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sabato 17 ottobre 2015

Sinodo e omosessualità. La parola a san Paolo, senza censure



Da Settimo Cielo di Sandro Magister

Da quando nel sinodo i padri hanno cominciato a discutere sulla terza parte del documento base, quella con i punti più controversi, nelle messe feriali si sta leggendo ogni giorno un brano della lettera ai Romani, il capolavoro teologico dell'apostolo Paolo.
Anche qui, che coincidenza. Proprio come nella domenica inaugurale del sinodo, il 4 ottobre, quando in tutte le chiese cattoliche del mondo risuonarono durante la messa le parole di Gesù nel Vangelo di Marco: "L'uomo non separi ciò che Dio ha congiunto".
Adesso però la coincidenza tra sinodo e messale non ha a che fare con l'indissolubilità del matrimonio, ma con un'altra delle questioni bollenti: l'omosessualità.
Martedì 12 ottobre nel messale si è letto il brano del capitolo 1 della lettera ai Romani che va dal versetto 16 al versetto 25.
Lì Paolo, premesso che "dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili [di Dio] possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità", definisce "inescusabili" coloro che "pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa".
E così prosegue:
"Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi".
Nella messa di martedì 12 la lettura si è fermata a questo punto. E il giorno dopo è ripresa con il capitolo 2 della lettera ai Romani.
Ma il capitolo 1 della lettera paolina non finiva lì, e se il messale omette pudicamente quel pezzo, i padri sinodali non possono non sapere che cosa contiene.
Perché Paolo prosegue esplicitando per filo e per segno che cosa egli ha inteso dire con quel primo accenno all'"impurità" di quelli che "disonorano fra di loro i propri corpi".
Ecco infatti il terrificante finale del capitolo 1 della lettera ai Romani
"Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa".
Se questo dice san Paolo, è evidente che i padri sinodali orientati a cambiare i paradigmi dottrinali e pastorali della Chiesa in materia di omosessualità avranno qualche difficoltà ad armonizzare le loro proposte con questa che è pur sempre "Parola di Dio", come si proclama nella messa al termine di ogni lettura.
Ma è anche sempre più evidente che in ampi settori della Chiesa la percezione della pratica omosessuale come peccato stia scivolando via come un relitto del passato. Con buona pace del Catechismo della Chiesa cattolica, non quello d'una volta ma quello "nuovo" del 1997, che include tuttora "il peccato dei sodomiti" tra i quattro peccati che "gridano al Cielo", assieme all’omicidio volontario, all’oppressione dei poveri e alla frode del salario degli operai.
Certo, a chi propone di approvare la pratica omosessuale, qualcuno può sempre obiettare che tale approvazione è “praeter Scripturam”, al di fuori se non contro la Sacra Scrittura, come ebbe a dire nel 2011 il teologo e pastore valdese Paolo Ricca ergendosi contro i suoi confratelli protestanti che avevano appena dato il via libera ai “matrimoni” tra persone dello stesso sesso.
Ma anche in campo cattolico non mancano teologi e vescovi che sono lesti a spiegare come san Paolo non vada preso alla lettera ma interpretato nel "contesto" del suo tempo, influenzato da pregiudizi di "stampo patriarcale" e di "disprezzo etnico-religioso" oggi inaccettabili.
Il "sinodo ombra" franco-tedesco tenuto alla Gregoriana lo scorso maggio, i cui protagonisti siedono ora nel sinodo vero, ha sostenuto proprio questa moderna rilettura della Sacra Scrittura, alla luce del pensiero contemporaneo.