Ringraziamo l'autore per l'autorizzazione alla pubblicazione sul nostro blog.
LA BELLEZZA COME VALORE “NON NEGOZIABILE”.
LA BELLEZZA COME VALORE “NON NEGOZIABILE”.
Senza una corretta arte è difficile veicolare i giusti valori.
di Rodolfo Papa*, dal suo blog, del 13.05.2013
Come è stato più volte ripetuto anche
all’interno dell’ultimo Sinodo dei Vescovi, l’arte è uno strumento efficace per
la nuova evangelizzazione, così come è sempre stata un mezzo di trasmissione ed
educazione alle Fede nel corso dei secoli. La riflessione sulla fisionomia
dell’arte sacra, per la quale i documenti del Vaticano II offrono risposte
profonde, impone anche la considerazione di una questione connessa, che forse è
la più urgente da affrontare, ovvero la questione della formazione del clero,
del popolo, degli addetti ai lavori e degli stessi artisti. Si tratta di una
questione in definitiva didattica.
Il Concilio Vaticano II, e in modo
particolare la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, prescrive che ci siano insegnamenti di
storia dell’arte, filosofia dell’arte, teologia dell’arte e arte cristiana nei
Seminari minori e maggiori, e nelle Facoltà di Filosofia e nelle Facoltà di Teologia.
Inoltre, nei documenti conciliari si parla costantemente di formazione non solo
del clero, ma anche dei laici, i quali possono studiare sia negli Atenei Pontifici,
sia negli Istituti di Scienze Religiose delle varie Diocesi. Occorre
riconoscere, che a cinquanta anni dal Concilio, questo aspetto risulta ancora
abbastanza disatteso. Rimane ancora tanto lavoro da fare, negli ambiti della
istituzione di cattedre di arte, filosofia dell’arte, estetica nelle Facoltà di
Filosofia, e cattedre di Teologia dell’arte, Arte sacra e Storia dell’arte
cristiana nelle Facoltà di Teologia e Liturgia, ed anche nell’ambito giuridico insegnamenti
del diritto nelle questioni dell’arte sacra e della liturgia, ed anche,
nell’ambito missiologico, insegnamenti sul rapporto tra cristianesimo e altri
“sistemi d’arte” legati ad altre tradizioni religiose.
La generale trascuratezza
dell’aspetto artistico nella formazione filosofico-teologica, viene in genere
attribuita a due fattori principali, il primo fa riferimento alla opportunità e
l’altro alla competenza di tali insegnamenti.
La questione della opportunità –e
cioè l’interrogativo se sia opportuno inserire tali insegnamenti nei curricula- si colloca nell’orizzonte di una
visione efficientista della formazione del clero e del popolo di Dio, si dice
cioè che i seminaristi, avendo innumerevoli cose cui attendere, non hanno tempo
da dedicare all’arte, considerata marginale e meno utile.
La questione della competenza –e
cioè la domanda se la Chiesa possieda competenze in ambito artistico- invece
presuppone, implicitamente e surrettiziamente, che l’arte abbia un suo proprio
statuto autonomo e dunque non possa istituire relazioni sostanziali con il cristianesimo.
Entro questo presupposto, non servirebbe formare artisti e clero alle questioni
estetiche e artistiche, perché sarebbe sufficiente accogliere quanto si produce
in ambito artistico nel mondo, indipendentemente dalla fede cristiana, e
infiltrarlo dentro il discorso cristiano. Secondo questa posizione, la Chiesa
non avrebbe competenze proprie da rivendicare nell’ambito dell’arte, neanche
quella sacra, ma dovrebbe solo ascoltare quello che il mondo produce, senza
intervenire.
In verità, proprio i documenti
del Magistero, in primis la Sacrosantum Concilium, ma anche il
Catechismo della Chiesa Cattolica e persino il Codice di Diritto Canonico,
propongono visioni che superano entrambe le questioni, se correttamente letti.
Un primo dato su cui riflettere è
che la questione dell’arte viene sovente ridotta solo a una questione
stilistica, trascurando tutti i suoi complessi e ramificati livelli di studio,
dimenticando le discipline elaborate nel corso del tempo per affrontare in
maniera olistica un fenomeno complesso quale il mondo delle arti.
Da questo primo riduzionismo,
deriva una serie connessa di errori di valutazione, teoretici e pratici,
fino a portare la questione a una
situazione di stallo. Di fatto, si è diffusa una visione materialista che vede
la bellezza non come la gloria della santità, secondo la tradizione cristiana, ma come una manifestazione di ricchezza e di
potere, e dunque come un peccato, come una sottrazione di denaro a questioni
più importanti. Sicuramente contribuiscono alla confusione alcuni manuali di
storia dell’arte, impostati male ma molto diffusi.
Invece occorre sempre ricordare
la relazione ontologica tra vero, bene e bello, ribadita da tutti i documenti
conciliari, e che dovrebbe essere alla base della didattica e della produzione
d’arte. Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ed ora Papa Francesco hanno
sempre ribadito e ribadiscono la triade metafisica di vero, bello e buono.
Questo legame ontologico tra vero, bello e buono andrebbe pensato fino in
fondo, inserendolo nell’orizzonte del rapporto Fides et Ratio e legandolo alla questione dei “valori non
negoziabili”. Infatti, la bellezza è, al pari del vero e del bene, non
negoziabile.
Questa visione integrale
dell’essere, supera i modelli contemporanei relativistici, riduzionisti,
ancor peggio anti-umani, inumani. L’intero va perseguito educando il
ragionamento alla verità mentre si educa alla scelta del bene. E
l’affermazione
alla verità necessita della strada della bellezza. Mentre si educa alla
bellezza, si educa anche al bene e alla verità. Una tale bellezza,
legata alla
verità e al bene, può affermare Cristo.
Ne deriva l’urgenza di riflettere
sulla questione delle arti, le quali a loro volta hanno il compito di parlare
la lingua della bellezza. Con l’affermazione della bellezza dell’arte,
occorrerebbe una vera e propria riorganizzazione della formazione di tutta la
comunità ecclesiale, includendo le questioni artistiche, che rafforzano e
sostengono la formazione in quanto tale, aiutando l’educazione alla verità e
alla bellezza.
Per affrontare in modo adeguato
la nuova evangelizzazione, è necessario comprendere come l’arte sia nodale, in
quanto è il medio che unisce la fede con la ragione. Per questo motivo, è lo
strumento più usato nei secoli passati per l’annuncio di Cristo, per la
formazione catechetica e morale, per l’educazione al bello, al bene e al vero,
come ausilio per la preghiera, per la meditazione ed infine come sommo mezzo
caritativo.
Impostata la questione educativa
e formativa, risulta maggiormente chiara la questione di un’arte che sappia
parlare di Dio. Una espressione usata più volte da Papa Francesco può aiutarci
nella riflessione: egli ha detto “Dio non è uno spray”. Dio non è “un dio
diffuso, un dio-spray, che è un po’ dappertutto ma non si sa cosa sia”[1].
Ebbene serve un’arte che vada oltre un dio spray, un’arte che non si riduca a una
visione nichilista o panteista del mondo, come sovente accade in alcune
correnti artistiche contemporanee quali “Arte Povera”, “Concettuale”, “Pop”,
“Decostruttivismo” …, ma serve un’arte che con la bellezza sappia confessare
Cristo, ricordando sempre che se non si confessa la croce di Cristo si confessa
la mondanità del demonio.
[pubblicato su Zenit il 13 maggio 2013]
Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi,
docente di Storia delle teorie estetiche presso la Pontificia Università Urbaniana
Artista
Storico dell’arte
Accademico Ordinario Pontificio.
Website: www.rodolfopapa.it
Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com
e.mail: rodolfo_papa@infinito.it .
Magari un certo tipo di arte fosse almeno "panteista"! Il panteismo concepisce il mondo come una fitta rete di relazioni,in cui larghissima parte hanno l'analogia e il simbolo, come nel caso di Gaudì, che risentiva moltissimo del "vitalismo" vegetale-animale orientale ( per me tendenzialmente più induista che cristiano ). L'arte "povera", "concettuale" considera l'oggetto singolo come assolutamente isolato dal contesto, posto "oscenamente", come dice Sartre, in modo tale che il mondo appare come un "assemblaggio" caotico. Vi si affianca sull'altra sponda un razionalismo freddo e astratto, da coordinate cartesiane, in cui domina l'angolo retto dei pilastri in cemento armato.
RispondiEliminaCredo che l'effetto "mistico" dell'antica architettura sacra dipenda dal fatto che con le sue forme riproduceva il cosmo luminoso con le potenze angeliche ( il cerchio della pianta a croce greca o il semicerchio dell'abside, le vetrate ) e l'uomo ( la pianta cruciforme ). La forma umana è rettilinea.eretta, ma solo nel complesso: le ossa sono curvilinee e gli arti cilindrico-incurvati; il corpo è costituito da moduli ritmici. Le "chiese d'una volta", essendo improntate a queste caratteristiche ( colonne, volte, campate e cappelle ) producevano un effetto di "empatia" per cui il fedele vi riconosceva se stesso.
Non credo sia possibile ricreare un'architettura autenticamente cristiana se nel subconscio del progettista non è presente l'immagine di un cosmo "sacrale" con un centro celeste ( Dio ) e uno terrestre ( l'uomo ).Ciò con un "reincantamento del mondo" che non neghi le conquiste della scienza e tecnoscienza della contemporaneità. In parole povere: l'architetto dovrebbe credere agli Angeli così come oggi crede agli elettroni.
Posso chiedere un'info, per favore? Vorrei regalare ad un amico diacono tradizionalista un paio di scarpe fatte su misura per la sua ordinazione.So che a Roma c'è uno "scarpaio" di fiducia. Ma non so come contattarlo. Come faccio a sapere il nome e l'indirizzo?
RispondiEliminaGammarelli, Via di S. Chiara 34 (dietro il Pantheon)
RispondiEliminaStupende le immagini del pellegrinaggio francese. Che le leggi di Hollande abbiano risvegliato l'orgoglio di essere cattolici ai tiepidi francesi? E' sempre una delizia vedere le immagini di giovani così pieni d'amore e di passione per la Fede.
RispondiEliminaMeo.