"VUOI LA TRADIZIONE? FALLA!"
Editoriale di "Radicati nella fede"
STABILITAS LOCI
Se c'è un rischio grande, oggi,
è quello di credere di vivere le cose perché le si pensa o perché
le si vede. Sì, oggi è questa la grande illusione, l'illusione del
“virtuale”. Non vogliamo parlare solo di internet, anche di
questo, ma non solo di questo.
C'è nel mondo tradizionale chi, navigando sul web, fa il pieno di informazioni sulla vita della Tradizione, partecipa a tutti i più infuocati dibattiti o intervenendo o lasciandosi agitare, e pensa così di vivere la Chiesa secondo la tradizione. C'è poi un altro genere di “virtuali”, fatto da quelli che, amando viaggiare, vanno in cerca dei luoghi più significativi, dove poter vivere qualche intensa esperienza, che faccia loro gustare un pezzetto della Chiesa di sempre: un giorno sono in un convento, l'altro in un priorato, l'altro ancora in una chiesa dove si canta bene la messa. Nell'approssimarsi di una festa dicono: “Dove andiamo a viverla questa volta, dove sarà meglio?”.
Entrambe queste posizioni sono ingannevoli e a lungo andare non costruiscono niente, lasciano a mani vuote, non cambiano la vita. Sono entrambe ingannate dal “virtuale” che non diventa mai “carne e sangue”. È un vagabondare pericoloso, che non ti cambia, che sposta fuori di te il problema.
Potremmo applicare a questo genere di persone il giudizio severo che San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, esprimeva sui monaci vaganti: “C'è infine una quarta categoria di monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la vita passano da un paese all'altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri... ...sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie ... Lasciamoli quindi da parte ...”
Perché questa sferzante severità da parte del Patriarca del monachesimo? Perché questi monaci, così vagando, non si pongono sotto l'obbedienza di nessuno e sfuggono al primo compito del cristiano, la propria conversione.
I monaci benedettini fanno due voti: quello di stabilità (nel monastero) e quello della conversione dei costumi, conversione della vita. Ma è evidente che i due voti sono collegati strettamente: come fa il monaco a convertire la sua vita, se stabilmente non si mette sotto un'obbedienza santa, se non segue chi può guidarlo al cambiamento della sua vita? E come fa ad obbedire se non è stabile, se il riferimento della sua vita non è stabile?
Questo è vero anche per ciascuno di noi, non solo per il monaco. È vero per ogni cristiano. Tanto più per il cristiano che giustamente vuole seguire il Cristianesimo “non modificato”, cioè la Tradizione.
Per questo, e lo abbiamo già detto, dobbiamo riconoscere un luogo di messa tradizionale, dove accanto alla celebrazione della messa ci sia anche la sana dottrina, e farlo diventare il luogo della nostra stabilità. Solo così sarà edificata la nostra vita, sotto un'obbedienza reale che ci converte.
Anche nel caso che questo luogo sia molto distante, e quindi impossibile recarvisi tutte le settimane, sarà sempre possibile un riferimento spirituale intenso che ci permetterà un reale seguire. Uno non potrà forse andarci tutte le settimane, ma programmerà il suo esserci nei momenti più intensi dell'anno. Molte volte la difficoltà della distanza invece di essere un inciampo, se aumenta il desiderio, è una grazia: tu che sei distante puoi capire meglio quanta grazia ci sia in quel luogo, che tu non puoi sempre raggiungere.
Ad altri, più fortunati per vicinanza, sarà invece sempre possibile una fedeltà scrupolosa, alle messe e agli incontri dottrinali, fedeltà che, sola, nel tempo produce grandi frutti.
La vita cristiana consiste nel seguire Cristo, ma questo seguire passa attraverso quel prolungamento dell'Incarnazione di Nostro Signore che si chiama Chiesa. E nella Chiesa si incarna in volti precisi: quel sacerdote, quel fedele più zelante ecc...
Non ha proprio senso il vagabondare spirituale, è sterile e se volete ridicolo: vai in un luogo, vuoi vederci una bella Messa cantata, va bene! ma lo sai che, perché ci sia quella Messa cantata, dei fedeli hanno rinunciato alla loro “libertà”, per essere lì tutte le domeniche a cantarla? ...e altri hanno assicurato il servizio all'altare, tutte le domeniche? ...e un prete è lì stabilmente per celebrarla?
Se tutti questi avessero vagabondato negli anni, per cercare “esperienze” spiritualmente interessanti, tu non avresti trovato un bel nulla. Riflettici su questo.
Sì, è chiesta a molti una conversione in questo senso, una decisione per la vita: vuoi la Tradizione? Falla!... secondo l'autorità che il Signore ti ha dato. Sei prete? Inizia a celebrare la messa di sempre. Sei laico? Recati stabilmente dove un sacerdote, sano per dottrina, ha assicurato la messa della Tradizione, e sii fedele a quella chiesa, perché la tua fedeltà edifichi altri e converta il tuo cuore.
Non c'è alternativa a questa stabilità.
Avete mai provato a domandarvi: ma se per un miracolo della Provvidenza, il Papa concedesse libertà totale all'esperienza della Tradizione, sapremmo far frutto di questa libertà? Ci metteremmo, sotto la grazia di Dio, a fare il Cristianesimo secondo la Tradizione? O troveremmo delle scuse per vivere ancora nella recriminazione?
Volere che la Chiesa torni alla sua Tradizione, lamentandosi o rimpiangendo, fa buttare il tempo, fa buttare la vita... e la vita passa veloce.
C'è nel mondo tradizionale chi, navigando sul web, fa il pieno di informazioni sulla vita della Tradizione, partecipa a tutti i più infuocati dibattiti o intervenendo o lasciandosi agitare, e pensa così di vivere la Chiesa secondo la tradizione. C'è poi un altro genere di “virtuali”, fatto da quelli che, amando viaggiare, vanno in cerca dei luoghi più significativi, dove poter vivere qualche intensa esperienza, che faccia loro gustare un pezzetto della Chiesa di sempre: un giorno sono in un convento, l'altro in un priorato, l'altro ancora in una chiesa dove si canta bene la messa. Nell'approssimarsi di una festa dicono: “Dove andiamo a viverla questa volta, dove sarà meglio?”.
Entrambe queste posizioni sono ingannevoli e a lungo andare non costruiscono niente, lasciano a mani vuote, non cambiano la vita. Sono entrambe ingannate dal “virtuale” che non diventa mai “carne e sangue”. È un vagabondare pericoloso, che non ti cambia, che sposta fuori di te il problema.
Potremmo applicare a questo genere di persone il giudizio severo che San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, esprimeva sui monaci vaganti: “C'è infine una quarta categoria di monaci, che sono detti girovaghi, perché per tutta la vita passano da un paese all'altro, restando tre o quattro giorni come ospiti nei vari monasteri... ...sempre vagabondi e instabili, schiavi delle proprie voglie ... Lasciamoli quindi da parte ...”
Perché questa sferzante severità da parte del Patriarca del monachesimo? Perché questi monaci, così vagando, non si pongono sotto l'obbedienza di nessuno e sfuggono al primo compito del cristiano, la propria conversione.
I monaci benedettini fanno due voti: quello di stabilità (nel monastero) e quello della conversione dei costumi, conversione della vita. Ma è evidente che i due voti sono collegati strettamente: come fa il monaco a convertire la sua vita, se stabilmente non si mette sotto un'obbedienza santa, se non segue chi può guidarlo al cambiamento della sua vita? E come fa ad obbedire se non è stabile, se il riferimento della sua vita non è stabile?
Questo è vero anche per ciascuno di noi, non solo per il monaco. È vero per ogni cristiano. Tanto più per il cristiano che giustamente vuole seguire il Cristianesimo “non modificato”, cioè la Tradizione.
Per questo, e lo abbiamo già detto, dobbiamo riconoscere un luogo di messa tradizionale, dove accanto alla celebrazione della messa ci sia anche la sana dottrina, e farlo diventare il luogo della nostra stabilità. Solo così sarà edificata la nostra vita, sotto un'obbedienza reale che ci converte.
Anche nel caso che questo luogo sia molto distante, e quindi impossibile recarvisi tutte le settimane, sarà sempre possibile un riferimento spirituale intenso che ci permetterà un reale seguire. Uno non potrà forse andarci tutte le settimane, ma programmerà il suo esserci nei momenti più intensi dell'anno. Molte volte la difficoltà della distanza invece di essere un inciampo, se aumenta il desiderio, è una grazia: tu che sei distante puoi capire meglio quanta grazia ci sia in quel luogo, che tu non puoi sempre raggiungere.
Ad altri, più fortunati per vicinanza, sarà invece sempre possibile una fedeltà scrupolosa, alle messe e agli incontri dottrinali, fedeltà che, sola, nel tempo produce grandi frutti.
La vita cristiana consiste nel seguire Cristo, ma questo seguire passa attraverso quel prolungamento dell'Incarnazione di Nostro Signore che si chiama Chiesa. E nella Chiesa si incarna in volti precisi: quel sacerdote, quel fedele più zelante ecc...
Non ha proprio senso il vagabondare spirituale, è sterile e se volete ridicolo: vai in un luogo, vuoi vederci una bella Messa cantata, va bene! ma lo sai che, perché ci sia quella Messa cantata, dei fedeli hanno rinunciato alla loro “libertà”, per essere lì tutte le domeniche a cantarla? ...e altri hanno assicurato il servizio all'altare, tutte le domeniche? ...e un prete è lì stabilmente per celebrarla?
Se tutti questi avessero vagabondato negli anni, per cercare “esperienze” spiritualmente interessanti, tu non avresti trovato un bel nulla. Riflettici su questo.
Sì, è chiesta a molti una conversione in questo senso, una decisione per la vita: vuoi la Tradizione? Falla!... secondo l'autorità che il Signore ti ha dato. Sei prete? Inizia a celebrare la messa di sempre. Sei laico? Recati stabilmente dove un sacerdote, sano per dottrina, ha assicurato la messa della Tradizione, e sii fedele a quella chiesa, perché la tua fedeltà edifichi altri e converta il tuo cuore.
Non c'è alternativa a questa stabilità.
Avete mai provato a domandarvi: ma se per un miracolo della Provvidenza, il Papa concedesse libertà totale all'esperienza della Tradizione, sapremmo far frutto di questa libertà? Ci metteremmo, sotto la grazia di Dio, a fare il Cristianesimo secondo la Tradizione? O troveremmo delle scuse per vivere ancora nella recriminazione?
Volere che la Chiesa torni alla sua Tradizione, lamentandosi o rimpiangendo, fa buttare il tempo, fa buttare la vita... e la vita passa veloce.
Prensilità settaria
RispondiEliminaCaro don Secci, cosa le devo dire? Il problema denunciato è insussistente: gente che presume di vivere la tradizione solo attraverso internet spero ne esista poca, sarebbe come presumere di essere un buon cristiano solo perché ci si è abbonati all'Osservatore romano. Quanto al turismo tradizionale, può permetterselo solo gente che ha molto tempo e molti mezzi, visto che i centri di messa tradizionale non sono a ogni cantone e per cambiarne uno tutte le volte bisogna come minimo spostarsi attraverso tutta l'Italia.
RispondiEliminaGrilloparlanteria. Neanche di gran spessore.
RispondiEliminaCredo, al contrario, che l'editoriale tocchi nervi scoperti. Troppi strologano e pochi fanno.
RispondiEliminaMovimento cinque stelle delle alpi?
RispondiEliminaSe serve a fare fuori una gerarchia che si sta dimostrando indegna, possiamo dargli il benvenuto.
EliminaLa questione è molto chiara. Chi opera in realtà localmente fisse (parrocchie, pseudoparrocchie, paraparrocchie, ecc.) tira l'acqua al suo mulino, vendendo il prodotto con gli slogan di sempre (è l'industria della disperazione o, se preferite, della speranza). L'atteggiamento è molto paternalistico, quello dell'illuminato, novello dottore della Chiesa, che chiama a raccolta i suoi pecorotti (il suo pubblico, i suoi clienti) cui offre, bontà sua, l'imperdibile possibilità di accedere alla salvezza. Gli altri, quelli che seguono il Papa e la vita ordinaria della Chiesa (il novus ordo in particolare), sono per lo più anime perse.
RispondiEliminaE' vecchio marketing, eventualmente a spese di curie sciocchine, che sovvenzionano i propri avversari e che non hanno il coraggio di tagliar loro i viveri perché, forse avendo la coscienza non proprio pulita, non intendono farne dei martiri. In questo genere di posizioni c'è spesso molta presunzione (anche solo quella di "lavorare", di "fare"), molta saccenteria (un po' di tomismo imparaticcio, un po' di apologetica ad usum bubulcorum, un po' di ieraticità pret-à-porter), un po' di posa (da "martiri della Fede") e qualche ettolitro di risentimento. Certo poca umiltà e poca disciplina. Alla fine l'impressione che trasmettono è quella di trastullarsi con un giocattolone. Contenti loro, va bene così.
All'acido anonimo delle 11.09 chiedo: Tutto questo sproloquio cosa ha a che fare con l'articolo postato?
EliminaQuoto invece Dante Pastorelli...
Gianluca
Condivido in pieno il giudizio delle 11.09
EliminaAonimo 11:09 sei certo che qualche "ettolitro" di risentimento non ce l'abbia tu?
EliminaSì, sono certa.
EliminaAnonimo 11:09 sarebbe interessante che lei ci illumini sull'argomento in questione: la stabilità dal suo punto di vista, dal momento in cui nel suo commento ci sono solo "epitteti" e si guarda lei bene da dare una propria risposta.
EliminaAnonimo delle 11.49 sembra il classico tipo, che ha provato la tradizione e ne è rimasto scontento. Ma, invece di recriminare e lanciare anatemi incattiviti, dando così indizio di scarso carattere, perchè non ci racconta invece, dove lui ha trovato la sua dimensione spirituale e come la vive? Siamo in attesa, sempre che lui una dimensione spirituale l'abbia davvero.
EliminaDico la mia. L'articolo contiene alcuni spunti utili. L'osservazione sul vagabondaggio spirituale, ad esempio, è giusta. Però questi spunti sono proposti in modo superficiale. Il vagabondaggio spirituale, sempre ad esempio, non consiste nel cambiare chiesa una domenica sì e una no, ma nel non avere un ubi consistam interiore. Ratzinger diceva bene quando affermava che il cristiano deve potersi sentire a casa sua in ogni chiesa, al di là di qualsiasi appartenenza di ordine o gruppo. La stanzialità locale è un falso problema. Oggi più che mai. L'articolista fa riferimento al monachesimo. Può darsi che egli sia un monaco e in tal caso porta alla nostra attenzione la sua personale esperienza. Ma il monachesimo si è dato in tante forme diverse nella storia della Chiesa, modificandosi in base ai tempi e ai luoghi. Non esiste una ricetta valida per tutte le situazioni. In conclusione trovo che l'articolo sia un poco pretenzioso, benché contenga anche osservazioni condivisibili.
RispondiEliminaCaro Raphael, l'articolista non è un monaco, anche se ne ha il cuore e la sensibilità. Sa bene anch'egli che non esiste una ricetta universale. Non giudicare pretenzioso il frutto di un'esperienza sofferta e meditata. Leggi più a fondo e vedrai che il bersaglio è perfettamente centrato.
EliminaL'articolista ci informa che la stragrande maggioranza dei fedeli segue il Cristianesimo OGM. Per seguire il Cristianesimo non modificato (quello vero, intende dire senza avere il coraggio di dirlo), bisogna andare da quelli come lui. Ma che cosa c'è di più moderno, modernista e antitradizionale dei preti che rifiutano la Chiesa, il Papa, la forma ordinaria del rito della Chiesa, e che lo fanno a mezza bocca, magari cuccandosi i quattrini da quella Chiesa OGM che disprezzano tanto?
RispondiEliminaLa questione dell' ubi consistant emerge, eccome : "Anche nel caso che questo luogo sia molto distante, e quindi impossibile recarvisi tutte le settimane, sarà sempre possibile un riferimento spirituale intenso che ci permetterà un reale seguire."
RispondiEliminaL'ubi consistamus si conquista nell'interiorità. Il riferimento a luoghi e persone è secondario.
RispondiEliminaNon mi sembra che l'articolo di don Secci dica qualcosa di diverso. Il suo è solo un invito a non bighellonare e a non peregrinare qua e là senza frutto. Una requisitoria intelligente contro lo spreco di tempo e di risorse, contro l'ignavia e contro la tepidezza.
EliminaAnonimo delle 13.58 nada a quel che dici ché a quel che mi risulta il prete che ha scritto l articolo per poter essere fedele alla tradizione ha rinunciato alla prebenda e si mantiene insegnando
RispondiEliminaQuanto veleno si schizza contro chi ha fatto scelte a lungo meditate e, quindi, anche dolorose e apparentemente emarginanti.
RispondiEliminaL'ANONIMO delle 11,09 è corrosivo e giunge ad ergersi lui a giudice persino in foro interno. Ma termina con l' "impressione", e, dunque, denuncia l'evanescenza di tutto il suo ferino sproloquio.
Don Secci è un ottimo sacerdote. Non lo ripeteremo mai abbastanza. Quelli che prendono prebende sono altri.
RispondiEliminaDon Secci segue la propria via, che non è una via facile, ha preso bastonate e perso una parrocchia, certo l'articolo è pro domo sua ma non si capisce perché l'anonimo delle 11.09 si faccia tanti problemi, se a lui non piace don Secci nessuno verrà a imporgli di seguirlo...
RispondiEliminaSono d'accordo con l'anonimo 12:42. Don Secci ha mostrato di avere più fegato di tanti altri. Anche in diocesi c'è chi vivacchia a spese della curia e chi invece, come don Alberto, ha avuto il coraggio di prendere in mano il proprio destino senza se e senza ma. Pur non essendo io un suo seguace in senso stretto, non posso non esprimere il mio plauso all'opera che egli sta compiendo da molto tempo a questa parte. Tutto in nome della Tradizione perenne e immutabile della Chiesa. Un giorno si parlerà di lui come di un sacerdote esemplare, se non come di profeta autentico. I suoi articoli poi sono eccellenti.
RispondiEliminaSanto subito!!!!
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