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mercoledì 16 aprile 2014

Le canonizzazioni sono atti infallibili?


Il Professor Roberto de Mattei ha rilasciato un’intervista al mensile «Catholic Family News», che ha una versione quotidiana on-line, nella quale esprime il suo parere, in qualità di cattolico e di storico, sulle canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, che avverranno domenica 27 aprile. Nel mondo, infatti, molti fedeli sono perplessi per questi due atti che riguardano due Pontefici la cui eroicità delle virtù, anche a fronte della loro modalità di governare la Chiesa, è dubbia. (C.S.)



Professor de Mattei, le imminenti canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II  suscitano, per vari motivi, dubbi e perplessità. Come cattolico e come storico, quale giudizio esprime?
Posso esprimere un’opinione personale, senza pretendere di risolvere un problema che si presenta complesso. Sono innanzitutto perplesso, in linea generale, per la facilità con cui negli ultimi anni si avviano e si concludono i processi di canonizzazione. Il Concilio Vaticano I ha definito il primato di giurisdizione del Papa e l’ infallibilità del suo Magistero, a determinate condizioni, ma non certo l’ impeccabilità personale dei Sovrani Pontefici. Nella storia della Chiesa ci sono stati buoni e cattivi Papi ed è ridotto il numero di quelli elevati solennemente agli altari. Oggi si ha l’impressione che al principio dell’infallibilità dei Papi si voglia sostituire quello della loro impeccabilità. Tutti i Papi, o meglio tutti gli ultimi Papi, a partire dal Concilio Vaticano II vengono presentati come santi. Non è un caso che le canonizzazioni di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II abbiano lasciato indietro la canonizzazione di Pio IX e la beatificazione di Pio XII, mentre avanza il processo di Paolo VI. Sembra quasi che un’aureola di santità debba avvolgere l’era del Concilio e del postconcilio, per “infallibilizzare” un’epoca storica che ha visto affermarsi nella Chiesa il primato della prassi pastorale sulla dottrina.

Lei ritiene invece che gli ultimi Papi non siano stati santi?
Mi permetta di esprimermi su di un Papa che, come storico, conosco meglio: Giovanni XXIII. Avendo studiato il Concilio Vaticano II ho approfondito la sua biografia e ho consultato gli atti del suo processo di beatificazione. Quando la Chiesa canonizza un fedele non vuole solo assicurarci che il defunto è nella gloria del Cielo, ma ce lo propone come modello di virtù eroiche. A seconda dei casi, si tratterà di un perfetto religioso, parroco, padre di famiglia e così via. Nel caso di un Papa, per essere considerato santo egli deve avere esercitato le virtù eroiche nello svolgere la sua missione di Pontefice, come fu, ad esempio, per san Pio V o san Pio X. Ebbene, per quanto riguarda Giovanni XXIII, nutro la meditata convinzione che il suo pontificato abbia rappresentato un oggettivo danno alla Chiesa e che dunque sia impossibile parlare per lui di santità. Lo affermava prima di me, in un celebre articolo sulla “Rivista di Ascetica e Mistica”, qualcuno che di santità se ne intendeva, il padre domenicano Innocenzo Colosio, considerato come uno tra i maggiori storici della spiritualità nei tempi moderni.
Se, come Lei pensa, Giovanni XXIII non fu un santo pontefice e se, come sembra, le canonizzazioni sono un atto infallibile dei pontefici, ci troviamo di fronte a una contraddizione. Non si rischia di cadere nel sedevacantismo?
I sedevacantisti attribuiscono un carattere ipertrofico all’infallibilità pontificia. Il loro ragionamento è semplicista: se il Papa è infallibile e fa qualcosa di cattivo, vuol dire che la sede è vacante. La realtà è molto più complessa ed è sbagliata la premessa secondo cui ogni atto, o quasi, del Papa è infallibile. In realtà, se le prossime canonizzazioni pongono dei problemi, il sedevacantismo pone problemi di coscienza infinitamente maggiori
Eppure la maggioranza dei teologi, e soprattutto i più sicuri, quelli della cosiddetta “scuola romana” sostengono l’infallibilità delle canonizzazioni
L’infallibilità delle canonizzazioni non è un dogma di fede: è l’opinione della maggioranza dei teologi, soprattutto dopo Benedetto XIV, che l’ha espressa peraltro come dottore privato e non come Sovrano Pontefice. Per quanto riguarda la “Scuola romana”, il più eminente esponente di questa scuola teologica, oggi vivente, è mons. Brunero Gherardini. E mons. Gherardini ha espresso sulla rivista Divinitas, da lui diretta, tutti i suoi dubbi sull’infallibilità delle canonizzazioni. Conosco a Roma distinti teologi e canonisti, discepoli di un altro illustre rappresentante della scuola romana, mons. Antonio Piolanti, i quali nutrono gli stessi dubbi di mons. Gherardini. Essi ritengono che le canonizzazioni non rientrano nelle condizioni richieste dal Concilio Vaticano I per garantire l’infallibilità di un atto pontificio.  La sentenza della canonizzazione non è in sé infallibile perché mancano le condizioni dell’infallibilità, a cominciare dal fatto che la canonizzazione non ha come oggetto diretto o esplicito una verità di fede o di morale, contenuto nella Rivelazione, ma solo un fatto indirettamente collegato con il dogma, senza essere propriamente un “fatto dogmatico”. Il campo della fede e della morale è vasto, perché comprende tutta la dottrina cristiana, speculativa e pratica, il credere e l’operare umano, ma una precisazione è necessaria. Una definizione dogmatica non può mai implicare la definizione di una nuova dottrina in campo di fede e di morale. Il Papa può solo esplicitare ciò che è implicito in materia di fede e di morale ed è trasmesso dalla Tradizione della Chiesa. Ciò che i Papi definiscono deve essere contenuto nella Scrittura e nella Tradizione ed è questo che assicura all’atto la sua infallibilità. Ciò non è certamente il caso delle canonizzazioni. Non a caso né i Codici di Diritto Canonico del 1917 e del 1983, né i Catechismi, antico e nuovo, della Chiesa cattolica, espongono la dottrina della Chiesa sulle canonizzazioni. Rimando su questo tema, oltre che al citato studio di mons. Gherardini, ad un ottimo articolo di José Antonio Ureta sul numero di marzo 2014 della rivista Catolicismo.

Ritiene che le canonizzazioni abbiano perduto il loro carattere infallibile, in seguito al mutamento della procedura del processo di canonizzazioni, voluto da Giovanni Paolo II nel 1983?
Questa tesi è sostenuta sul  Courrier de Rome, da un eccellente teologo, l’abbé Jean-Michel Gleize. Del resto uno degli argomenti su cui il padre Low, nella voce Canonizzazioni dell’Enciclopedia cattolica, fonda la tesi dell’infallibilità è l’esistenza di un poderoso complesso di investigazioni e di accertamenti, seguito da due miracoli, che precedono la canonizzazione. Non c’è dubbio che dopo la riforma della procedura voluta da Giovanni Paolo II nel 1983 questo processo di accertamento della verità sia divenuto molto più fragile e ci sia stato un mutamento dello stesso concetto di santità. L’argomento tuttavia non mi sembra decisivo, perché la procedura delle canonizzazioni si è profondamente modificata nella storia. La proclamazione della santità di Ulrico di Augsburg, da parte del Papa Giovanni XV, nel 993, considerata come la prima canonizzazione pontificia della storia, fu proclamata senza alcuna inchiesta da parte della Santa Sede. Il processo di investigazione approfondita risale soprattutto a Benedetto XIV: a lui si deve, ad esempio, la distinzione tra canonizzazione formale, secondo tutte le regole canoniche, e canonizzazione equipollente, quando un Servo di Dio viene dichiarato santo in forza di una venerazione secolare. La Chiesa non esige un atto formale e solenne di beatificazione per qualificare un santo. Santa Ildegarda da Bingen ricevette dopo la sua morte il titolo di santa e il Papa Gregorio IX, fin dal 1233, iniziò un’inchiesta in via della canonizzazione. Tuttavia non c’è mai stata una canonizzazione formale. Neanche santa Caterina di Svezia, figlia di santa Brigida fu mai canonizzata. Il suo processo si svolse tra il 1446 e il 1489, ma non fu mai concluso. Essa fu venerata come santa senza essere canonizzata.

Che cosa pensa della tesi di san Tommaso, ripresa anche dall’articolo Canonisations del Dictionnaire de Théologie catholique, secondo cui se il Papa non fosse infallibile in una dichiarazione solenne come la canonizzazione,  ingannerebbe sé stesso e la Chiesa.
Bisogna dissipare innanzitutto un equivoco semantico: un atto non infallibile, non è un atto sbagliato, che necessariamente inganna, ma solamente un atto sottoposto alla possibilità dell’errore. Di fatto quest’errore potrebbe essere rarissimo, o mai avvenuto. San Tommaso, come sempre equilibrato nel suo giudizio, non è un infallibilista ad oltranza. Egli è giustamente preoccupato di salvaguardare la infallibilità della Chiesa e lo fa con un argomento di ragione teologica, a contrario. Il suo argomento può essere accolto in senso lato, ma ammettendo la possibilità di eccezioni. Concordo con lui sul fatto che la Chiesa, nel suo insieme non può errare quando canonizza. Ciò non significa che ogni atto della Chiesa, come l’atto di canonizzazione sia in sé stesso necessariamente infallibile. L’assenso che si presta agli atti di canonizzazione è di fede ecclesiastica, non divina. Ciò significa che il fedele crede perché accetta il principio secondo cui normalmente la Chiesa non sbaglia. L’eccezione non cancella la regola. Un autorevole teologo tedesco Bernhard Bartmann, nel suo Manuale di Teologia dogmatica (1962), paragona il culto reso a un falso santo all’omaggio reso al falso ambasciatore di un re. L’errore non toglie il principio secondo cui il re ha veri ambasciatori e la Chiesa canonizza veri santi.    

In che senso allora si può parlare di infallibilità della Chiesa nelle canonizzazioni ?
Sono convinto che sarebbe un grave errore ridurre l’infallibilità della Chiesa al Magistero straordinario del Romano Pontefice. La Chiesa non è infallibile solo quando insegna in maniera straordinaria, ma anche nel suo Magistero ordinario. Ma così come esistono delle condizioni di infallibilità per il Magistero straordinario, esistono condizioni di infallibilità per il Magistero ordinario. E la prima di queste è la sua universalità, che si verifica quando una verità di fede o di morale viene insegnata in maniera costante nel tempo. Il Magistero può insegnare infallibilmente una dottrina con un atto definitorio del Papa, oppure con un atto non definitorio del Magistero ordinario, a condizione che questa dottrina sia costantemente conservata e tenuta dalla Tradizione e trasmessa dal Magistero ordinario e universale. L’istituzione Ad Tuendam Fidem della Congregazione per la dottrina della Fede del 18 maggio 1998 (n. 2) lo ribadisce. Per analogia si potrebbe sostenere che la Chiesa non può sbagliare quando conferma con costanza nel tempo verità connesse alla fede, fatti dogmatici, usi liturgici. Anche le canonizzazioni possono rientrare in questo novero di verità connesse. Si può essere certi che santa Ildegarda da Bingen sia nella gloria dei santi e possa essere proposta come modello, non perché essa è stata solennemente canonizzata da un Papa, visto che nel suo caso non c’è mai stata una canonizzazione formale, ma perché la Chiesa ha riconosciuto il suo culto, senza interruzione, fin dalla sua morte. A maggior ragione, per i santi per cui c’è stata canonizzazione formale, come san Francesco o san Domenico, la certezza infallibile della loro gloria nasce dal culto universale, in senso diacronico, che la Chiesa ha loro tributato e non dalla sentenza di canonizzazione in sé stessa. La Chiesa non inganna, nel suo Magistero universale, ma si può ammettere un errore delle autorità ecclesiastiche circoscritto nel tempo e nello spazio.

Ci vuole riassumere la sua opinione?
La canonizzazione di Giovanni XXIII è un atto solenne del Sovrano Pontefice, che promana dalla suprema autorità della Chiesa e che va accolto con il dovuto rispetto, ma non è una sentenza  in sé stessa infallibile. Per usare un linguaggio teologico, è una dottrina non de tenenda fidei, ma de pietate fidei. Non essendo la canonizzazione un dogma di fede, non esiste per i cattolici un positivo obbligo di prestarvi assenso. L’esercizio della ragione, suffragato da un’accurata ricognizione dei fatti, dimostra con tutta evidenza che il pontificato di Giovanni XXIII non è stato di vantaggio alla Chiesa. Se dovessi ammettere che Papa Roncalli abbia esercitato in modo eroico le virtù svolgendo il suo ruolo di Pontefice minerei alla base i presupposti razionali della mia fede. Nel dubbio io mi attengo al dogma di fede stabilito dal Concilio Vaticano I, secondo cui non può esserci contraddizione tra fede e ragione. La fede oltrepassa la ragione e la eleva, ma non la contraddice, perché Dio, Verità per essenza, non è contraddittorio. Sento in coscienza di poter mantenere tutte le mie riserve su questo atto di canonizzazione.

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