Riflessioni sulla santità della Chiesa e sulla scelta di un Papa
di Maria Pia Ghislieri
Settant’anni fa, nell’ormai lontano 1943, l’allora Romano Pontefice Pio XII di venerata memoria, nel pieno della seconda conflagrazione mondiale con tutto il carico disumano di morte e sofferenze che essa portò con sé, scese in campo, se così può dirsi, con una sorprendente Enciclica sulla Chiesa Corpo mistico di Cristo (Mystici Corporis). Mentre il mondo era impazzito dietro un conflitto impietoso e assassino, il Papa contemplava la bellezza della Sposa di Cristo e, rapito dal suo fulgore, la proponeva estasiato all’intera cristianità con un’Enciclica, perché – scriveva – «alla Madre Chiesa, dopo Dio, tutto dobbiamo».
Quell’atteggiamento di Pio XII, in realtà, era sintomatico di ciò che la Chiesa è per sua natura. Non una società umana, non un’organizzazione giuridica; o, meglio, l’una e l’altra ma elevate sul piano soprannaturale e sovrastorico del Corpo mistico del Divin Redentore. «La Chiesa – spiega papa Pacelli –, la quale deve ritenersi una società perfetta nel suo genere, non consta soltanto di elementi ed argomenti sociali e giuridici. Essa è certamente molto più eccellente di qualunque altra società umana e le supera come la grazia supera la natura e come le cose immortali trascendono tutte le cose caduche».
Anche l’Aquinate afferma che il Verbo di Dio fondò la Chiesa col suo sangue divino affinché «l’uomo fosse richiamato alle cose invisibili attraverso un governo visibile» (De Veritate, q. 29, a. 4 ad 3). Per sant’Agostino, il Capo mistico, che è Cristo, e la Chiesa, la quale rappresenta in terra la sua persona come un altro Cristo, costituiscono, misticamente, un unico nuovo uomo, in cui nel perpetuare l’opera salutare della Croce, si congiungono il cielo e la terra. È in quest’ottica soprannaturale, sovrastorica e sovrumana nella quale si colloca la Chiesa che trova significazione il gesto di Pio XII, il quale in pieno conflitto bellico non trovò di meglio che proporre alla cristianità oppressa da inumane sventure la contemplazione della Sposa di Cristo. E ben a ragione: è solo questa Sposa immacolata, la Santa Madre Chiesa, infatti, che può dar senso a tutto l’umano avvicendarsi, condannato, senza un’attinenza soprannaturale, ad un ineludibile assurdo e al più irragionevole nonsenso.
La Chiesa ha dunque un’origine divina nel suo Fondatore che la riscattò con il proprio sangue (At. 20, 28) e che continua a guidarla non solo in modo invisibile e straordinario, ma anche «in modo visibile e ordinario», e ciò fa massimamente «mediante il suo Vicario in terra», al punto che «Cristo e il Suo Vicario costituiscono un solo Capo», come scrisse Bonifacio VIII d’immortale memoria nella sua Lettera Apostolica Unam Sanctam.
Ancora nella Mystici Corporis, Pio XII afferma essere «assolutamente necessario che sia manifestato agli occhi di tutti il Capo supremo, cioè il Vicario di Cristo, dal quale venga efficacemente diretta la cooperazione dei membri al conseguimento del fine proposto», che è quello di continuare la santificazione delle membra del medesimo Corpo, per la gloria di Dio e dell’Agnello che è stato ucciso per noi (Ap. 5, 12-13). Posta dunque questa unità tra Cristo e il suo Vicario in terra, ci si chiede come “leggere” il gesto di Benedetto XVI che, primo nella storia della Chiesa, lascia il timone della barca di Pietro senza motivazioni che – agli occhi dei fedeli – appaiano fondanti.
«Cristo – scrive ancora Pio XII – ha bisogno delle Sue membra. Anzitutto perché la persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice, il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante». Vien da chiedersi allora se a Benedetto XVI sia mancato chi condividesse con lui il peso dell’ufficio pastorale. Lo scenario del Collegio cardinalizio e della Curia romana che è sotto i nostri occhi sembra esser tutt’altro che rassicurante in questo senso. Ci si chiede altresì se l’ «aiuto della Chiesa supplicante» sia stato sufficientemente efficace. La lex orandi, che ha la sua massima espressione nella Sacra Liturgia, da 50 anni a questa parte ha pesantemente decurtato le preghiere che quasi “ogni giorno” il Messale Romano voleva si elevassero da tutto l’orbe cattolico per il Romano Pontefice.
A ciò si aggiunge l’ecatombe generale di sacerdoti e religiosi – dunque la parte eletta della chiesa orante –, conseguente a quel cristianesimo umanitario, dialogico e aperturista, che, tutto desacralizzando e umanizzando, ha finito per infiacchire se non annientare la «Chiesa supplicante» nella sua componente umana. Nel 2005 Benedetto XVI parlò di una Chiesa posta nella condizione d’una «barca che fa acqua da tutte le parti». Il codice di navigazione prevede che solo in un caso il comandante può abbandonare la nave, ed è quando – dopo aver fatto tutti i possibili tentativi per salvarla – essa affonda. Ma il capitano deve essere sempre l’ultimo a lasciarla. Se la Chiesa fosse una società “soltanto” umana, il ritiro di Benedetto XVI sarebbe il triste epilogo d’un nocchiero che, fallito ogni tentativo di salvataggio, abbandona inerme la sua gloriosa imbarcazione. Ed è quanto appare allo sguardo attonito d’un mondo senza Dio.
Ma noi non possiamo dimenticare che il supremo governo della Barca di Pietro è tenuto dal Divin Redentore. A Lui e a nessun altro spetta l’ultima parola. «Dal cielo Cristo guarda con amore peculiare alla sua Sposa intemerata, che s’affatica in questa terra d’esilio – scrive Pio XII –; e quando la vede in pericolo, la salva dai flutti della tempesta o per sé direttamente, o per mezzo dei suoi angeli, o per opera di Colei che invochiamo Aiuto dei Cristiani ed anche degli altri celesti protettori; e, una volta sedatosi il mare, la colma di quella pace “che supera ogni senso” (Fil. 4, 7)».
In quest’ora di tenebre che avvolge la Chiesa di Dio, in questo momento estremo in cui Essa si vede privata del suo Capo visibile, come nei giorni funesti della seconda guerra mondiale, eleviamo lo sguardo alla contemplazione della Sposa di Cristo, non nella miseria con cui appare agli occhi degli uomini ma nello splendore di cui è avvolta agli occhi del Padre, rinnovando la fierezza della nostra appartenenza ecclesiale. «Niente – ci ricorda la Mystici Corporis – si può immaginare di più glorioso, niente di più nobile, niente senza dubbio di più onorifico, che appartenere alla santa, cattolica, apostolica e romana Chiesa, per la quale diventiamo membra di un unico e così venerando Corpo, siamo guidati da un unico e così eccelso Capo, siamo ripieni di un unico e divino Spirito, siam nutriti in questo terrestre esilio da una sola dottrina e da uno stesso Pane angelico, finché ci ritroveremo a godere di un’unica sempiterna beatitudine nei cieli».
Questa appartenenza ecclesiale, questa divina elezione, ora più che mai invita alla santità. È proprio nei momenti più bui della storia della Chiesa che i figli di questa intemerata Madre devono moltiplicare i loro sforzi nel raggiungere il fine, ossia la propria e l’altrui santificazione, e in tal modo mondarle il volto che agli occhi del mondo appare deturpato dai peccati degli uomini.
Uniti nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo fin da questa terra, essi – superate le tempeste della vita che passa, mediante l’amore all’unica Verità e la santità della loro vita – pregustano la contemplazione della loro Madre «nella società di un gloriosissimo amore».