidelium che ci ha preceduto nell’unità del segno della fede. Ma, se per canto del popolo s’intende l’abolizione e la sostituzione del canto gregoriano e della polifonia, allora il discorso diventa oscuro. Il cosiddetto canto popolare sarà allora il rivestimento dei testi liturgici con temi arieggianti nenie e movenze melodiche popolari, con il pericolo tutt’altro che nuovo ed ipotetico di cadere nelle sguaiataggini  per non dire nella profanazione aperta. Chi ha potuto conoscere certe manifestazioni religiose, sa  qualcosa di siffatti ‘ canti religiosi popolari’ e conosce il discredito che gettano sulla religione. E’ chiaro che ‘ la partecipazione del popolo’  non si identica affatto con il canto popolare nella lingua volgare di cui si sono fatti paladini i fautori del ‘populismo liturgico’. Non si comprende come qualcuno, appellandosi alla SC, abbia potuto scrivere: “Dopo che il coro si è isolato ad unità autonoma, la musica è diventata nella liturgia un elemento perturbatore  Allora tocca alla liturgia, alla manifestazione del sacro essenziale e soprannaturale com’è il culto cattolico, diventare proletario e banale e abbassarsi, oppure è invece l’uomo che si deve elevare alla grandezza ed alla consolazione dei dogmi che la dignità delle cerimonie e la sublimità del canto per ‘estrarlo’dalle banalità quotidiane e avvicinarlo a Dio ?
  La musica polifonica e corale, che, è ovvio, necessita di una Cappella qualificata e va riservata alle manifestazioni più solenni, esigerebbe, per l’importanza e il significato altamente spirituale che le compete, un discorso a parte. L’intensità del pathos religioso, la luminosità dei dogmi e lo struggimento dell’anima per Dio, trovano in tale musica l’espressione più alta e completa, mai più superata; la sua fedeltà all’ispirazione dei temi gregoriani che le garantiscono la continuità con la tradizione e la purezza del sentimento religioso. D’altra parte, la costruzione delle parti nello sviluppo delle idee musicali è in grado di esprimere nell’incontrarsi e intranearsi delle voci, le dimensioni dello spirito spinto ai vertici dell’infinito. Ai cantori della Cappella Sistina,  autentici ministri laici della liturgia, che un corrosivo ‘populismo liturgico’ vorrebbe bandire dalla Chiesa, Paolo VI si rivolgeva, nella festa di S. Gregorio Magno: “Voi siete quelli che interpretate la nostra preghiera, la rendete bella, le date anima per salire fino al Signore. …In tutto il mondo si è fatto sentire l’eco dei vostri canti
 Valga per tutti, la voce accorata del M° Bartolucci, direttore della Cappella Sistina : “ La liturgia della Chiesa ha trovato nel canto e nella musica la sua anima. Certi inni festosi e certi versetti tristissimi ricevono dalla musica la loro caratterizzazione più evidente e più immediata. Chi non riconoscerebbe la letizia che scaturisce dal repertorio sia gregoriano sia polifonico che i musicisti nei vari secoli hanno preparato per le festività pasquali? Basterebbero le prime note del Kyrie della notte del Sabato Santo! O la bellissima sequenza di Pasqua o il sublime offertorio ‘Terra tremuit’ con il trepidante Alleluia. Chi non riconoscerebbe l’intensità e la commozione dei canti gregoriani della liturgia del Venerdì Santo, per lo scoprimento e l’adorazione della Croce così come ce li hanno tramandati i secoli o gli immortali Improperia palestriniani? E potremmo continuare con l’Avvento, la liturgia dei morti etc. .. Oggi se il popolo diserta la liturgia solenne non facciamone colpa ai musicisti perché cantano in latino e costringono  il popolo a star zitto. Ricordo che il popolo cantava a gran voce: ai Vespri, alle Messe Solenni alle Via Crucis. La Chiesa aveva un repertorio incommensurabile di canto popolare praticato da secoli affondante le sue radici  nel gregoriano e nelle laudi. Tutto s’è perso! Così il popolo non canta, come non prega  più. Partecipazione attiva  dei fedeli alla sacra liturgia è anche quella di ascoltare, rivivendo nel proprio intimo quanto gli interpreti ufficiali per lui rivolgono a Dio
 La musica tocca, per vie sconosciute, le dimensioni infinite delle vie dello spirito e ne evoca misteriose impressioni e possibilità nuove. La musica sacra non è poi semplice potenziazione del linguaggio, come qualsiasi musica, ma l’evocazione  dei misteri e delle consolazioni della nostra fede giunta ai confini ultimi del senso e dello spirito in quell’incontro di attese e di speranze, di ultime consolazioni e di gaudi supremi che il nostro padre Dante affida alla musica e al canto dei beati. Il populismo liturgico che vuole bandire le Scholae cantorum , ossia la musica sacra, per far posto al cosiddetto ‘ canto popolare’, non è soltanto un’incomprensione delle direttive dei Pontefici da Leone XIII in poi e delle norme della SC, ma un attentato all’aspirazione universale di ogni coscienza umana.  Speriamo che queste considerazioni possano prevalere sullo zelo incomposto dei nuovi iconoclasti della gemma forse più preziosa e spirituale del culto cattolico. Ogni anima profondamente religiosa, anche delle classi più umili, è fiera e contenta che le lodi e le suppliche della Chiesa a Dio, salgano al cielo con i più fulgenti splendori del culto e del canto come una tregua e un sollievo alla dura lotta per la vita e un’anticipazione della pace e della speranza di cui attende il compimento infallibile della morte “.                   
  Dopo mezzo secolo, il discorso di ringraziamento ( ancora una sua lectio magistralis!) di papa Benedetto XVI, tenuto in occasione del conferimento della laurea honoris causa, da parte della Pontificia Università e dell’Accademia di Musica di Cracovia, il 4 luglio 2015, riprende e approfondisce, anche in base all’esperienza personale di musicista e teologo della liturgia, alcuni dei concetti del Fabro:
“…. Si può dire che la qualità della musica dipende dalla purezza e dalla grandezza dell’incontro con il divino, con l’esperienza dell’amore e del dolore. Quanto più pura e vera è quest’esperienza, tanto più pura e grande sarà anche la musica che da essa nasce e si sviluppa”….La risposta grande e pura della musica occidentale si è sviluppata nell’incontro con quel Dio che nella liturgia si rende presente a noi in Cristo Gesù. Quella  musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così è avvenuto un incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente  per la fede dell’intera cristianità. Essa non può scomparire dalla liturgia e la sua presenza può essere un modo del tutto speciale di partecipazione alla celebrazione sacra, al mistero della fede….Il grande dono della musica, che proviene dalla tradizione della fede cristiana, resti vivo e sia di aiuto perché la forza creativa della fede anche in futuro non si estingua“.

Bibliografia

-D. Bartolucci: La colpa è tutta dei musicisti? Boll. Ceciliano; n.4, p.3, 1964.  Funzionalità e arte nella musica liturgica. Atti I Conv. Naz. Compositori AISC. Trento; p.51,  1991.
-D. Celada: Riforma liturgica e musica sacra. Capp. Sistina n.4. p. 71, 1964 ( la rivista che ebbe prestigiosi collaboratori, quali il preside del PIMS I. Anglés, gli storici della musica G. Pannain e G. Confalonieri, compositori anche di musica sacra come L Chaylly ed insigni maestri di Cappella di varie nazioni, non poteva non essere invisa al gruppo dei novatori che, sebbene minoranza esigua, avevano conquistato il potere e vinto: “ perché il papa era con noi” . La Segreteria di Stato impose alla redazione di farsi promotrice d’ufficio del nuovo corso, ma il M° Bartolucci preferì interrompere le pubblicazioni nel 1967 ).
-E. Schmidt:Il popolo cristiano al centro del rinnovamento liturgico.Civ. Catt. p. 127, giugno 1964.
-E. Fagiolo ( a cura di): Domenico Bartolucci e la musica sacra del novecento. Padova, 2009.
-E. Papinutti:Musica e Concilio. Saronno, 2015.
-Discorso di papa Benedetto XVI in occasione del conferimento del dottorato honoris causa da parte della Pontificia Università G. Paolo II e dell’Accademia di Musica di Cracovia ( 4 luglio 2015). Rinascita Gregoriana, n.63; settembre 2015.
                                                                        
 Enzo Fagiolo

1 commento:

  1. Quanto è vero quello che è stato appena detto sulla musica sacra....che ahimé viene molto spesso disatteso....

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