Oggi, 3 settembre, memoria di San Pio X, proponiamo il seguito della dotta presentazione che il prof. Viglione ha preparato per M.i.L. sulla figura di Papa Sarto (qui la prima parte).
Roberto
(segue da qui)
di Massimo Viglione
La purezza del sacerdozio e del culto
Dal culto eucaristico nasceva per lui la necessità della santità dei sacerdoti, condizione imprescindibile per la diffusione del Cristianesimo nel mondo e per la salvezza delle anime. Nella sua prima enciclica, scrisse: «Cresciamo il Sacerdozio nella santità della vita e nella purezza della dottrina e il popolo si formerà in Cristo».
Nel sacerdozio vedeva il fondamento indispensabile alla realizzazione del suo programma di restaurazione di ogni cosa in Cristo (d’altro canto, pose un freno alla nascita di continue nuove congregazioni) ed era solito raccomandare ai vescovi di essere molto esigenti con la scelta dei sacerdoti: «Meglio pochi ma buoni. Che farcene se sono dubbi e indegni?».
Volle un clero colto, e per questo favorì lo studio del tomismo sulla scia del suo predecessore e fondò la Commissione Pontificia per la revisione della Vulgata e l’Istituto Biblico.
Riformò i seminari, creò il Grande Seminario Maggiore del Laterano, raccomandando ai vescovi una strenua vigilanza sui seminaristi. Ebbe a dire un giorno ai vescovi: «Vegliate sui Seminari, sugli aspiranti al Sacerdozio. Regna troppo spirito mortifero d’indipendenza per l’autorità e la dottrina! Si grida libertà, libertà, e io invece dico: Obbedienza, obbedienza!... Disciplina, disciplina!».
Condusse quasi a termine la riforma del Diritto Canonico e riformò anche alcuni Dicasteri di Curia e i tribunali ecclesiastici. Non esitò (creando un certo scandalo) ad abolire alcune feste religiose che riteneva in quei giorni inopportune e diminuì i gravami delle norme del digiuno e dell’astinenza, in quanto, come ebbe saggiamente a dire, è meglio pretendere poco e vigilare che venga realmente fatto piuttosto che chiedere molto e chiudere gli occhi sapendo che quel molto non viene rispettato.
Tali provvedimenti sono dimostrazione di un’anima tutt’altro che gretta, che, illuminata dalla Grazia, riesce a capire dove tenere duro e dove cedere proprio per poter tenere duro su ciò che veramente conta.
Grande sostenitore della solennità del culto, riformò il canto liturgico e la musica sacra, affidandosi, quando ancora era a Venezia, al giovanissimo Lorenzo Perosi per ridonare grande importanza al canto gregoriano (scrisse un Motu proprio ad hoc). “La musica sacra deve essere santa, gli esecutori pii”, soleva dire, e fra tutti prediligeva il Palestrina.
Un vero riformatore
Ancor da vescovo aveva fondato il Cittadino di Mantova, con cui condusse battaglie memorabili in difesa della Fede, della verità e del buon costume. Poi, a Venezia, si occupò di tutto: carità ai malati e ai poveri, istruzione religiosa ai fanciulli e agli adulti, associazionismo cattolico, diffusione della buona stampa, istruzione gratuita, e istituì il Banco di San Marco per aiutare gli operai in difficoltà.
Una volta a Roma, creò molte istituzioni di carità, fra cui l’Ospizio di San Pancrazio per i bambini poveri o con handicap, modernizzò le strutture tipografiche vaticane e l’Osservatore Romano, diede nuova e più decorosa sede alla Pinacoteca Vaticana. Insomma, una vera colonna della Chiesa contemporanea, in ogni suo campo e settore: restauratore e innovatore allo stesso tempo.
Giorni drammatici della storia
Come molti dei suoi predecessori sul Trono di Pietro aventi il nome da lui prescelto (Pio II, san Pio V, Pio VI e Pio VII, il beato Pio IX), e come accadrà poi anche a Pio XII, san Pio X visse momenti drammatici nella storia politica e sociale dei suoi giorni.
Alieno da esperienze diplomatiche e politiche dirette, ebbe però un “gran fiuto” nella scelta del suo Segretario di Stato, il giovane card. Rafael Merry del Val y Zulueta, sia per le sue eccellenti capacità politiche, ma sia ancor più per la sua profonda pietà personale e serietà di religioso. Insieme, seppero, per quanto possibile, fronteggiare l’aspra politica anticattolica della Francia massonica della Terza Repubblica, senza però cedere in nulla alla lotta per i principi imprescindibili.
Nel 1906 con l’Enciclica Vehementer Nos dell’11 febbraio, l’Allocuzione concistoriale Gravissimum del 21 febbraio e l’Enciclica Gravissimo Officii Munere del 10 agosto, proibì ogni attività collaborativa all’applicazione della nuova legge ed esortò i cattolici francesi a opporvisi con mezzi legali per difendere la tradizione cattolica del Paese.
Analoghe tensioni si registrarono con il Portogallo dopo l’avvento nel 1910 della repubblica guidata da gruppi di potere anticlericali massonici. San Pio X rispose il 24 maggio 1911 con l’Enciclica Iamdudum.
Non molto meglio andava in Italia. Non era passato molto tempo dai giorni drammatici dello scontro acutissimo fra le forze risorgimentali italiane e la Chiesa Cattolica, e vigeva ancora da un lato il Non expedit di Pio IX (divieto ai cattolici italiani di partecipazione diretta e indiretta alla vita politica del Regno), dall’altro il clima massonico-laicista anticattolico (Ernesto Nathan, figlio di Giuseppe Mazzini, era sindaco di Roma…), celebrato specialmente per l’ultima volta nel 50° dell’unificazione, nel 1911.
Il Papa, che sempre si era espresso a riguardo sulla stessa linea di condanna del Risorgimento di Pio IX e di Leone XIII, fu anche colui però che per primo iniziò a intuire che l’avanzata nella società italiana di errori ancor più radicali del liberalismo massonico, come il socialismo e l’anarchismo, richiedeva pragmaticità politica. E così, con l’aiuto del suo insostituibile Segretario di Stato, nel 1913, in occasione di elezioni amministrative importanti, dove forte era la possibilità di vittoria dei socialisti di Turati (e di un giovane Mussolini), egli non esitò a concedere un permesso speciale di revoca del non expedit e a permettere così ai cattolici di votare per le forze liberali, che ormai, sotto Giolitti, avevano anche in gran parte perduto la carica anticattolica e di contro si stavano aprendo al nazionalismo (operazione politica poi pienamente riuscita).
Sono infatti gli anni del nazionalismo trionfante, ed egli, che come nessun altro vedeva l’immane catastrofe che si stava preparando per l’Europa, non poteva fare nulla per evitarla. Questo è un punto fondamentale, per vari aspetti.
Anzitutto, perché egli ebbe, come riconosciuto nel processo di canonizzazione da molti, capacità profetica indiscutibile: il “guerrone”, come lui lo chiamava, sarebbe puntualmente arrivato, avrebbe distrutto l’Europa e sarebbe cominciato nel 1914 (e a chi provava a smentirlo o perlomeno a ridurre la portata della possibile guerra, egli sempre rispose a tono con certezza assoluta di quanto stava prevedendo).
Poi, perché egli un giorno, sempre più conscio della follia suicida dei governi europei, offrì pubblicamente la sua vita a Dio per scongiurare la catastrofe.
Infine, perché ne morì di crepacuore il 20 agosto 1914, due settimane dopo le dichiarazioni di guerra e due settimane prima dell’inizio della mostruosa strage della Somme. Come fu detto allora, fu la prima vittima della Grande Guerra! (e, forse, anche del dolore accumulato in tanti anni nella sua lotta senza quartiere al tumore modernista).
Santo!
Tutto quanto detto in poche righe fu da Giuseppe Sarto comprovato nella maniera più sublime che a un uomo possa spettare: con una serie innumerevole di guarigioni scientificamente inspiegabili. I due miracoli allora necessari anche per la beatificazione (proclamata il 3 giugno 1951) furono scelti fra decine di guarigioni avvenute quando egli era ancora vivo! I due della canonizzazione, avvenuta il 29 maggio 1954 (la data di culto fu fissata il 3 settembre, nel calendario del Novus Ordo Missae è invece il 21 agosto), fra le numerose guarigioni accadute post mortem attribuite al suo intervento soprannaturale.
Giuseppe Sarto visse una vita splendida di carità e povertà (anche da pontefice), fatta di amore per la giustizia e di servizio totale e senza remore alla Verità. L’amore per Dio era la fonte della sua caritatevole bontà verso il prossimo come della sua indomita forza di guerriero che combatte fino alla morte per la difesa della fede sotto attacco e della Chiesa assediata da nemici non solo esterni, ma ormai soprattutto interni, verso i quali comprende senza ipocrite remore buoniste che l’unica vera pietà possibile è la loro estirpazione dal corpo mistico di Cristo.
Uomo di carità, Papa al servizio della Verità e della purezza, santo innamorato di Cristo Eucarestia e di Maria Immacolata, alla quale dedicò un’apposita enciclica non appena salito al Trono di Pietro (Ad Diem Illum Laetissimum, 2 febbraio 1904).
di Massimo Viglione
Dal culto eucaristico nasceva per lui la necessità della santità dei sacerdoti, condizione imprescindibile per la diffusione del Cristianesimo nel mondo e per la salvezza delle anime. Nella sua prima enciclica, scrisse: «Cresciamo il Sacerdozio nella santità della vita e nella purezza della dottrina e il popolo si formerà in Cristo».
Nel sacerdozio vedeva il fondamento indispensabile alla realizzazione del suo programma di restaurazione di ogni cosa in Cristo (d’altro canto, pose un freno alla nascita di continue nuove congregazioni) ed era solito raccomandare ai vescovi di essere molto esigenti con la scelta dei sacerdoti: «Meglio pochi ma buoni. Che farcene se sono dubbi e indegni?».
Volle un clero colto, e per questo favorì lo studio del tomismo sulla scia del suo predecessore e fondò la Commissione Pontificia per la revisione della Vulgata e l’Istituto Biblico.
Riformò i seminari, creò il Grande Seminario Maggiore del Laterano, raccomandando ai vescovi una strenua vigilanza sui seminaristi. Ebbe a dire un giorno ai vescovi: «Vegliate sui Seminari, sugli aspiranti al Sacerdozio. Regna troppo spirito mortifero d’indipendenza per l’autorità e la dottrina! Si grida libertà, libertà, e io invece dico: Obbedienza, obbedienza!... Disciplina, disciplina!».
Condusse quasi a termine la riforma del Diritto Canonico e riformò anche alcuni Dicasteri di Curia e i tribunali ecclesiastici. Non esitò (creando un certo scandalo) ad abolire alcune feste religiose che riteneva in quei giorni inopportune e diminuì i gravami delle norme del digiuno e dell’astinenza, in quanto, come ebbe saggiamente a dire, è meglio pretendere poco e vigilare che venga realmente fatto piuttosto che chiedere molto e chiudere gli occhi sapendo che quel molto non viene rispettato.
Tali provvedimenti sono dimostrazione di un’anima tutt’altro che gretta, che, illuminata dalla Grazia, riesce a capire dove tenere duro e dove cedere proprio per poter tenere duro su ciò che veramente conta.
Grande sostenitore della solennità del culto, riformò il canto liturgico e la musica sacra, affidandosi, quando ancora era a Venezia, al giovanissimo Lorenzo Perosi per ridonare grande importanza al canto gregoriano (scrisse un Motu proprio ad hoc). “La musica sacra deve essere santa, gli esecutori pii”, soleva dire, e fra tutti prediligeva il Palestrina.
Un vero riformatore
Ancor da vescovo aveva fondato il Cittadino di Mantova, con cui condusse battaglie memorabili in difesa della Fede, della verità e del buon costume. Poi, a Venezia, si occupò di tutto: carità ai malati e ai poveri, istruzione religiosa ai fanciulli e agli adulti, associazionismo cattolico, diffusione della buona stampa, istruzione gratuita, e istituì il Banco di San Marco per aiutare gli operai in difficoltà.
Una volta a Roma, creò molte istituzioni di carità, fra cui l’Ospizio di San Pancrazio per i bambini poveri o con handicap, modernizzò le strutture tipografiche vaticane e l’Osservatore Romano, diede nuova e più decorosa sede alla Pinacoteca Vaticana. Insomma, una vera colonna della Chiesa contemporanea, in ogni suo campo e settore: restauratore e innovatore allo stesso tempo.
Giorni drammatici della storia
Come molti dei suoi predecessori sul Trono di Pietro aventi il nome da lui prescelto (Pio II, san Pio V, Pio VI e Pio VII, il beato Pio IX), e come accadrà poi anche a Pio XII, san Pio X visse momenti drammatici nella storia politica e sociale dei suoi giorni.
Alieno da esperienze diplomatiche e politiche dirette, ebbe però un “gran fiuto” nella scelta del suo Segretario di Stato, il giovane card. Rafael Merry del Val y Zulueta, sia per le sue eccellenti capacità politiche, ma sia ancor più per la sua profonda pietà personale e serietà di religioso. Insieme, seppero, per quanto possibile, fronteggiare l’aspra politica anticattolica della Francia massonica della Terza Repubblica, senza però cedere in nulla alla lotta per i principi imprescindibili.
Nel 1906 con l’Enciclica Vehementer Nos dell’11 febbraio, l’Allocuzione concistoriale Gravissimum del 21 febbraio e l’Enciclica Gravissimo Officii Munere del 10 agosto, proibì ogni attività collaborativa all’applicazione della nuova legge ed esortò i cattolici francesi a opporvisi con mezzi legali per difendere la tradizione cattolica del Paese.
Analoghe tensioni si registrarono con il Portogallo dopo l’avvento nel 1910 della repubblica guidata da gruppi di potere anticlericali massonici. San Pio X rispose il 24 maggio 1911 con l’Enciclica Iamdudum.
Non molto meglio andava in Italia. Non era passato molto tempo dai giorni drammatici dello scontro acutissimo fra le forze risorgimentali italiane e la Chiesa Cattolica, e vigeva ancora da un lato il Non expedit di Pio IX (divieto ai cattolici italiani di partecipazione diretta e indiretta alla vita politica del Regno), dall’altro il clima massonico-laicista anticattolico (Ernesto Nathan, figlio di Giuseppe Mazzini, era sindaco di Roma…), celebrato specialmente per l’ultima volta nel 50° dell’unificazione, nel 1911.
Il Papa, che sempre si era espresso a riguardo sulla stessa linea di condanna del Risorgimento di Pio IX e di Leone XIII, fu anche colui però che per primo iniziò a intuire che l’avanzata nella società italiana di errori ancor più radicali del liberalismo massonico, come il socialismo e l’anarchismo, richiedeva pragmaticità politica. E così, con l’aiuto del suo insostituibile Segretario di Stato, nel 1913, in occasione di elezioni amministrative importanti, dove forte era la possibilità di vittoria dei socialisti di Turati (e di un giovane Mussolini), egli non esitò a concedere un permesso speciale di revoca del non expedit e a permettere così ai cattolici di votare per le forze liberali, che ormai, sotto Giolitti, avevano anche in gran parte perduto la carica anticattolica e di contro si stavano aprendo al nazionalismo (operazione politica poi pienamente riuscita).
Sono infatti gli anni del nazionalismo trionfante, ed egli, che come nessun altro vedeva l’immane catastrofe che si stava preparando per l’Europa, non poteva fare nulla per evitarla. Questo è un punto fondamentale, per vari aspetti.
Anzitutto, perché egli ebbe, come riconosciuto nel processo di canonizzazione da molti, capacità profetica indiscutibile: il “guerrone”, come lui lo chiamava, sarebbe puntualmente arrivato, avrebbe distrutto l’Europa e sarebbe cominciato nel 1914 (e a chi provava a smentirlo o perlomeno a ridurre la portata della possibile guerra, egli sempre rispose a tono con certezza assoluta di quanto stava prevedendo).
Poi, perché egli un giorno, sempre più conscio della follia suicida dei governi europei, offrì pubblicamente la sua vita a Dio per scongiurare la catastrofe.
Infine, perché ne morì di crepacuore il 20 agosto 1914, due settimane dopo le dichiarazioni di guerra e due settimane prima dell’inizio della mostruosa strage della Somme. Come fu detto allora, fu la prima vittima della Grande Guerra! (e, forse, anche del dolore accumulato in tanti anni nella sua lotta senza quartiere al tumore modernista).
Santo!
Tutto quanto detto in poche righe fu da Giuseppe Sarto comprovato nella maniera più sublime che a un uomo possa spettare: con una serie innumerevole di guarigioni scientificamente inspiegabili. I due miracoli allora necessari anche per la beatificazione (proclamata il 3 giugno 1951) furono scelti fra decine di guarigioni avvenute quando egli era ancora vivo! I due della canonizzazione, avvenuta il 29 maggio 1954 (la data di culto fu fissata il 3 settembre, nel calendario del Novus Ordo Missae è invece il 21 agosto), fra le numerose guarigioni accadute post mortem attribuite al suo intervento soprannaturale.
Giuseppe Sarto visse una vita splendida di carità e povertà (anche da pontefice), fatta di amore per la giustizia e di servizio totale e senza remore alla Verità. L’amore per Dio era la fonte della sua caritatevole bontà verso il prossimo come della sua indomita forza di guerriero che combatte fino alla morte per la difesa della fede sotto attacco e della Chiesa assediata da nemici non solo esterni, ma ormai soprattutto interni, verso i quali comprende senza ipocrite remore buoniste che l’unica vera pietà possibile è la loro estirpazione dal corpo mistico di Cristo.
Uomo di carità, Papa al servizio della Verità e della purezza, santo innamorato di Cristo Eucarestia e di Maria Immacolata, alla quale dedicò un’apposita enciclica non appena salito al Trono di Pietro (Ad Diem Illum Laetissimum, 2 febbraio 1904).
di Massimo Viglione
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