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lunedì 5 dicembre 2011

L’accordo con la FSSPX e la mancata “esperienza della Tradizione”

Un errore strategico di Roma ?
Mons. Fellay nella sua ultima intervista una cosa giusta l’ha detta. Ben inteso molti passaggi del testo possono non essere condivisibili e alcuni non lo sono, ma una denuncia del Superiore della FSSPX deve far riflettere.
Quale credibilità - umanamente parlando - hanno gli appelli di Roma alla Fraternità San Pio X allorquando la vita tradizionale è ancora impossibile per la Fraternità San Pietro ?
Come può un prete medio o un fedele della FSSPX essere entusiasta d’un accordo canonico quando assiste alle difficoltà insormontabili di chi l’accordo l’ha già fatto o di chi s’arrabatta in diocesi ?
Non pretendiamo avere la sfera di cristallo su quel che succederà, non lo sappiamo ; in tutti i casi è comunque lecito porsi una tale domanda, che conserverà tutta la sua tragica attualità anche in caso di esito positivo, alla quale non è stata data finora risposta. In effetti pur fra mille proclami trionfalistici la verità è che i preti diocesani che vogliono dire la Messa sono ancora perseguitati, gli istituti tradizionali non sono aiutati e devono sbrigarsela da soli in un ambiente ostile. La colpa sarà anche del mondo tradizionalista che ha volte non è all’altezza, Fraternità compresa, non lo neghiamo.
Un po’ d’autocritica non guasta…almeno tra noi, ma anche Roma faccia la sua autocritica…
Mons. Fellay diceva nell’intervista grosso modo così : “chi si sporcherà le mani per difenderci all’indomani dell’accordo” ?
“Chi ci salverà dall’opposizione feroce dei vescovi” ?
Dei vescovi, ma anche - aggiungiamo - di quella parte della Curia romana che vorrebbe tagliar le gambe a tutto ciò che puzza di tradizione…
Il messaggio è chiaro: chi s’affida al Papa si mette nelle mani di Roma (che però non coincide sempre col Papa…) con tutto quel che consegue di questi tempi.
Perché allora andare a Roma si domanda Mgr Fellay se non ci date garanzie.
Garanzie che non siano pezzi di carta, ma fatti. Fatti.
La rimostranza di Mons. Fellay è eccessiva, specie tenuto conto della realtà costituita dalla FSSPX che avrebbe ben altro potere contrattuale che non un qualsiasi gruppuscolo tradizionalista diocesano o un prete isolato, ma un certo fondamento c’è, c’è eccome.
L’accusa è questa: “trovate il modo di sostenere i preti diocesani coraggiosi, aiutate l’istallazione degli istituti tradizionali che l’accordo l’hanno già fatto e le vostre intenzioni saranno inequivocabili”. Sarà chiaro che non volete accalappiarci per poi…castrarci. E’ il messaggio dell’ultima parte dell’intervista, forse il vero nodo della questione anche se preceduto da questioni di ampio respiro dottrinale (un po’ troppo ampio a dire il vero).
E’ un po’ come quel padrone che fischia al cagnolino, il cucciolo viene per obbedienza e per istinto, ma poi si prende tante bastonate.
Il cucciolo ci penserà due volte prima di ritornare…, ma ormai il guinzaglio gliel’abbiamo messo, quanto agli altri cagnolini…non si faranno certo accalappiare finché non vedranno nel padrone un padre e non un...accalappiacani che li farà morire di fame.
Sono cambiate tante cose è vero, ma la mentalità a Roma (parliamo di Roma in generale non del Papa che con tale mentalità deve lottare tutti i giorni) non è cambiata.
“Cari tradizionalisti se volete questo e quello…c’è da cedere su questo punto e poi su questo e poi ancora su questo, sennò sono bastonate!”
E se qualcuno osa resistere è un parroco troppo duro, lo mandiamo in montagna…e Roma tace. Un gruppo è determinato e non vuole cedere ? Semplice: “non aiutatele, ignorateli per un po’, senza alcun sostegno finiranno per sfaldarsi”.
Potremmo continuare e ciascuno dei lettori avrebbe forse un episodio da raccontare, siano essi fedeli, preti, religiosi, gruppi di fedeli diocesani o di società tradizionaliste.
Solo un piccolo, concreto, sincero, vero aiuto di Roma, magari con meno proclami, magari facendo funzionare quel che già esiste, quelli che già vogliono fare l’esperienza della Tradizione (diceva Mons. Lefebvre) senza dar fastidio a nessuno, ma con convinzione.
Fatti però, fatti non parole.
I fatti avrebbero convinto tutti e l’evidenza di aiuti concreti avrebbe levato l’alibi agli avvoltoi.
Quell’esperienza della Tradizione che non s’è voluta fare è forse, aldilà delle grandi asserzioni teologiche - da ambo le parti - la vera causa di tanta sfiducia. Ma si può e si deve rimediare, perché non si tratta solo d’errore strategico, ma d’ingiustizia.
( A.C.)

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