Il pragmatismo. P. Alfonso M. Bruno, FI e i suoi compagni
di Gianpaolo Del Buono, da Corrispondenza Romana del 24.09.2013
Viviamo un momento ecclesiale in cui l’azione, il fare, la pastorale, sono ritenuti più necessari dell’essere, della verità, della dottrina. Siamo ammalati di pragmatismo. Nei ragionamenti, se pur ci sono, si parte dal fare che non va o dal fare da progettare, e poi, solo dopo, si pensa all’essere, alla realtà com’è in se stessa.
Tradotto in termini pastorali ciò è veramente fatidico: sarà la prassi a illuminare la dottrina; è, difatti, l’azione che muove la verità o meglio che l’assorbe fino a diluirla nel mare dell’esserci qui ed ora. Non pensiamo come essere, come vivere per piacere a Dio, ma ad esserci, ad apparire, ad essere protagonisti, a rendere anche altri protagonisti del nostro comparire sulla scena di questo mondo.
La logica del fare, che precede e programma la verità, fino a renderla verità in processo, in un perenne divenire, verità in cammino, come si ama ripetere, è uno scacco alla fede. Non perché la fede non preveda ed esiga anche un’applicazione pratica, una programmazione pastorale, ma per il fatto che prima bisogna essere e poi, solo dopo, si può camminare.
Il cammino, il movimento, non può precedere la fede o anche solo, come accade oggi, congelarla per un momento, fino a quando avremo trovato il modo giusto per
porgerla. Non si può lasciare la fede in un certo “immobilismo dogmatico” in attesa di trovare il modo migliore per farla conoscere: la fede prima o poi viene assoggettata alle regole della prassi, al flusso del divenire, e inizierà anch’essa a cambiare. Non perché cambi in sé o la si voglia intenzionalmente far cambiare, ma perché sarà semplicemente posta sul carro delle sperimentazioni e inizierà anch’essa ad essere sperimentata. Decidere di volta in volta se conviene o no dirla, e dirla integralmente, significherà decidere di non dirla o di dirla parzialmente. Ma il non dirla, o l’averla detta parzialmente, sarà come averla detta negandola, o almeno aver posto i presupposti della negazione, perché il processo del fare la travolgerà nel non detto dei gesti, dei segni, delle parole, che si moltiplicano senza più un centro, senza la verità. Le parole si moltiplicano, ma la verità non è detta.
porgerla. Non si può lasciare la fede in un certo “immobilismo dogmatico” in attesa di trovare il modo migliore per farla conoscere: la fede prima o poi viene assoggettata alle regole della prassi, al flusso del divenire, e inizierà anch’essa a cambiare. Non perché cambi in sé o la si voglia intenzionalmente far cambiare, ma perché sarà semplicemente posta sul carro delle sperimentazioni e inizierà anch’essa ad essere sperimentata. Decidere di volta in volta se conviene o no dirla, e dirla integralmente, significherà decidere di non dirla o di dirla parzialmente. Ma il non dirla, o l’averla detta parzialmente, sarà come averla detta negandola, o almeno aver posto i presupposti della negazione, perché il processo del fare la travolgerà nel non detto dei gesti, dei segni, delle parole, che si moltiplicano senza più un centro, senza la verità. Le parole si moltiplicano, ma la verità non è detta.
Le parole, le molte parole, soppiantano la verità, la quale viene appunto diluita nelle parole e nei gesti, fino a non sapere più cosa essa sia in se stessa. Questo è l’inganno del pragmatismo. La verità prima è messa in un cantuccio, poi è dimenticata; finalmente sarà il solo ricordo soggettivo della verità dei tanti ad essere la nuova verità.
Oggi, nella Chiesa, non è un problema pastorale ricevere la comunione sulle mani; non è un problema la profanazione dell’Eucaristia. Il vero problema da risolvere è unicamente e ancora la mancanza di scienza dei fedeli nel saper posizionare le mani nel modo giusto per fare la comunione sulle mani. Pastorale è insegnare ai fedeli a mettere le mani in modo corretto. Se mancano i preti e il celibato si vede stringente, cosa si fa? Pensiamo subito al fatto che non è un’istituzione di diritto divino e vediamo ciò che si può “fare” per sopperire all’indigenza vocazionale.
I conventi si svuotano. Si potrebbe pensare a una pastorale per poterli riempire di nuovo. E invece qual è la proposta? Riempiamoli di rifugiati, «la carne di Cristo». Una domanda però sorge: se i rifugiati sono la carne di Cristo, il corpo di Cristo, invece, che è l’Eucaristia, cosa sarà? La carne dei rifugiati? Ecco come una prassi cambia la fede o la può cambiare, nel tempo. Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
In questo processo del fare senza l’essere, dell’apparire senza la verità, si colloca l’azione di P. Alfonso Bruno, FI, dei suoi discepoli e dei suoi suggeritori. Lui ormai è il “salvatore” che cerca di far rinsavire l’Istituto dei FI e di riportarlo all’ovile del sentire cum praxe: sentire con la prassi. Il reato più vistoso che hanno commesso i frati con il loro Fondatore è di aver celebrato la S. Messa secondo la forma più antica del Rito romano e così di aver imboccato irreversibilmente la via del tradizionalismo; quella Messa, una forma stramba non allineata allo scorrere attuale del flusso ecclesiale, oltretutto foriera di una “mentalità tridentina”. Ecco il delitto gravissimo!
Come fare per riportare tutti all’unità? Eliminiamo la celebrazione della S. Messa, riserviamola ai nostalgici del passato. Ma noi, direbbe P. Bruno, smettiamola di dover ragionare partendo dalle cose in sé, dalla Messa com’è in se stessa; smettiamola di partire dal dogma per illuminare la pastorale. Che male c’è, abbiamo la S. Messa nuova.
È vero. Ma il solo problema è che tagliando il legame con la perenne tradizione liturgica della Chiesa si recide anche la ragione più intima della Messa nuova: diventa una Messa senza più radici. L’illusione pastoral-pragmatica di risolvere i problemi senza la verità è lo scacco più grande allo stesso problema che si vuole risolvere. Bisogna partire dalla verità.
Però, il pragmatismo è un gioco che favorisce la propria visibilità nel mondo dell’apparenza. Pragmatismo diventa sinonimo di protagonismo. Quando si pensa solo al fare, presto ciò diventa solo apparire, mettere al centro se stessi, curare la propria visibilità mediatica. Una visibilità che però può divenire anche totale esposizione di sé fino a far apparire i lati più nascosti o oscuri di sé.
Sembra che P. Bruno in tutte le risposte che dà, nelle sue interviste, sul sito ufficiale dei FI, commissariato e ormai piattaforma per la sua rivincita, non miri ad altro che a presentare un’immagine di sé: non dell’uomo dalla doppia faccia come viene dipinto dai tradizionalisti, ma l’uomo dell’equilibrio, della conciliazione, del saper fare. Proprio questo dimostra la tesi di partenza: non è importante la verità, l’essere, la tradizione liturgica della Chiesa, ma il proprio apparire. Chi di comunicazione vive e colpisce di comunicazione perisce.
Io sarei meno cosmogonico nell'analisi ,sia pur condivisibile.
RispondiEliminaMa quanto aveva Padre Bruno a latino a scuola?
Na mezza pippa sicuramente ,sempre che abbia studiato il latino.
La verità è che a molti sacerdoti,secolari o regolari,non aggrada di prendere in mano i libri ostici che poi fanno la differenza tra un cialtrone ed un uomo di Chiesa.
atronge.
Mi risulta che p. Bruno parli più lingue e abbia studiato non il latino, ma in latino. Mi disgusta la caduta di stile dei commentatori che anziché argomentare fanno l'attacco a una persona degna e rispettabile.
EliminaSemplicemente magnifico. Il male (non tanto) oscuro della Chiesa, che si riflette in Bruno e confratelli ribelli, viene illuminato con grande sapienza e chiarezza. Ce ne fossero di scrittori come questo!
RispondiEliminaPerchè meravigliarsi ? E' il NUOVO che avanza, è finita l'età della restaurazione benedettiana, finalmente si esce dal buio delle catacombe e si procede verso le magnifiche sorti progressive che faranno riempire le chiese e i confessionali, ridaranno colore e folclore alle liturgie, e come diceva Lucio Dalla in una sua canzone " anche i preti potranno sposarsi, ma solo ad una certa età".
RispondiEliminaILLUSI
Qualcuno fa finta di non capire che la pubblicazione di così tanti articoli, tutta dalla stessa parte cioè da Corrispondenza Romana, finirà per compromettere definitivamente la già delicata questione di coloro che si vorrebbero difendere.
RispondiEliminaforse, anonimo delle 11,41, ma almeno si saprà che c'è qualcuno che ha aperto il vaso di Pandora
RispondiEliminaTrovo sconcertante queste affermazioni inadeguate e senza riferimento concreto alla realtà. Che cosa c’entra P. Bruno con l’ipertrofia del pragmatismo, con un fare senza l’essere, con l’apparire senza la verità? P. Bruno vive la vita comunitaria di convento come gli altri frati (le ore di preghiera e di meditazione sono le stesse degli altri frati); si è formato dottrinalmente in quell’Istituto, ed è stato scelto da Manelli per far parte del suo consiglio nel 2008. È stato nominato delegato per le missioni (Vatican Insider 18-9-2013). Predica e fa catechesi come gli altri frati, secondo le direttive di quell’Istituto. Da dove hanno tirato fuori questa ciclopica balla che vivrebbe di pragmatismo? Se fosse vero, data la sua formazione in quell’Istituto e le scelte di Manelli su di lui, in quell’Istituto, tutto l’Istituto di Manelli sarebbe infettato pure lui da questa presunta malattia del pragmatismo! Da un pò di tempo Corrispondenza romana dà i numeri. Da quando si è messa a difendere solo per partito preso, cioè a scatola chiusa, Manelli, è diventata incorrispondenza romana alla realtà e alla verità dei fatti. Mi dispiace perché nel passato non ha avuto queste banali cadute.
RispondiEliminaTrovo sconcertante queste affermazioni inadeguate e senza riferimento concreto alla realtà. Che cosa c’entra P. Bruno con l’ipertrofia del pragmatismo, con un fare senza l’essere, con l’apparire senza la verità? P. Bruno vive la vita comunitaria di convento come gli altri frati (le ore di preghiera e di meditazione sono le stesse degli altri frati); si è formato dottrinalmente in quell’Istituto, ed è stato scelto da Manelli per far parte del suo consiglio nel 2008. È stato nominato delegato per le missioni (Vatican Insider 18-9-2013). Predica e fa catechesi come gli altri frati, secondo le direttive di quell’Istituto. Da dove hanno tirato fuori questa ciclopica balla che vivrebbe di pragmatismo? Se fosse vero, data la sua formazione in quell’Istituto e le scelte di Manelli su di lui, in quell’Istituto, tutto l’Istituto di Manelli sarebbe infettato pure lui da questa presunta malattia del pragmatismo! Da un pò di tempo Corrispondenza romana dà i numeri. Da quando si è messa a difendere solo per partito preso, cioè a scatola chiusa, Manelli, è diventata incorrispondenza romana alla realtà e alla verità dei fatti. Mi dispiace perché nel passato non ha avuto queste banali cadute.
RispondiEliminaHo letto un post su Campari & De Maistre. Alla fine c'è lo screen shoot di una reazione su facebook che però non ho più ritrovato sulla pagina dei Francescani dell'immacolata, ma che spiegherebbe l'accanimento sul caso di Corrispondenza Romana. Interesse solo ideologico o pecuniario? E' strano, molto strano...
RispondiEliminaQui più che del commissario apostolico c'è bisogno di quello della Guardia di Finanza.