I nostri pulpiti devono rimanere nostri dal Blog di Costanza Miriano del 12.06.2013
Vedo una certa fretta, da parte di alcuni cattolici (non saprei dire
se siano pochi o molti, di certo alcuni tra questi sono in posizioni
culturalmente significative, in certi gangli decisivi almeno della
comunicazione) di dialogare sempre e comunque con chi la pensa
diversamente, una certa ansia di ribadire la non estraneità, la
preoccupazione di dimostrare l’essere al passo con il mondo, di
sottolineare più quello che è in comune rispetto a quello che è
sideralmente lontano, di dire che noi “va be’, sì, crediamo un po’, però
abbiamo da imparare un po’ da tutti”. Come diceva padre Pizarro, per me
uno dei più riusciti personaggi di Corrado Guzzanti: credo molto in
Dio, come tutti i Toro ascendente Gemelli (o qualcosa di simile).
Lo dimostrano convegni, eventi, conferenze e cortili vari (ma quanti
ce ne sono?) in cui ci si premura sempre di far salire in cattedra, con
cura solerte, almeno un non credente per ogni cattolico, come se ogni
opinione avesse necessariamente la stessa dignità, come se essere
fermamente convinti di stare noi dalla parte della Verità potesse essere
offensivo per qualcuno. A volte poi succede anche che all’”altro”,
spesso dichiaratamente contro la Chiesa, venga addirittura lasciato il
palco da solo, senza neanche un contraddittorio, in ossequio a una
malintesa idea di laicità.
Io ho l’idea che noi cattolici abbiamo, sì, il dovere del dialogo con
chi la pensi diversamente da noi, ma per come la vedo io si dialoga
davanti a un tè, magari si invita quella persona a cena, si cerca di
accarezzare l’altro con la nostra vicinanza, se ne ha bisogno o
desiderio, di soccorrere le sue necessità, se possibile. Ma i nostri
pulpiti devono rimanere nostri. Non si può pensare sempre di avere
sempre qualcosa da imparare da tutti, sui temi fondamentali. Non mi farò
spiegare il senso della vita, la felicità, il valore di quello che
faccio da chi non ha conosciuto l’amore di Dio. Potrà insegnarmi tutto
il resto, probabilmente (la mia ignoranza è senza lacune, come diceva
Petrolini), ma non lo starò ad ascoltare su temi che si intrecciano con
le verità di fede.
Quando è il momento di avvicinare la gente, di parlare alle persone
per annunciare Gesù Cristo unica salvezza dell’uomo – voglio sperare che
sia questo l’unico fine di OGNI iniziativa culturale dei cattolici –
allora noi per primi dobbiamo essere che quello in cui crediamo è la
Via, la Verità, la Vita. Se non ci crediamo per primi noi, come faremo a
convincere gli altri?
Se, per esempio, abbiamo dei figli, evidentemente vogliamo che non si
buttino da una finestra al quinto piano, perché sappiano che
morirebbero, e lo sappiamo con la certezza che non ha bisogno di una
prova pratica. Non chiederemo opinioni a parenti e conoscenti. Non
diremo “mio caro figliuolo, per la mia modesta opinione se tu protendi
le tue membra all’esterno delle mura della nostra magione potresti porre
a rischio la tua sorte. Ti inviterei dunque a non farlo, nella speranza
che tu non avverta tarpate le ali della tua libertà ”, ma diremo più
brevemente “se cadi giù ti sfracelli”, e in caso potremmo al limite
aggiungere “se ti avvicini le prendi”.
Se noi crediamo che Gesù Cristo è l’unica Via per accedere a Dio, se
crediamo che Dio è l’unica felicità possibile, se crediamo che la Chiesa
è a garanzia che ciò in cui crediamo non sia un parto della nostra
fantasia, se crediamo che siamo nati per un disegno di amore di Dio, che
ci ha pensati da prima che nascessimo, e che siamo fatti per la vita
eterna, non andremo tanto in giro a cercare maestri, ad ascoltare voci, a
mendicare risposte che abbiamo già ricevuto, o almeno che sappiamo dove
trovare.
Non perché noi siamo i più intelligenti o bravi, né migliori di
nessuno, ma perché ci fidiamo della Chiesa di cui siamo figli amati, e
di Cristo, suo sposo.
Questo non esclude il desiderio di amicizia con tutte le persone del
mondo, con cui si può parlare di qualsiasi cosa, a cui si può volere un
bene incredibile, per cui si può, anzi si deve dare la vita. Ma i
convegni no!
Noi cristiani non siamo di questo mondo, la nostra non è una bella
patina con cui cercare di rivestire in una sintesi in equilibrio più o
meno precario vite borghesi con la cintura di sicurezza. Essere
cristiani deve essere tutto un altro vivere.
È essere come Chiara Corbella, che sulla verità e certezza assoluta
della vita eterna ha scommesso tutto. Ha accolto due figli destinati a
vivere poco. Ha accolto un altro figlio mettendo la sua vita prima della
sua. Ha accolto con il sorriso anche la propria morte del corpo,
ricordando che “siamo nati e non moriremo più”. Domani al Divino Amore,
santuario dei Romani, il primo anniversario della sua morte verrà
ricordato con una messa, alle 17, concelebrata da don Fabio Rosini. Una
messa per una che tiepida non è stata proprio.
Classico delirio di chi è debole nella fede, ha paura e ogni alterità lo isterizza...
RispondiEliminaClassiche chiacchiere di chi la fede non sa proprio cos'è, ad ogni parola vagamente cattolica si indispettisce ed accusa gli altri di non essere come lui.
EliminaE'la mancanza di identità che poi trappresenta mancanza di solida basi che rende la fede una specie di banderuola pronta a voltarsi ovunque tira il vento.
RispondiEliminaAccusare Costanza Miriano di essere debole nella fede è a dir poco un giudizio temerario e chi lo ha espresso arrogandosi a giudice della fede altrui farebbe bene ad approfondire meglio sia l'esame di coscienza che il personaggio che firma l'articolino.
Io personalmente non sono un tifoso particolare della miriano ma non certo perchè reputi atteggiamento isterico il rompersi i maroni
dialogando col fine di dialogare.
Il dialogo con gli altri ha senso se finalizzato a convertire altrimenti sono chiacchiere al vento che servono solo a sprecare tempo e risorse per ciarlare con chi non vuole fare altro che restare nell'errore.
Il vero isterismo consiste in questo dialogo
a tutti i costi inutile e senza scopo in cui alla fine tutti parlano ma nessuno dice niente all'altro.
Io sinceramente di questo dialogo da teatro
mi sono stufato da tempo e lascio l'ecumenismo dialogante e l'irenismo ipocrita agli alti prelati alla moda, che tra un cortile di gentili
ed un funerale ai polli sanno benissimo come strumentalizzare i valori cattolici per parlare a chi ascolta principalmente il proprio ventre.
Bertoldo
Scusate: per errore abbiamo cancellato i commenti in attesa di moderazione
RispondiEliminaMi risulta che Benedetto XVI sia stato sempre molto orientato verso il 'dialogo', ma non inteso come lo voleva G.P.II ma dal punto di vista della ragione. Nella Spe Salvi si accenna a tale proposito, dopo le polemiche del discorso di Ratisbona. Un tema caro a B-XVI, pentito degli anni conciliari, probabilmente. La ragione non è cristiana, ne islamica, ne buddista, ne giudaica: la ragione è di tutti. Quindi un dialogo presuppone che sia affrontato dal punto di vista della ragione in quanto, se si parla dal punto di vista delle proprie scritture e della propria fede, non si troveranno punti di contatto squisitamente tecnici e metodologici se si parte dal proprio punto di vista teologico. Il problema è che ci s'imbatte in differenti impostazioni della ragione. E qui arriviamo al punto: perché la Somma Teologica è stata fatta fuori? Ho avuto modo di parlare col responsabile di una casa editrice italiana (non dirò il nome): mi ha detto che nei seminari non si studia più la Somma Teologica. Che fine ha fatto il Dottore Angelico? Forse, con Aristotele, è scomodo perchè invita a usare la zucca ormai vuota? Per il momento lasciamo perdere. torniamo al dialogo: il mio punto di vista, che non interessa a nessuno naturalmente, è che sono sterili e impregnati di buonismo. Si ostenta simpatia e amicizia me è tutto falso. Non bisogna dialogare: bisogna essere pastori di Cristo Gesù. Consapevoli che noi cattolici siamo il nuovo ed eterno Israele, abbiamo il compito di contrastare ciò che volevano e si erano prefissati i vari De Maistre, Guenon, Weil, campo, Zolla e compagnia gnostica-satanica delirando! Torniamo alla sana ragione e alla fede viva.
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