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venerdì 17 ottobre 2014

"Il Papa è solo il vicario"

Strategie di sopravvivenza in tempi di “eclissi del Papato”
secondo il pensiero di padre Calmel
di Cristiana de Magistris, da conciliovaticanosecondo.it
Padre-Roger-Thomas-Calmel
Quando, negli anni del Concilio Vaticano II e dell’immediato post-Concilio, venti rivoluzionari soffiavano sulla Chiesa di Cristo, un teologo domenicano, padre Roger-Thomas Calmel, levò il suo vessillo contro-rivoluzionario e, con la sua penna e con la sua parola, fece sentire la sua voce che invitava i fedeli alla resistenza nella fedeltà inflessibile alla Tradizione di sempre con un atteggiamento spirituale di pace e finanche di gioia nella prova.
Il messaggio di padre Calmel non ha mai cessato di essere attuale. Ma torna di particolare interesse quando – ed è il nostro caso – su verità “sempre, ovunque e da tutti” affermate inizia ad aleggiare il soffio funesto del dubbio, a partire dai vertici della gerarchia cattolica.
Padre Calmel, spirito profetico come pochi negli ultimi 50 anni, aveva previsto questa tragica possibilità ed aveva messo in guardia i fedeli fornendo loro le armi per rimanere fedeli alla Chiesa di sempre ed evitare in tal modo la tentazione del sedevacantismo o quella ancor più funesta della disperazione.
Poiché si tratta di una crisi dell’autorità, dal momento che gli errori vengono propugnati da chi avrebbe il compito di condannarli, il punto di partenza, fondamentale ed imprescindibile, è comprendere a fondo fin dove arrivi il potere dell’Autorità, a partire dal suo vertice, il Papa.
Padre Calmel precisa anzitutto che il Capo della Chiesa è uno solo, Nostro Signore Gesù Cristo, che “è sempre infallibile, sempre senza peccato, sempre santo […]. È lui il solo Capo, perché tutti gli altri, compreso il più alto, non hanno autorità se non da Lui e per Lui”. Salendo al cielo, questo Capo invisibile ha lasciato alla sua Chiesa un Capo visibile come suo Vicario, il Papa, “che solo gode della giurisdizione suprema”. “Se però il Papa è il Vicario di Gesù, […], egli è soltanto il Vicario: vicens regens, tiene il posto di Gesù Cristo, ma resta altro da Lui”. Evidentemente il Papa ha prerogative del tutto eccezionali, custodendo i mezzi della grazia, i sacramenti, e la Verità rivelata. Gode, in certi casi ben circoscritti e determinati, dell’infallibilità. Per il resto, “può mancare in molti casi”. La storia della Chiesa – a parte un manipolo di Papi santi e un numero ridotto di papi indegni – è piena di Papi mediocri e manchevoli. Ciò non deve né spaventare né sorprendere. Al contrario, è proprio nella debolezza, e talvolta anche nell’indegnità, dei papi che risalta la signoria del nostro Salvatore, il Quale rimane il solo Capo della Chiesa, sulla quale esercita il suo governo “tenendo in mano anche i Papi insufficienti e contenendo la loro insufficienza in limiti invalicabili”.
            Ora, avverte padre Calmel, perché questa fiducia nel Capo invisibile della Chiesa sia così profonda da superare tutte le possibili deficienze del suo Vicario in terra, occorre che la nostra vita spirituale “sia riferita a Gesù Cristo e non al Papa; che la nostra vita interiore, la quale abbraccia – non serve dirlo – anche il Papa e la gerarchia, sia fondata non sulla gerarchia e sul Papa, ma sul divino Pontefice […] dal Quale il Vicario visibile supremo dipende ancor più degli altri sacerdoti”.
            E ciò per una ragione a tutti evidente e quanto mai elementare: “La Chiesa – scrive quest’illustre figlio di san Domenico – non è il corpo mistico del Papa. La Chiesa, col Papa, è il corpo mistico di Cristo. Quando la vita interiore dei cristiani è sempre più orientata a Gesù Cristo, essi non cadono nella disperazione, anche quando soffrono fino all’agonia delle manchevolezze d’un papa, sia egli un Onorio I o i papi antagonisti della fine del Medio Evo; sia egli, nel caso limite, un papa che manca secondo le nuove possibilità offerte dal modernismo”. Quand’anche un papa giungesse al limite estremo di cambiare la Fede “o per accecamento o per spirito di chimera o per un’illusione mortale” (tra le tante offerte dal modernismo), ebbene “il papa che arrivasse a questo punto non toglierebbe al Signore Gesù il suo governo infallibile, che tiene in mano anche lui, papa sviato, e gli impedisce di impegnare fino alla perversione della fede l’autorità ricevuta dall’alto”.
            Ma anche in questi sventurati casi, la vita interiore dei cristiani non può escludere il Papa, senza con ciò cessare di essere cristiana. Un’autentica vita interore, centrata necessariamente su Gesù Cristo, include sempre il suo Vicario e l’obbedienza a lui dovuta, ma “questa obbedienza, lungi dall’essere incondizionata, è sempre praticata alla luce della fede teologale e della legge naturale”.
E qui entra in gioco lo spinoso problema dell’obbedienza al Vicario di Cristo. Spinoso, nota ancora una volta padre Calmel, solo per chi ignori o voglia ignorare gli articoli della Fede cattolica riguardanti il Sommo Pontefice. Occorre anzitutto ricordare che ogni cristiano vive “per mezzo di Gesù Cristo e per Gesù Cristo, grazie alla sua Chiesa, che è governata dal Papa, al quale obbediamo in tutto ciò che è di sua competenza. Non viviamo affatto per mezzo e per il Papa, quasi ci avesse lui acquistato la redenzione eterna; ecco perché l’obbedienza cristiana non può né sempre né in tutto identificare il papa con Gesù Cristo”.
Un cristiano che voglia incondizionatamente esser gradito al Papa, in tutto e sempre “è necessariamente abbandonato al rispetto umano” e si “espone a molte superficialità e complicità”. È pur vero, riconosce il teologo domenicano, che si è spesso predicato un’obbedienza al Vicario di Cristo che ha più il lezzo del servilismo che il profumo della virtù, talvolta per far carriera, o per preparare la propria testa al cappello cardinalizio, o per dare lustro al proprio Ordine o alla propria Congregazione. Ma, notiamo bene, “né Dio né il servizio del Papa hanno bisogno della nostra menzogna: Deus non eget nostro mendacio”. Occorre sempre ricordare la subordinazione dell’obbedienza alla Verità e dell’autorità alla Tradizione. Il Papa, come tutti gli uomini di Chiesa, non può usare legittimamente della sua autorità se non per definire o chiarire verità che sono sempre state insegnate. Se si allontanasse da questo sentiero, cesserebbe il dovere della nostra obbedienza e varrebbe il monito di san Pietro: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5,29)[1].
Il Papa – in quanto papa – non è sempre infallibile e – come uomo – non è mai impeccabile. “Non bisogna scandalizzarsi se prove, talvolta molto crudeli, sopraggiungono alla Chiesa proprio da parte del suo capo visibile. Non bisogna scandalizzarsi se, benché soggetti al Papa, non possiamo tuttavia seguirlo ciecamente, incondizionatamente, in tutto e sempre”. Ma che fare allora se una situazione di tal genere divenisse la triste e sventurata realtà? In tal caso bisogna ancor più fortemente orientare la propria vita interiore all’unico Redentore e Signore del mondo, nutrendosi della Tradizione apostolica, con i suoi dogmi, del suo immortale Messale e del Catechismo, oltre che della preghiera e della penitenza.
D’altro canto, la Rivelazione non ha mai insegnato che il Vicario di Cristo è immune dall’infliggere alla Chiesa prove di tal genere. Ed il modernismo, imperante da cinquant’anni, certamente è un terreno fertile per farle germogliare. Ma, se ciò avvenisse – come pare stia avvenendo –, benché una sorta di smarrimento e di vertigine assalga l’anima dei fedeli, bisogna ricordare che la Chiesa è la Sposa di Cristo ed è Lui che – nonostante gli umani cedimenti – la guida nella sua ineffabile e spesso a noi incomprensibile provvidenza. Padre Calmel paragona lo stato della nostra vita interiore sopraffatta da una simile prova alla preghiera del Signore Gesù nel Getsemani, quando disse agli apostoli mentre avanzava la soldataglia: Sinite usque huc (Lc 22,51). “È come se il Signore dicesse: Lo scandalo può arrivare fino a questo punto; ma lasciate e, secondo la mia raccomandazione, vegliate e pregate… Col mio consenso a bere il calice, vi ho meritato ogni grazia, mentre eravate addormentati e mi avete lasciato solo; vi ho ottenuto in particolare una grazia di forza soprannaturale, che sia a misura di tutte le prove, anche della prova che può venire alla Santa Chiesa da parte del Papa. Io vi ho reso capaci di sfuggire a questa vertigine”.
L’anima cristiana che fondi la propria vita interiore sulla Tradizione perenne non ha da temere, anche in quella che padre Calmel ritiene la peggiore delle prove per la Chiesa: il tradimento del suo Vicario.
Con l’ottimismo proprio delle anime sante, pur riconoscendo l’immane tragedia che attanaglia la Sposa di Cristo, egli ritiene tuttavia una grazia vivere in questi tempi di prova, nei quali la sofferenza più grande dei figli della Chiesa è esattamente quella di non poter seguire il Papa come desidererebbero. “Noi siamo figli docili del Papa, ma ci rifiutiamo di entrare in complicità con le direttive papali che inducono al peccato”. Il cardinal Caietano non esita ad affermare che “Bisogna resistere al Papa che pubblicamente distrugge la Chiesa”. Si tratta, in questi casi, di una sorta di “eclissi del Papato”. Questa prova però, nota padre Calmel, non potrà essere “né totale né troppo lunga” e – soprattutto – “noi abbiamo la grazia di santificarci” in questa eclissi nella quale la Chiesa resta la Sposa di Cristo, nonostante tutto. Com’era sua abitudine, elevava lo sguardo verso il Cielo e diceva: “Abbiamo la grazia di soffrire e di resistere senza farne una tragedia. La Vergine Santa ci difende”.
Dunque, che cosa fare? I veri figli della Chiesa, quanto più desiderano rivedere la loro Madre rivestita del suo glorioso splendore, a partire dal suo Capo visibile, tanto più devono mettere la loro vita, con la grazia di Dio e conservando la Tradizione, sul solco dei Santi. “Allora il Signore Gesù finirà con l’accordare al gregge il pastore di cui esso si sarà sforzato di rendersi degno. All’insufficienza o alla defezione del Capo non aggiungiamo la nostra negligenza personale. Che la Tradizione apostolica viva almeno nel cuore dei fedeli anche se, sul momento, languisce nel cuore e nelle decisioni di chi ne è il responsabile a livello di Chiesa. Allora certamente il Signore ci userà misericordia”. Quella vera.
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[1] Il 15 aprile 2010, Benedetto XVI, commentando questo passo degli Atti, nell’omelia ha detto: “San Pietro sta davanti alla suprema istituzione religiosa, alla quale normalmente si dovrebbe obbedire, ma Dio sta al di sopra di questa istituzione e Dio gli ha dato un altro “ordinamento”: deve obbedire a Dio.  L’obbedienza a Dio è la libertà, l’obbedienza a Dio gli dà la libertà di opporsi all’istituzione”.

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