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venerdì 6 gennaio 2012

Nuovi francescani

Nella mia città, Trento, vi è un immenso seminario. Prima che la Chiesa si “addormentasse”, per citare il titolo dell’ultimo libro di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro (“La bella addormentata”, Vallechi), il seminario era straboccante.

Moltissimi giovani salivano e scendevano le scale, ogni giorno, dalle aule alla cappella, in attesa di un futuro da ministri di Dio. Trento è infatti una città che ha sempre dato molto, alla Chiesa, e soprattutto alle missioni, in Africa e in America Latina.

Poi la crisi che tutti conosciamo, e il seminario prosciugato. Cinque, sei, dieci persone massimo (questo il trend di nuove entrate, da molti anni) si aggirano in una struttura immensa, sproporzionata, che parla di uno splendore lontano. Dove c’erano vita, movimento, speranze, desideri, oggi stanze quasi vuote e locali pressoché silenti.

Ma chi crede, sa che Dio non abbandona gli uomini.

I tempi di Dio sono lunghi, è vero, e talora viene voglia di cantare, con san Filippo Neri: “Capitan Gesù, non star lassù, lui sta quaggiù con la bandiera in mano…”.

Ma i segni di un lento risveglio ci sono. Penso, per esempio, a due famiglie trentine che conosco, che hanno visto partire, sacerdoti e suore, l’una tre figli su tre, l’altra tre figli su quattro.

Rifletto con mia moglie, ogni tanto, sui prodigi di Dio: prendersi, oggi, sei giovani su sette, in due sole famiglie! Convincerli a lasciare tutto, il rumore del mondo, la carriera, per indossare un abito azzurrino, semplice semplice, come quello di san Massimiliano Kolbe, e un paio di sandali. Per affrontare una vita, quella del religioso, spesso dura, ricca di privazioni, senza una propria famiglia e una propria fissa dimora. C’è veramente una potenza immensa nella chiamata di Dio. Come uomini rimaniamo liberi di accoglierla o meno, ma quando il cuore lascia spazio al soprannaturale, esso esplode nella natura umana, capovolgendola, trasformandola, spingendo a scelte che sarebbero, altrimenti, incomprensibili. Dio può ancora oggi entrare in una famiglia, aperta alla voluntas Dei, come un tuono che entra dalla finestra della torre, per spazzare via ogni cosa!

Certo, perché sei giovani su sette lascino la loro casa, i loro studi, il loro lavoro, legittime ambizioni, occorre che l’abito che indosseranno abbia un grande fascino. E quello dei Francescani dell’Immacolata lo ha. Grazie, soprattutto, al suo fondatore, ancora in vita: Padre Stefano Maria Manelli.

“Padre Stefano”, come lo chiamano familiarmente i suoi frati, è per me una conoscenza di infanzia. Mio padre leggeva a noi figli, intorno al lettone matrimoniale, le sue meditazioni, molti anni prima che avessi l’opportunità di conoscerlo dal vivo. Io allora non lo sapevo, ma i libri di spiritualità di Mannelli, sono, oggi, quasi un unicum. Hanno un sapore medievale, cioè un gusto forte, dolce ed amaro nello stesso tempo.

Padre Stefano, dopo il Concilio Vaticano II, nel 1970, a causa di un progressivo indebolimento dell’osservanza religiosa, aveva chiesto ai Superiori di iniziare con un compagno, P. Gabriele M. Pellettieri, un’esperienza di vita secondo il modello francescano delle origini. Andare all’origini del francescanesimo significa anche tornare ad una predicazione essenziale, quella dei fioretti, degli exempla medievali. Leggere un libro di padre Stefano, ascoltare una sua predica, significa gustare la dottrina cattolica calata nel reale, incarnata nella storia. Niente a che vedere con i fumosi discorsi di taluni teologi, che vorrebbero assomigliare ai filosofi del passato o agli psicologi del presente. Nulla a che vedere con le prediche sciape, assolutamente vaghe, senza alcun contatto con la realtà, o assolutamente sociologiche (tutte uomo-mondo-società), di tanti predicatori odierni.

Padre Stefano propone sempre una visione teocentrica: Dio, l’uomo, i santi; morte, giudizio, inferno paradiso. La dottrina viene mescolata con la vita, con gli esempi concreti tratti appunto dall’esistenza dei più fedeli seguaci di Cristo. Un po’ come le catechesi di padre Livio a radio Maria, anche quelle di Padre Stefano non lasciano indifferenti lettori ed ascoltatori: li scuotono, li incalzano, non temono di turbare. Nello stesso tempo indicano cime, vette da raggiungere, da scalare; additano esempi affascinanti, propongono visioni soprannaturali. Qualcuno si ritrae spaventato, qualcuno, invece, percepisce la voce di Colui che è venuto a salvarci, ma anche a svegliarci dal sonno.

Quando decise di tentare la sua strada, padre Stefano scelse la città di Frigento, vicino Avellino, dove vi era un vecchio e malmesso convento, che divenne la prima Casa Mariana dell’Istituto dei Frati Francescani dell’Immacolata (dal 1998 di diritto pontificio). Padre Manelli è fondatore anche delle Suore Francescane dell’Immacolata, molto dedite, come i frati, alla buona stampa (si va dalle pubblicazioni edificanti, popolari, alle riviste filosofiche e teologiche di alto livello) e all’evangelizzazione attraverso l’uso dei media più moderni.

Se incontrate per strada un frate o una suora, azzurri, stile francescano, con in mano una sporta stile fra Galdino, e nell’altra una telecamera modernissima, ora sapete a che ordine appartiene.

Il Foglio, 29 dicembre

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