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venerdì 4 dicembre 2015
Card. Sarah: “Il mondo non ha bisogno di ‘profeti’ ma di ‘testimoni’ disposti a morire per la verità”
Zenit 25-11-2015
Per il cardinale Robert Sarah è stata una sorta di ringraziamento al santo cui aveva affidato la stesura del sua ultima fatica editoriale. Ieri sera, un paio di mesi dopo l’uscita di Dio o niente. Conversazione sulla fede (Cantagalli, 2015), realizzato in collaborazione con Nicolas Diat, il prefetto per la Congregazione del Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha presentato il volume nella chiesa romana di Santa Maria in Vallicella, dove sono custodite le spoglie di San Filippo Neri.
A moderare l’incontro suor Alexandra Diriart docente di teologia sacramentale presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, che, nell’introdurre l’illustre ospite, ha fatto riferimento proprio ad una massima del fondatore della Congregazione Oratoriana: “Chi vuole altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che si voglia. Chi dimanda altra cosa che non sia Cristo, non sa quello che dimanda. Chi opera e non per Cristo, non sa quello che si faccia”. Parole che sembrano echeggiare lo spirito dell’ultimo libro del cardinale africano.
Stile sobrio, pacato e riservato, Sarah può ricordare Benedetto XVI, sia nell’approccio umano che nella chiarezza e nel rigore dottrinale, ma, mentre in Ratzinger spicca soprattutto per l’acume intellettuale e la ratio mitteleuropea, nel porporato guineano, prevale la fides e un approccio spirituale, probabile eredità del suo continente d’origine.
“Questo libro l’ho scritto pregando”, ha infatti esordito il cardinale davanti al pubblico della ‘Chiesa Nuova’. Pur ammettendo di aver rifiutato a Nicholas Diat la proposta di una biografia, perché a suo avviso “non sarebbe stato molto interessante”, Sarah ha realizzato un libro in cui il suo vissuto personale è indubbiamente presente. A partire dalle ferite legate all’appartenenza a una chiesa perseguitata. Subito dopo l’indipendenza, nel 1958, la Guinea è stata infatti segnata da un regime di stampo socialista ed anticlericale, guidato per 26 anni dal dittatore Ahmed Sékou Touré.
“Nel 1984 fui iscritto dal regime in una lista di persone da eliminare - ha raccontato Sarah -. È stata la divina provvidenza a sottrarmi alla morte ed io ho iniziato a intravedere nella mia vita una chiara predilezione del Signore su di me”.
Tanto forte è la gratitudine del porporato africano a Dio, quanto notevole è la sua meraviglia di fronte all’incredulità del mondo di oggi. Più egli osserva l’attualità, più si convince che la maggior parte dei mali che affliggono il mondo – guerre, terrorismo, sfruttamento, aborto – siano il frutto di una “eclissi di Dio”, di un’umanità che ha perduto la fede.
Se in un paese progredito come il Belgio, ha affermato a mo’ di esempio Sarah, l’eutanasia infantile viene approvata, senza incontrare significative opposizioni, allora “è il futuro dell’umanità ad essere in gioco”.
“In Occidente, Dio è morto e siamo noi i suoi assassini”, ha detto senza mezzi termini il cardinale, sottolineando che i segni di questo ‘delitto’ sono evidenti anche in ambito cattolico. Molte chiese sono diventate “la cripta e la tomba di Dio”, ha detto, e la gente le frequenta sempre meno per non sentire quell’odore di morte.
“L’economia, la finanza, la scienza, la tecnologia, la medicina – ha proseguito – sono importanti ma sono nulla di fronte a Dio”. Se l’uomo conserva un buon rapporto con Dio, allora a beneficiarne saranno tutte le relazioni all’interno dell’umanità, diminuiranno le guerre e trionferà la pace.
Parlando dell’estrema drammaticità dell’attuale quadro geopolitico, Sarah, pur condannando fermamente ogni forma di violenza a sfondo religioso, ha voluto richiamare l’Occidente alle sue responsabilità e ai suoi errori. L’eliminazione di Osama Bin Laden, come anche quella di Muhammar Gheddafi, sono state “un atto barbarico”.
Anche i terroristi e i dittatori, ha dichiarato il cardinale, “sono figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza”, pertanto il corpo dello stesso Bin Laden non meritava di essere gettato in mare. Anche i più sanguinari tiranni, se uccisi, “le salme andrebbero consegnate ai familiari per una degna sepoltura”, ha auspicato Sarah. Secondo il cardinale, reazioni troppo brutali dell’Occidente alle aggressioni da parte del fondamentalismo islamico, possono soltanto contribuire a incrementarne ulteriormente l’odio.
Nonostante i recenti tragici sviluppi nello scenario internazionale, il cardinale Sarah, sulla scia del Concilio Vaticano II, continua a credere nel dialogo interreligioso, sebbene, ha ammesso, “il dialogo con l’Islam è difficile”. Secondo il porporato, la tensione tra Islam e cattolicesimo, ha una radice “più culturale che religiosa” ed è anche il frutto della nostra secolarizzazione che “può esasperare i musulmani”.
Proprio come Benedetto XVI a Ratisbona, il cardinale Sarah ritiene impossibile un “dialogo teologico”, poiché i musulmani ritengono che la rivelazione di Maometto sia l’ultima e la definitiva, né essi credono nella Trinità o nella divinità di Cristo. È possibile, però, un dialogo su temi come la “famiglia”, i “diritti umani” o lo “sviluppo”.
Tornando a parlare degli ultimi due Sinodi della famiglia, il porporato ha definito l’Instrumentum Laboris, un testo “confuso e ambiguo”, mentre nell’assemblea ordinaria dello scorso ottobre, “grazie al lavoro dei gruppi siamo riusciti ad ottenere maggior chiarezza”. Ora è tutto rimesso all’attesa esortazione apostolica post-sinodale, in cui si auspica che papa Francesco ribadisca una volta per tutte la dottrina sulla famiglia, fedelmente ai testi magisteriali che la riguardano: la Sacramentum Caritatis, la Familiaris Consortio e il Catechismo della Chiesa Cattolica.
I divorziati risposati, ha ribadito Sarah, vanno “accompagnati affinché partecipino alla vita della Chiesa”, tuttavia essi, oggettivamente, vivono “uno stato di contraddizione con l’Eucaristia”.
Dopo aver suggerito una lettura attenta sulla parte del suo libro dedicato alla preghiera, il cardinale ha spiegato che la preghiera stessa è qualcosa che “non si insegna” ma è “un’esperienza di ogni giorno e per fare esperienza di Dio ci vuole tempo”.
Anche se si ha una “fede forte”, ha osservato, è importante “non viverla da soli”, poiché la presenza della comunità la protegge meglio dai pericoli e dagli scoraggiamenti.
Il prefetto per la Congregazione del Culto Divino e della Disciplina dei Sacramenti ha infine esortato l’uditorio al “coraggio della verità del Vangelo”, indicando l’esempio di coloro che “sono morti per la loro fedeltà a Cristo”, come, ad esempio, “in Pakistan, dove i cristiani vengono bruciati vivi”.
Il mondo, infatti, non ha bisogno di “profeti” – come alcuni, anche in ambito cattolico, affermano – ma di “testimoni”, che siano pronti a morire per una verità che “non sempre piace”, ha poi concluso il cardinale Sarah.