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giovedì 29 agosto 2013

Frati F.I. Alla vigilia delle Professioni perpetue... l’invito di P. Volpi all’ammutinamento


               
     L’invito di P. Volpi all’ammutinamento
              e la nostra supplica ai Francescani dell’Immacolata
                    di Cristina Siccardi da Riscossa Cristiana 28 agosto 2013




Suora«Istigazione all’ammutinamento», questo, in forma implicita, ma chiarissima, il messaggio che emerge dal primo documento pubblico del Commissario apostolico, Padre Fidenzio Volpi O.F.M.Cap., incaricato dalla Sacra Congregazione dei Religiosi di commissariare l’ordine dei Francescani dell’Immacolata.
Si tratta di un documento – uscito oggi sul sito ufficiale dei Francescani dell’Immacolata – di grande importanza, visto che pare anticipare e, comunque, è informato alla medesima mentalità che produrrà le decisioni sul destino dell’Ordine, decisioni che il Commissario renderà note il 30 agosto p.v. La lettera, datata 31 agosto 2013, giorno in cui si terranno le professioni perpetue dell’Ordine, è rivolta ai «Carissimi giovani» che pronunceranno i voti in quel giorno, e ha l’obiettivo, benché lo stile sia ammantato di paternità,  di porre in chiaro ai prossimi membri religiosi l’insanabile contrasto fra il Commissario stesso, che pretende di incarnare tutto il potere della Chiesa, ed il fondatore, Padre Stefano Manelli. Citando Hans Urs von Balthasar (1905-1988)[1], si cerca di mettere i figli contro i padri, con un sistema che ricorda quello sovietico, contrapponendo l’autorità di questi a quella dei commissari del potere, autorità quest’ultima presentata come sempre ed indiscutibilmente superiore, ai limiti dell’infallibilità:
«Il teologo Von Balthasar in un saggio sulla spiritualità (Verbum Caro) sosteneva che quando una realtà religiosa ed ecclesiale si preoccupa essenzialmente di distinguersi dagli altri ponendo le proprie convinzioni come unica eccellenza a cui fare riferimento, è segno di una chiusura che non può che danneggiare il futuro stesso della Chiesa. Come potrebbe esserlo, aggiungo io, una certa confusione tra i fini ed i mezzi, per cui i testi, i suggerimenti, gl
i atteggiamenti o le parole dei fondatori potrebbero essere considerati più decisivi dell’insegnamento del magistero quando se non addirittura non degli stessi testi biblici. In questo caso il movimento che si professa ufficialmente come una mediazione verso una forma nuova di evangelizzazione, ne diventa il sostituto».
La faziosità e l’insostenibilità dottrinale del principio deriva da una serie voluta e ben calcolata di omissioni. Si omette di rilevare che, se gli insegnamenti del Padre fondatore, sia esposti come dottrina, sia riverberantesi negli Statuti, fossero stati in contrasto con la dottrina cattolica, la Gerarchia non avrebbe dovuto approvare l’Ordine. Si mette, inoltre, sul medesimo piano la Scrittura ed il Magistero, quasi fossero entrambi fonti della Rivelazione, omettendo di citare, tra le fonti, la Tradizione. Così concepita, la virtù dell’obbedienza, lungi dall’essere strumento di adeguamento alla certissima ed immutabile volontà di Dio, rivelata una volta per tutte, diviene strumento dell’arbitrio del Superiore, ai cui mutevoli capricci sembra tenuto ad adeguarsi ogni monaco.
Tutti coloro che conoscono l’Ordine dei Francescani dell’Immacolata sanno che esso ambisce ad una vita di orazione e di perfezionamento, di sacrificio e di oblazione a Dio, così lo ha voluto padre Manelli, ispirato da padre Pio da Pietrelcina, il quale subì il commissariamento, come oggi lo subisce il figlio spirituale.
Nel documento non si riportano fatti, ma tutto è costruito sulle insinuazioni. Sotto i toni delicati, si comprende la volontà matrigna di accorpare questa meravigliosa realtà religiosa – con numerose vocazioni – nel bacino dell’ordinarietà religiosa dei nostri tristi tempi ecclesiali: ciò che palesemente spaventa è la sempre più profonda riscoperta della Tradizione: «Una delle problematiche centrali a mio avviso, viene proprio dalla minaccia di una certa autoreferenzialità, cioè nel desiderio di sottolineare a tutti i costi la propria peculiarità caratterizzante. Ritengo invece prova certa di maturità cercare di superare tale atteggiamento, riconoscendo con spirito umile e francescano l’edificazione della Chiesa come referente ultimo della propria esperienza carismatica». È chiarissima la malafede.
La ricchezza della Chiesa sta proprio nel «carisma»: come ogni figlio di Dio è diverso l’uno dall’altro, così ogni famiglia religiosa della Chiesa deve essere diversa una dall’altra e questa diversità le viene data proprio dal «carisma» del fondatore, come sta scritto nel decreto conciliare sul rinnovamento della vita religiosa Perfectae caritatis al § 2:
«Il rinnovamento della vita religiosa comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla primitiva ispirazione degli istituti, e nello stesso tempo l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi. Questo rinnovamento, sotto l’influsso dello Spirito Santo e la guida della Chiesa, deve attuarsi secondo i seguenti principi:
a) Essendo norma fondamentale della vita religiosa il seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo, questa norma deve essere considerata da tutti gli istituti come la loro regola suprema.
b) Torna a vantaggio della Chiesa stessa che gli istituti abbiano una loro propria fisionomia ed una loro propria funzione. Perciò si conoscano e si osservino fedelmente lo spirito e le finalità proprie dei fondatori, come pure le sane tradizioni, poiché tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun istituto».
Altra obiezione che sorge alla lettura della lettera è la citazione del discorso che Giovanni Paolo II fece il 30 maggio 1998 ai responsabili delle «nascenti forme di Vita Consacrata»:
«La nascita di nuovi Istituti e la loro diffusione ha recato nella vita della Chiesa una novità inattesa, e talora persino dirompente. Ciò non ha mancato di suscitare interrogativi, disagi e tensioni; talora ha comportato presunzioni e intemperanze da un lato, e non pochi pregiudizi e riserve dall’altro. È stato un periodo di prova per la loro fedeltà, un’occasione importante per verificare la genuinità dei loro carismi. Oggi si apre davanti a voi una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale. Ciò non vuol dire che tutti i problemi siano risolti. È, piuttosto, una sfida; una via da percorrere. La Chiesa si aspetta frutti di comunione e di impegno». Ma il Pontefice si rivolgeva a realtà «nascenti» intorno al 1998 e non a quelle già nate e consolidate. Anno di fondazione dei Francescani dell’Immacolata è il 1969, quando Padre Manelli O.F.M. Conv. riscoprì e meditò le Fonti Francescane e gli scritti di san Massimiliano Maria Kolbe (1894-1941), che, oltre a tornare ad un autentico spirito francescano, volle inserire il «voto mariano», che viene emesso nella professione religiosa al primo posto, seguito dai voti di castità, povertà, obbedienza.
Ora, è proprio il voto di obbedienza all’interno dell’Ordine che Padre Volpi vuol far mettere in discussione: rivolgersi a dei novizi, invitandoli a mettere sistematicamente in dubbio quanto proposto e comandato dall’Ordine in cui si apprestano ad entrare definitivamente ed ai suoi legittimi Superiori equivale a rendere umanamente e spiritualmente impossibile l’esercizio del voto di obbedienza. Se  tutto ciò che proviene dai Superiori è, per questo stesso fatto, sospetto, significa che essi non sono lo strumento visibile dell’autorità divina, ma, quantomeno potenzialmente, strumenti di corruzione e di dannazione. Risulta ovvio che l’obbedienza nei loro confronti, lungi dall’essere obbedienza a Dio diviene obbedienza a Satana. Non solo il voto di obbedienza, ma tutta la vita religiosa di questi giovani, qualora dovessero dar peso alle parole di Padre Volpi, risulterebbe sporcata e macchiata.
In quest’opera di vera e propria devastazione dell’Ordine, Padre Volpi appoggia cinque Francescani dell’Immacolata, che si contrappongono al loro Superiore e non vogliono più obbedirgli, contestando sia il rigore della Regola, improntato all’originaria durezza di San Francesco, sia l’approfondimento dottrinale della Tradizione. Pare quasi di trovarci di fronte a quegli atleti che, non riuscendo a superare l’ostacolo, ne chiedono al giudice l’abbassamento.
Padre Volpi accusa, apertis verbis, di autoreferenzialità l’Ordine nella persona del suo fondatore. Tenere alle proprie peculiarità (carisma) non è autoreferenzialità, bensì auto-conservazione, tenuto conto, come dicevamo, del fatto che tali specificità sono state approvate dal Vicario di Cristo. Autoreferenziale e soggettivistico sarebbe, invece, deflettere dalle medesime, per adattarsi e cedere agli arbitri di chi si comporta più da commissario politico sovietico che da Padre. Oltre al fatto che Padre Manelli (proverbiale e nota la sua umiltà) non ha mai rimandato nulla alla sua persona, bensì tutto a San Francesco, a San Massimiliano e  alla Santissima Immacolata.
I cinque dissidenti si sono scagliati non  solo contro il loro Padre Fondatore e Ministro Generale, ma anche contro il Consiglio e i Superiori dei Seminari di Teologia e Filosofia; a causa di cosa? Di certe simpatie per la Tradizione, in particolare per il Vetus Ordo, liberalizzato da Sua Santità Benedetto XVI nel 2007. La loro critica si basa sul fatto che, inizialmente, la liturgia dell’Ordine era quella imposta dalla riforma del 1969 e che la riscoperta del Vetus Ordo e, conseguentemente, della Tradizione, sarebbe una novità imposta dal fondatore in contrasto con lo spirito originario. Ciò è assolutamente falso, in quanto la nota distintiva dell’Ordine, fin dalla sua fondazione, fu il ritorno alle origini francescane, prendendo le distanze dagli ammorbidimenti che via via queste avevano subito. Il fatto che la liturgia non fosse tradizionale era unicamente dovuto alla regolamentazione eccessivamente rigida, ai limiti del divieto, vigente per questa forma prima del Motu Proprio Summorum Pontificum. Una volta superata questa situazione innaturale, era ovvio che l’Ordine si riappropriasse della liturgia di sempre, implicitamente, ma chiaramente bramata ab origine dall’Ordine stesso. Non comprendere ciò significa semplicemente non aver compreso per nulla chi siano i Francescani dell’Immacolata.
Come accade in tutte le famiglie religiose ci sono elementi irrequieti e di “disturbo”, ma non per questo la loro linea deve diventare quella dominante. Cinque ribelli non possono e non devono, per giustizia umana e divina, distruggere una realtà che benefica migliaia di anime.
Al termine del documento rivolto ai prossimi professi, Padre Volpi riporta un aneddoto sibillino:
«un papà guardava un giorno il suo bambino che cercava di spostare un vaso di fiori molto pesante. Il piccolino si sforzava, sbuffava, brontolava, ma non riusciva a smuovere il vaso neppure di un millimetro.
“Hai usato tutte le tue forze?”- gli chiese il padre.
“Sì” rispose il bambino.
“Non è vero – ribatté il padre – perché non mi hai chiesto di aiutarti».
Il vaso è forse Padre Manelli? E chi aiuterebbe i Francescani dell’Immacolata a rimuoverlo? Forse Padre Volpi, che in questo caso rappresenta la volpe di Pinocchio? Oppure i tanti e mirabili santi che li hanno preceduti nelle prove di persecuzione e che, invece, tale vaso ancorano al suo posto?
Chi fermerà l’abuso di potere che si sta perpetrando ai danni di una realtà bella, sana, pulita, che è, a tutti gli effetti, secondo il Cuore di Dio? Nessuno potrà farlo, se non la Divina Provvidenza, mediante gli stessi membri dell’Ordine. È più facile dire «sì» al prepotente, che «no». È più facile piegare la testa di fronte al carnefice piuttosto che tenerla alta e guardarlo dritto negli occhi. È più facile inginocchiarsi di fronte a colui che ha il coltello dalla parte del manico, piuttosto che disobbedire al tiranno… eppure Davide fece così con Golia, eppure San Paolo lo insegna e le sue parole non sono soltanto materia di orazione e di meditazione, materia di studio e di esami da dare di fronte ai docenti… sono anche e soprattutto da mettere in pratica, come lui stesso fece, come ogni buon cattolico dovrebbe fare, come ogni innamorato di Dio e della Chiesa è chiamato a realizzare: «“Ti basta la mia grazia: la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12, 9-10).
Una supplica, Francescani dell’Immacolata, nasce dal profondo dell’anima di tutti coloro che Vi sono legati spiritualmente, di tutti coloro che Vi ammirano, una supplica non a Padre Volpi, non alla Congregazione dei religiosi, ma a Voi «San Paolo» dell’oggi: non lasciateVi schiacciare dalla scarpa del potere, continuate a difendere e ad amare i Vostri veri sandali di Francescani dell’Immacolata, non lasciatevi blandire dall’ipocrisia di persone che non Vi amano, ma Vi usano per conglobarVi con tutti gli altri sotto il dominio dello spirito new age (tipico degli anni Sessanta e Settanta), che si camuffa assai bene sotto l’etichetta di «comunione» …


[1] Il teologo modernista che, contraddicendo Nostro Signore Gesù Cristo (Cfr. Mt 7, 13-14), aveva l’ardire di sostenere che un cristiano possa sperare che l’Inferno sia vuoto.

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