La S. Messa per san Pio X a Castelfranco Veneto di Mons. Agostini,
in attesa del III grande pellegrinaggio internazionale
del Populus Summorum Pontificum
Da Coordinamento Nazionale Summorum Pontificum, del 1° ottobre 20144
in attesa del III grande pellegrinaggio internazionale
del Populus Summorum Pontificum
Da Coordinamento Nazionale Summorum Pontificum, del 1° ottobre 20144
Alla presenza di
numerosissimi fedeli commossi e partecipi, fra cui vogliamo ricordare il
prof. Fabio Marino, Presidente Nazionale di Una Voce Italia, sabato 27
settembre, presso il Duomo di Castelfranco Veneto, mons. Marco Agostini,
Cerimoniere Pontificio, ha cantato nella forma straordinaria del Rito
Romano la S. Messa votiva di San Pio X. La cerimonia è stata promossa –
su iniziativa del Coordinamento Nazionale del Summorum Pontificum e, in particolare, del suo promotore regionale per il Triveneto, avv. Cristiano Gobbi di Trieste – dai Coetus Fidelium del Veneto, del Friuli – Venezia Giulia e del Trentino – Alto Adige. Il Populus Summorum Pontificum
di quelle regioni ha voluto così esprimere la propria devozione a San
Pio X, in occasione delle celebrazioni del centenario del suo beato
transito, nella basilica in cui fu ordinato sacerdote il 18 settembre
1858. Dei sentimenti dei fedeli è stato ottimo interprete mons.
Agostini, che ha dedicato la sua toccante omelia – di cui Lo ringraziamo
di averci fornito il testo, che pubblichiamo qui di seguito –
all’esaltazione delle virtù sacerdotali, delle quali San Pio X – come
sacerdote, come Vescovo e, infine, come Sommo Pontefice – diede un
esempio mirabile, ed al cui incremento dedicò intensamente la Sua
attività pastorale.
La S. Messa dello scorso sabato ha
segnato anche un importante momento per tutti quanti vivono la loro fede
al ritmo della liturgia tradizionale, dando concreta e visibile
dimostrazione della fraterna unità che unisce tanti fedeli di
innumerevoli parrocchie, sparse in tutte le diocesi del Triveneto, e non
solo. Il servizio all’altare è stato assicurato da ministranti
provenienti da diversi Coetus della zona, coordinati da Nicolò Calore
di Padova. I canti gregoriani sono stati eseguiti da Massimo Bisson,
Fabrizio Mason, Nicolò Pasello e Gian-Luca Zoccatelli.
L’evento di Castelfranco Veneto, che è frutto della compattezza e della perseveranza di tutto il Populus Summorum Pontificum, rappresenta così un felice preludio del grande pellegrinaggio internazionale
che, per il terzo anno consecutivo, si terrà a Roma e a Norcia dal 23
al 26 ottobre prossimi, culminando nella S. Messa Pontificale che il
card. Raymond Leo Burke celebrerà sabato 25 ottobre, alle h. 12,00,
all’altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro. È dunque a Roma
che i fedeli del Triveneto si sono dati appuntamento
per manifestare ancora una volta, e proprio sulla tomba dell’Apostolo,
insieme a tanti fratelli nella fede provenienti da ogni parte della
cattolicità, il loro indefettibile amore per la liturgia tradizionale e
per la Chiesa.
Di seguito l'omelia di Monsignore.
Di seguito l'omelia di Monsignore.
Sia lodato Gesù Cristo!
Il 18 settembre 1858 S.E. Mons. Giovanni Antonio Farina, Vescovo di
Treviso, in questo storico Duomo di Castelfranco, ordinava sacerdote il
diacono Giuseppe Sarto. Cinquanta anni dopo il cardinale Aristide
Cavallari – succeduto immediatamente sul trono di San Marco all’indomani
dell’esaltazione di papa Sarto al trono di San Pietro – esortava
Venezia al giubileo del Pontefice con queste parole: “Allorquando 50
anni or sono Egli novello levita saliva trepidante l’altare per
immolarvi la prima volta l’Ostia di pace, era ben lontano
dall’immaginare a quali gloriosi destini Lo riserbava il Cielo. Eppure
era in quel momento che Dio deponeva nel Suo giovane cuore quel germe
potente di grazia che mano mano svolgendosi nella sua vita di sacerdote,
di parroco, di Vescovo doveva condurlo con meraviglioso disegno di
Provvidenza fino al sublime fastigio della Cattedra di Pietro”[1].
Del germe potente della grazia, del dulce pondus del sacerdozio, che dal 18 settembre 1858 agì nel cuore, e gravò sulle sue spalle, Pio X parla nell’esortazione apostolica Haerent Animo del 4 agosto 1908[2]
indirizzata ai sacerdoti, “ferventi o meno” (n. 1), per il suo giubileo
sacerdotale. Un appassionato invito a ricordare che l’avvenire della
Chiesa passava, ieri come oggi, dalla qualità degli Ecclesiastici: “Ove è
un sacerdote veramente buono, quale tesoro è veramente elargito dal
cielo” (n. 2).
Per esperienza Papa Sarto sapeva che la
santità della vita, più ancora di quella delle parole, era la prima dote
necessaria alla dignità sacerdotale: “L’ufficio sacerdotale è di
rappresentare la persona di Cristo e di condurre la missione da lui
affidata in maniera che sia dato di raggiungere il fine, che Egli ha di
mira” (n. 3). Soprattutto nella celebrazione “dell’augusto sacrificio”
della Messa “occorre avere la medesima disposizione d’animo, con la
quale Egli [Gesù] sull’ara della croce si offrì ostia immacolata a Dio”
(n. 4). Gli sovvenivano i ricordi degli anni del Seminario dove aveva
appreso le regole della vita sacerdotale e della buona creanza che
formarono il suo tratto fermo, gentile ed educato. Aspetti forse oggi
tenuti in poco conto. Lì imparò a formarsi come uomo buono, per essere
buon sacerdote e santo. Affermava: “A tal fine furono istituiti i
Seminari: dove, se coloro che costituiscono le speranze della Chiesa
devono essere educati nelle lettere e nelle scienze, nello stesso tempo
tuttavia, e più ancora lo devono essere sin dai più teneri anni ad una
sincera pietà verso Dio”. Rivedeva le “tappe gioconde” del suddiaconato,
del diaconato, del sacerdozio che lo portarono nel Sacerdozio a “essere
un cielo tersissimo” (n. 7) nel quale nessuna nube impediva il fulgore
della santità di Dio. Vedeva che la santità del sacerdote non stava
“semplicemente nel sacrificarsi tutto al bene degli altri”, esercitando
le virtù attive, ma si costruiva soprattutto sul fondamento posto da
Cristo, ossia l’esercizio delle virtù passive, quelle che conseguono la
perfezione individuale (n. 8). Sono esse la conditio sine qua non
per la santità del sacerdote, l’abnegazione di sé, la mortificazione
che il mondo disprezza e che, anche allora, alcuni sacerdoti mostravano
di non apprezzare. Vedeva la fecondità sacerdotale scaturire non dallo
sposare le mode e i metodi del mondo – “L’agire a solo scopo di … lucro,
l’ingolfarsi negli affari mondani, l’aspirare ai primi gradi e
sprezzare i più modesti, il condiscendere alla carne e al sangue…, il
soverchio studio di piacere agli uomini, il porre la fiducia del proprio
successo nell’umana destrezza della parola” – ma dall’accoglienza del
precetto di Cristo: “Chi vuol venire dietro a me rinneghi sé stesso” (Mt
16,24) (n. 9). L’abnegazione di sé e la vita interiore lo temprarono
sacerdote, piegato ai doveri del ministero apostolico. E così nella sua
azione pastorale si preoccupò di: “Svellere le male erbe, seminare
quelle buone e fruttifere, innaffiare, badar bene che il nemico non vi
semini fra mezzo la zizzania” attraverso “La predicazione della parola
di Dio, l’ascoltare le confessioni, l’assistere gli infermi e
specialmente i moribondi, l’istruire gl’ignoranti nelle cose di fede,
consolare gli afflitti, ricondurre i fuorviati, imitare in ogni cosa
Cristo, ‘il quale passò la sua vita facendo del bene e sanando tutti
coloro che erano oppressi dal diavolo’ (At 10,38)” (n. 10). La vera cura animarum
sta nella santità della vita e dei costumi e nell’unione con Dio: così
il sacerdote trasmette “il buon profumo di Cristo” al gregge. Il
sacerdote non è che uno strumento del quale Dio si serve (11): questa è
la scienza che canonizzò nel Santo Curato d’Ars (n. 12).
San Pio X nutrì la propria
santità sacerdotale d’incessante preghiera per sé e per il popolo (n.
14), di meditazione (n. 15) che custodisce il fervore e preserva dalle
insidie del mondo (n. 16). “La vita di quei sacerdoti, che fanno poco
conto della meditazione delle cose divine … tu vedi in loro illanguidito
l’inestimabile tesoro, mondani, seguaci di vanità, che s’intrattengono
in frivolezze, che s’accostano alle sacre cose tiepidi, gelidi e forse
indegni” (n. 17). La meditazione è il segreto per operare con criterio e
zelo (n. 20): chi è alter Christus ha da meditare su Cristo (n.
21). Il sacerdote ha da attendere alla lettura spirituale delle Sacre
Scritture (n. 22) e dei libri santi (n. 23). Osservava: “Invece di
sovente accade ai nostri tempi che ecclesiastici si lascino a poco a
poco annebbiare la mente dalle tenebre del dubbio e seguano le oblique
vie del mondo” illusi dal modernismo, la più mortifera delle eresie
(aveva scritto nell’enciclica Pascendi) “dal pretesto di
conoscere il male e così poter meglio provvedere al bene comune” (n.
24). Il sacerdote, come ogni fedele, ma più di essi, deve sottoporsi
ogni giorno all’esame di coscienza (n. 25) che, fatto rinvigorisce
l’anima e tralasciato la mette in pericolo (n. 27), esame di coscienza
che dispone a ricevere la grazia sacramentale della Confessione (n. 28).
In ogni tempo il sacerdote deve splendere nella virtù (n. 30),
nell’obbedienza al Vescovo e alla Sede Apostolica (n. 31), nella carità
senza limiti per tutti (n. 31), carità d’intelligenza, di cuore e di
atti forte nelle persecuzioni (n. 33).
Forgiatosi così come prete, non mutò da vescovo e tale rimase nel Supremo Pontificato. Il suo motto fu: “Instaurare omnia in Christo”.
Scriveva il patriarca Cavallari: “Che cosa voleva Egli dire con questo?
Voleva dire che fin dall’esordire del suo Pontificato Egli aveva visto a
colpo d’occhio tutti i mali da cui era afflitta la cristiana società e
per l’amore che fin d’allora lo legava alle anime nostre si proponeva di
mettervi ad ogni costo riparo. Fu il suo programma che in mezzo a
innumerevoli e gravissime difficoltà si studiò di attuare. Con quale
fortezza d’animo non si adoprò a mantenere incorrotta in tutti i cuori
la fede! Come vigilò fermo e attento a rinsaldare nel clero la
disciplina, nel laicato la sottomissione, il fervore della pietà nelle
anime. Il demonio indispettito dalla sua opera Gli mosse guerra da ogni
parte”. Prima l’attacco all’azione cattolica, poi le leggi anticlericali
della Francia, poi “Anime piene di orgoglio sorgono a spargere inique
dottrine che scompigliano le menti, che strappano la fede dai cuori, che
impugnano ogni dogma, che calpestano ogni autorità”. Provvide “Al bene
delle anime affidandole a saggi e dotti pastori, volendo da per tutto
istruiti e zelanti sacerdoti”[3] (Lettera, pp. 6-8).
È commovente ricordare che la sua
avventura sacerdotale ebbe inizio proprio in questa bella chiesa.
Innanzi alla santità solenne di Pio X, a quella grande eppur ordinaria e
nascosta di patriarchi e vescovi come il Cavallari, d’innumerevoli
sacerdoti tempratisi alla loro scuola, eleviamo l’accorata preghiera:
“Signore donaci ancora santi sacerdoti perché pure noi possiamo
diventare santi”. Il Signore, ci conforti ancora con le parole del
profeta: “Et dabo vobis pastores iuxta cor meum, et pascent vos scientia et doctrina” (Geremia 3,15).
Sia lodato Gesù Cristo!