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mercoledì 28 ottobre 2015

Il cyberteologo amico del Papa: i Padri della Chiesa citati al contrario


Da La Nuova Bussola Quotidiana

Francesco Agnoli
Antonio Spadaro, gesuita e cyberteologo, è stato tra i padri sinodali più attivi nella comunicazione. Su facebook, twitter, su vari giornali ha espresso con regolarità le sue opinioni e la sua lettura del Sinodo, prima e dopo. Generando così interessanti dibattiti che possono aiutare a comprendere meglio alcune questioni difficili.
Premetto di essere, come padre e come insegnante, un ammiratore dei gesuiti. La loro cultura e la loro umanità sono state un esempio per secoli di cosa l'educatore cristiano deve fare: unire la competenza, la passione, ad uno sguardo comprensivo e accogliente, sino al confine ultimo possibile. Ignazio insegnava così: "Ogni cristiano deve essere pronto più a salvare la parola del prossimo che a condannarla; e se non può salvarla, indaghi in qual senso la intenda e se l'intenda in male, la corregga con amore; e se non basta, cerchi tutti i mezzi opportuni affinchè, intendendola in bene, si salvi". Si vede bene che il fine per Ignazio è sempre indicare la salvezza, la Verità, attraverso un metodo: l'Amore. Un po' come fanno il padre che ama i suoi figli o il professore che ama i suoi studenti: poichè il fine è sempre il loro bene, sarà capace di valorizzare ogni cosa buona, in vista di un obiettivo finale. "Misericordia e verità si incontreranno", recita il Salmo 85, con un chiasmo che lega tra loro verità e giustizia, misericordia e pace, "giustizia e pace si baceranno" In quest'ottica un castigo, o un voto insufficiente, possono essere espressione di vero amore e misericordia, molto di più che il lassimo o l'elargizione di voti positivi sempre e comunque.
Agostino ricordava che tutto dipende da come il castigo, l'ammonimento, viene infilitto: anche se vero, senza amore, è avvelenato alla radice; ma se è vero e con amore è esattamente ciò che dobbiamo fare. "Se correggi, affermava Agostino, correggi per amore". E aggiungeva: non credere però "che ami tuo figlio, per il fatto che non lo castighi; o che ami il tuo vicino allorquando non lo rimproveri; questa non è carità, ma trascuratezza"
Può essere la naturale difficoltà umana di tenere un giusto rapporto tra verità e amore, ad aver spinto padre Spadaro a trovare in san Cirillo di Gerusalemme una giustificazione ad una sua personale convinzione: che l'Eucaristia vada "concessa" anche a coloro che san Paolo definirebbe "adulteri", cioè a coloro che, pur essendosi sposati, vivono una relazione anche carnale con un'altra persona.
Così il 23 ottobre, padre Spadaro su twitter ha citato una frase di san Cirillo: "Non privatevi della comunione nè astenetevi da questi santi misteri per esservi macchiati di peccato". Se un grande santo invita a fare la comunione anche in condizioni di peccato, intendeva dire Spadaro, ciò significa che la comunione ai divorziati risposati può essere ben introdotta non come una novità assoluta nella storia della Chiesa e della salvezza, ma come una migliore comprensione della Eucaristia stessa. Insomma, non come un cambiamento dottrinale, ma come un mutamento di prassi, di disciplina.


Ma ammesso e non concesso - come vedremo più avanti - che san Cirillo abbia avuto questa posizione sull'Eucarestia, la tesi presenta almeno tre grossi rischi: possiamo usare una citazione di un santo contro un magistero consolidato, sancito per esempio dal Concilio di Trento nel De Ss. Eucharistia, ulteriormente ribadito da vari pontefici sino alla Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II? Possiamo farlo senza ingenerare l'idea che in fondo la Chiesa fa o disfa le "regole", a suo capriccio?
È possibile schierare san Cirillo contro altri padri, che si sono espressi in modo del tutto diverso, ignorando secoli di tradizione? Trascurando per esempio san Tommaso (il grande cantore dell'Eucarestia, nel Tantum ergo), che nella Summa teologica afferma che chi riceve l'Eucarestia trovandosi in peccato mortale, pecca mortalmente?
Ancora: come conciliare la rottura di un vincolo, per la Chiesa indissolubile, e l'accesso alla comunione, al sacramento dell'unità, alla luce del passo di san Matteo: "Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono"? E con il terribile passo di san Paolo nella I lettera ai Corinzi: "Perciò, chiunque mangerà il pane o berrà dal calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ora ciascuno esamini se stesso, e così mangi del pane e beva dal calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudizio contro se stesso, se non discerne il corpo del Signore"?
Il testo di san Matteo e quello di san Paolo sono stati sempre intepretati in un modo molto preciso, cioè collegando Eucarestia e confessione, tra le quali, altrimenti, non ci sarebbe quel legame ribadito da due millenni di storia della salvezza.
Insomma, la questione è problematica assai, e come scrive un vescovo africano, nessuno deve avere la presunzione di essere più "misericordioso" di quanto è stato Cristo, o di quanto sono stati santi e papi del passato. Sarebbe, più che misericordia, o "tenerezza" come scrive qualcuno, semplice presunzione. Anche perché, così facendo, da una parte si direbbe implicitamente a coloro che hanno rotto il loro vincolo matrimoniale, che non è successo nulla; dall'altra si diminuirebbe il senso della grandezza del matrimonio nelle nuove generazioni, amplificando ulteriormente la disgregazione in atto in Occidente. Senza per questo andare davvero incontro a chi, se crediamo ancora al piano di Dio, non cerca commiserazione, e neppure l'Eucarestia "da sola", ma qualcosa di ben diverso.
Tornando a san Cirillo però, la verità è che se usasse twitter così bene come padre Spadaro, avrebbe qualcosa da ridire. Scriverebbe, utilizzando il numero di caratteri consentito: "hai travisato completamente il senso della mia frase, che significava l'esatto contrario di ciò che hai inteso". Essendo in verità, come hanno notato altri prima del sottoscritto (clicca qui), questa: "Non privatevi della comunione né astenetevi da questi misteri per esservi macchiati di peccato".
Per concludere una pagina di vita: il grande poeta Charles Peguy ad un certo punto della vita si convertì dal socialismo ateo al cattolicesimo dell'infanzia; non essendosi sposato, ma convivendo con una donna non credente, si trovò a vivere escluso dall'Eucarestia. Spiegava agli amici di incontrare Cristo nella preghiera, nella messa, in paziente attesa che la compagna di una vita (che si farà battezzare dopo la sua morte!), divenisse, liberamente, credente...
Peguy si scagliava con forza contro i sacerdoti che si limitano a maledire i tempi e a brontolare, e ugualmente crtiticava con fermezza quelli secondo i quali "va tutto sempre bene", quelli che "negano il disastro" della modernità: il fatto che la "nostra stessa miseria non è più una miseria cristiana". E', cioè, una miseria presuntuosa, arrogante, che pretende la salvezza e il riconoscimento di ogni propria scelta e decisione. Presuntuosa perché nega il peccato e il bisogno di redenzione.
Questo grande uomo - che in chiesa, come vari amici "irregolari" di chi scrive, pregava senza osare salire all'altare, senza pretendere nulla, aspettando solo che la grazia di Cristo piovesse su di lui e sulla sua famiglia, gratuitamente - scriveva: "I sacramenti sono indelebili. E' la profonda idea cristiana che i nomi sui registri di Dio non si cancellano mai... Amico mio, questa idea quanto si oppone, risolutamente, deliberatamente, alla frivolezza moderna che vuole, che pretende, di ricominciare tutto... che vuole ritornare su tutto, e rifare tutto, soprattutto il matrimonio....".