L'abbazia di Fontgombault e la liturgia romana
da Romualdica, del 9.05.2014
[In passato ci siamo occupati a più riprese dell'abbazia benedettina Notre-Dame di Fontgombault e delle sue fondazioni. Sul numero 259, maggio 2014, del mensile francese La Nef è comparsa un'articolata intervista ("Abbaye de Fontgombault: Rayonner la joie") del direttore Christophe Geffroy al Padre Abate di Fontgombault, Dom Jean Pateau O.S.B., dalla quale proponiamo in nostra trad. it. i brani relativi al rapporto con la liturgia.]
- L’abbazia di Fontgombault è la più antica delle fondazioni
di Solesmes ad avere scelto di mantenere la forma extraordinaria del Rito
romano: perché questa scelta?
La forma
extraordinaria è stata preferita e lo rimane perché essa ci sembra
particolarmente adatta alla vita monastica. Sottolineiamone due punti
determinanti. Il carattere più contemplativo della celebrazione promuove la
dimensione verticale della liturgia. I momenti di silenzio dell’offertorio e
del canone propizi all’interiorità rientrano in questo quadro. Sebbene non sia
proprio di questa forma, bisogna aggiungere su questo punto il fatto di non
usare abitualmente la concelebrazione e di dire la Messa “rivolti verso Dio”. In
secondo luogo, il che potrebbe sembrare paradossale, io rilevo la partecipazione
del corpo, sollecitata da molti gesti: genuflessioni, inclinazioni, segni della
croce. A partire dalla consacrazione, questi gesti, compiuti sulle specie del
pane e del vino, concentrano l’attenzione del sacerdote a Cristo realmente
presente sull’altare. Nella tradizione monastica il corpo è ampiamente
associato alla preghiera. La vita del monaco è una liturgia. A condizione di
dare a ciascuno dei gesti precisati dal Ritus servandus il suo peso di significato spirituale,
il suo orientamento a Dio, il corpo nella forma extraordinaria si associa in maniera
particolarmente intensa allo spirito e all’anima incarnandone la parola,
manifestandone l’umiltà di colui che celebra davanti al mistero del Dio
presente.
- Con il passare del tempo, come analizzate l’attuale
situazione liturgica, e in particolare – dal motu proprio Summorum pontificum − la coabitazione di due forme all’interno del
medesimo Rito romano?
Due
espressioni mi vengono alla mente: azione di grazie e speranza. Azione di
grazie perché questa iniziativa di Benedetto XVI ha incontestabilmente
contribuito a pacificare la questione liturgica. Che successo per il demonio
avere posto la discordia precisamente nella celebrazione del sacramento dell’amore!
Oggi le due forme sono rispettate e in un numero sempre più crescente di parrocchie
si affiancano. Quanto all’avvenire? Molti giovani sacerdoti legati al
lezionario della forma ordinaria, che praticano abitualmente, desiderano una
liturgia più ricca quanto ai riti, associando soprattutto il corpo alla
celebrazione. Non sarà possibile proporre nella forma ordinaria le preghiere
dell’offertorio della forma extraordinaria, arricchirla di genuflessioni e di
segni della croce? Si opererebbe in tal modo un avvicinamento poco dispendioso tra
le due forme, rispondendo a un desiderio legittimo e, d’altro canto, auspicato da
Benedetto XVI (cfr. Lettera ai Vescovi in occasione della
pubblicazione della Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum
sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma effettuata nel 1970).
L'attuale rapporto fra i due riti è dipinto in maniera un po' troppo irenica, ma forse dal monastero le cose si vedono più sub specie aeternitatis che non da fuori. O forse in Francia stanno diversamente rispetto a noi (essendo partiti prima sono arrivati prima a capire la vacuità di certe "riforme"?).
RispondiEliminaSeguire la Messa nella forma extrao-ordinaria ti strappa il cuore e te lo proietta in cielo!
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