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mercoledì 13 giugno 2012

A seguito di "Che cosa succede in Vaticano"


 I frutti del
Concilio Vaticano II

di Roberto de Mattei
 su Settimo Cielo del 11-06-2012
Il mio articolo “Che cosa succede in Vaticano” pubblicato on line su “Corrispondenza Romana” ha suscitato calorose adesioni ma anche, come è logico, aspri dissensi.
In quell’articolo sostenevo che la lotta per il potere in corso entro le mura leonine ha le sue radici anche in un certo spirito mondano che ha penetrato la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Precisavo che non bisogna confondere tra gli uomini di Chiesa, con le loro fragilità intellettuali e morali radicate nei tempi in cui vivono, e la Chiesa in sé, sempre pura e senza macchia di peccato o di errori.

Le obiezioni che mi sono state rivolte si riducono a due argomenti cui cercherò brevemente di rispondere.
Il primo argomento dice che nella sua storia bimillenaria la Chiesa ha spesso conosciuto momenti di difficoltà e di crisi che certamente non possono essere ricondotti al Concilio Vaticano II. Basti ricordare, ad esempio, la decadenza di costumi dei papi rinascimentali.
È facile ribattere però che anche quella decadenza morale aveva radici intellettuali, ben analizzate da Ludwig von Pastor nel primo volume della sua monumentale storia dei papi. Molti pontefici di quest’epoca voltarono le spalle alla integrale riforma della Chiesa a cui li sollecitavano santi come Bernardino da Siena e Antonino da Firenze, per abbracciare gli equivoci princìpi dell’umanesimo.
 
La prima “svolta antropologica” fu quella di Erasmo da Rotterdam e dei suoi seguaci e antecessori che, attraverso le armi della filologia, vollero liquidare il culto dei santi e delle reliquie, le indulgenze, l’ascesi monastica, le devozioni e le antiche tradizioni in genere, teorizzando l’introduzione del volgare nei libri e nelle cerimonie sacre.
L’opera omnia di Erasmo fu condannata dal nascente Sant’Uffizio, ma era già troppo tardi: Lutero facendo proprie le stesse critiche degli umanisti, aveva capovolto il loro antropocentrismo in un primato della Scrittura, che però faceva completamente a meno della istituzione della Chiesa.
Ciò che è importante sottolineare è che quando nella storia della Chiesa ci si trova di fronte ad una crisi morale, in qualsiasi epoca accada, bisogna sempre risalire alla crisi intellettuale che la accompagna o la precede.
In questo senso non si possono ignorare le conseguenze di quella vera e propria rivoluzione nel modo di essere della Chiesa che fu il Concilio Vaticano II, inteso come evento più che come magistero.
 
Qui si pone la seconda obiezione, secondo cui le cause della crisi attuale della Chiesa, che io farei indebitamente risalire al Vaticano II, vanno invece attribuite ad una falsa ed abusiva interpretazione di questo avvenimento e dei suoi documenti.
Ma la prima regola ermeneutica è quella che ci dà Nostro Signore stesso nel Vangelo, quando dice che l’albero sarà riconosciuto dai frutti (Mt 7, 17-20). Oggi i monasteri sono abbandonati, le vocazioni religiose crollano, la frequenza alla messa e ai sacramenti è caduta a picco; le librerie, le case editrici, i giornali e le università cattoliche diffondono errori a piene mani; il catechismo ortodosso non è più insegnato; i parroci e persino i vescovi si ribellano al Santo Padre; i fedeli cattolici di tutto il mondo sono immersi nella confusione religiosa e morale e lo stesso Benedetto XVI durante l’omelia di Pentecoste ha parlato della “Babele” in cui viviamo.
 
Se tutto questo non ha la sua causa in un certo “spirito del Concilio”, che ha pervaso la Chiesa cattolica negli ultimi cinquant’anni, da dove trae la sua origine?
E se questi sono i cattivi frutti non del Concilio, ma della sua cattiva interpretazione, quali sono i buoni frutti della giusta interpretazione del Concilio?
Non voglio negare l’esistenza di tante cose buone nella Chiesa contemporanea. Sono convinto anzi che, con l’aiuto della grazia, già si vedano i germi di una rinascita. Ma mi si deve dimostrare che questi frutti buoni e santi abbiano la loro radice nello spirito del Concilio, e non piuttosto nella linfa della Tradizione, che preesisteva al Concilio e che ancor oggi continua a scorrere nelle fibre del corpo mistico di Cristo, alimentandolo e santificandolo.
 
Nel XVI secolo alla rivoluzione antropologica degli umanisti e alla pseudo-riforma dei protestanti si contrappose la vera Riforma cattolica, o Contro-Riforma, che ebbe i suoi campioni in santi come Filippo Neri, Gaetano di Thiene, Ignazio di Loyola, Pio V, e tantissimi altri.
È a questo spirito di riforma cattolica che dobbiamo rifarci, se non vogliamo che con l’aiuto dei massmedia prevalga la pseudoriforma propugnata oggi, come cinquant’anni addietro, dall’eretico Hans Küng.
L’ortodossia e la santità non conoscono “vie medie”. O si interpreta il Vaticano II alla luce di Trento e del Vaticano I o l’ultimo Concilio rischia di divenire il metro di giudizio e di affossamento della Tradizione della Chiesa.
 
Fonte:
http://www.corrispondenzaromana.it/i-frutti-del-concilio-vaticano-ii/
 

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