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lunedì 19 dicembre 2011

A Trento, come ai tempi di Erode


Da La Bussola di Francesco Agnoli del 12-12-2011

A Trento, come in tante città d’Italia, venire concepiti è sempre più un rischio ed una colpa. Che si paga con la morte. Ne hanno parlato anche i quotidiani nazionali. Una giovane ragazza trentina di sedici anni, incinta, è stata spinta dai genitori ad abortire. Nonostante fosse fortemente determinata a tenere il bambino. Nonostante fosse, secondo i quotidiani locali, molto “innamorata” del suo fidanzato.
I genitori sono addirittura ricorsi al Tribunale dei Minori, affinché l’eliminazione cruenta del nipote fosse ingiunta dall’autorità. Imposta con la violenza.
Dopo aver resistito con le unghie e con i denti, la povera ragazza, è capitolata e “ha deciso”, non certo spontaneamente, di abortire.
Innumerevoli sono le riflessioni che nascono di fronte ad un simile fatto drammatico.
Partiamo dalla meno importante: quel figlio è stato ucciso anche perché i suoi nonni non potevano accettare il fidanzato della figlia. Un ragazzo albanese. “Omicidio per motivi razziali?”, si domanderà qualcuno. Non importa: nessun professionista dell’antirazzismo si è sentito in dovere di protestare. L’aborto è ormai un bene senza se e senza ma.
Andiamo ora al cuore della vicenda. La cultura abortista si è sempre nascosta dietro il principio dell’autodeterminazione delle donne. L’autodeterminazione è oggi un sacro dogma intoccabile, ma a senso unico: può uccidere suo figlio, la madre che lo vuole; può far uccidere sua figlia, il padre che lo desidera, in nome di una presunta volontà della stessa, espressa a parole, in età adolescenziale.
Ma nessuno alza un dito per proteggere l’autodeterminazione di una ragazza che vuole tenere il bambino, e che viene incalzata, assediata, violentata nella sua libertà, da chi vuole costringerla a divenire il boia della sua creatura. Pro morte, la nostra cultura, sempre; pro vita, mai.
L’autodeterminazione è dunque una truffa: non solo perché non esiste il diritto di nessuno a negare la vita del suo prossimo, in nome della propria presunta libertà; ma anche perché la verità dell’aborto è che quasi sempre la donna che vi ricorre lo fa “costretta”: costretta dalle circostanze; dalla spinta di genitori, compagni, mariti; dalla freddezza e dall’insensibilità di chi la circonda; da problemi economici; da una cultura ingannatrice che le nasconde la natura del bambino, la drammaticità del gesto con cui viene ucciso, e le conseguenze future per la propria psiche e la propria vita. Ma a nessuno interessa rimuovere queste cause, queste costrizioni. A nessuno interessa l’autodeterminazione, quando è per il bene.
Il Nemico del genere umano, del resto, offre sempre, sotto il nome della “libertà”, solide e terribili catene.
Un’ultima considerazione, per un cattolico la più amara. Di fronte alla ragazza che difendeva la vita del figlio, non si è levata alcuna voce autorevole: un convento che si offrisse di tenere il bambino; un sacerdote che ricordasse la verità e invocasse compassione... (solo il rappresentante del Movimento per la Vita si è reso disponibile).
Nulla di nulla. Anzi, il direttore del settimanale diocesano trentino, “Vita Trentina”, ha dichiarato: “E’ un caso amaro. Una maternità che parte da uno stato di sofferenza così grande non parte bene. La Chiesa non può certo dichiararsi a favore dell’aborto, ma capiamo l’enorme difficoltà della famiglia e crediamo che in questa storia vadano sorretti tutti, la ragazza e i suoi genitori”. Dichiarazioni, queste, che dimostrano non solo una mancanza di fede, ma anche un assoluto disprezzo del buon senso e dell’uso della ragione. Infatti il direttore del settimanale diocesano ha anzitutto, per prima cosa, stigmatizzato una maternità, difficile quanto si voglia. Come se non fosse un valore in se stessa. Come se, qualunque sia il modo in cui è nato, ogni uomo non fosse per sua natura degno di rispetto.
Poi, dopo una frasetta di circostanza, quasi d’obbligo (tributo al mestiere che fa), ha dichiarato molto convintamente di “capire”, cioè di condividere, la scelta per la morte; infine con un equilibrismo degno di Ponzio Pilato e don Abbondio messi insieme, ha elegantemente omesso di citare il bambino (vanno aiutati “tutti, la ragazza e i suoi genitori”), dato ormai per spacciato o per inesistente, e ha invitato invece a sorreggere i genitori, cioè la loro volontà di costringere all’aborto, e, nello stesso tempo, la vittima, la figlia costretta ad abortire contro voglia. Come sorreggere quest’ultima, non è stato detto. Non era, è chiaro, un pensiero impellente, per il bravo direttore diocesano. Eppure, dire una parola all’intervistatore non era difficile; eppure, si poteva senza grossi rischi testimoniare la verità; eppure si doveva provare ad offrire un soccorso vero, magari anche solo indicando ai genitori e alla ragazza una via diversa: la possibilità di partorire il bambino e di renderlo adottabile. Ma le idee, gli sforzi per fare il bene, quando il cuore è altrove, non vengono.
Salvaci tu, Gesù bambino, dalla banalità del male. Dai nonni che spingono i genitori ad uccidere il “piccolo albanese” che vive in loro figlia. Dai cattolici che hanno perso ogni anelito al Bene ed alla Giustizia, e che ragionano come il mondo. Dai cattolici che non sanno vederti, in quel bambino ucciso barbaramente, come ai tempi di Erode.

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