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mercoledì 2 novembre 2011

Perché il latino è importante per il futuro della Chiesa (e un paio di altre cose) - I Parte

PARTE I

C’è un nesso ben preciso tra l’uso del latino e il fatto che la Chiesa esisterà, intatta nella fede e nel pensiero seppur forse ridotta a minoranza creativa, fino alla fine della storia dell’uomo.
Naturalmente non posso dimostrare la longevità ventura della Chiesa, che è argomento di fede: ma posso dimostrare, con argomentazioni assolutamente laiche e razionali, che il latino ha una funzione essenziale ai fini di questa longevità.
conosco fondamentalmente due tipi di obiezioni che di solito sono fatte all’uso del latino nella Chiesa. La prima è che il latino è una lingua straniera, dunque di difficile comprensione, dunque allontana la gente. La seconda, più radicale, è che il latino è una lingua morta, un idioma che da molti secoli non è più parlato nell’uso quotidiano da alcun popolo; e perciò il suo uso non solo erige un muro di incomprensibilità con il popolo stesso, ma implica una mentalità rivolta esclusivamente al passato, ostile al presente e incapace di guardare al futuro.

Ora, se rispondere alla prima obiezione è relativamente facile – basta citare tutti quei numerosi esempi di prodotti di mercato della cultura di massa come libri e musica e film eccetera, sottolineiamo oggetti commerciali compravenduti e non suppellettili da torre d’avorio per ristrette élites, che fanno uso di lingue diverse dall’idioma nativo del pubblico al quale si rivolgono e nondimeno incontrano un successo enorme presso tale pubblico (1) – la seconda obiezione richiede invece una risposta più articolata, che consiste fondamentalmente nel far riflettere sulla preziosissima caratteristica di una lingua morta rispetto ad una lingua viva: l’immutabilità.
Infatti
1. le lingue vive cambiano sempre, in continuazione, soggette a mutazioni spontanee tanto frequenti quanto ineliminabili;
2. perciò un qualunque messaggio comunicato con la lingua odierna, per quanto chiaro oggi, diverrà sempre più oscuro col passare del tempo;
3. invece le lingue morte, proprio in quanto tali, sono immutabili;
4. perciò un messaggio comunicato oggi in latino sarà comprensibile anche tra mille anni a tutti coloro che avranno conservato la memoria e l’uso del latino classico.


Claudio LXXXI

NOTE:



(1) Basterebbe fermarci all’immancabile canzone americana che tutti abbiamo sentito spaventosamente cantare sotto la doccia da quel nostro parente o amico che non sa l’inglese e ha già problemi con l’italiano, ma è più interessante notare che il fenomeno coinvolge anche le lingue inventate, che per definizione sono straniere per chiunque, come l’elfico di Tolkien o il Klingon di Star Trek [ci sono quelli che comprano anelli con le iscrizioni della Lingua di Mordor. Ci sono quelli che studiano sistematicamente il Quenya e il Sindarin (da segnalare la pregevolissima traduzione dell’Ave Maria in alto-elfico). Ci sono i nerd che imparano a parlare correntemente il klingon. Ci sono quelli che addirittura in klingon ci vanno a vedere opere teatrali. Eccetera. Eccetera. Eccetera]. Tant’è che perfino il recente polpettone new age di James Cameron ha fatto largo uso di un linguaggio alieno inventato all’uopo e non pare che ciò gli abbia impedito di incassare uno sfracello di soldi ed anzi gli entusiasti dicono faccia proprio parte del fascino del film.
E se vogliamo parlare proprio del latino, vogliamo ricordare il notevole successo commerciale incontrato dalla Passione di Mel Gibson interamente in latino e aramaico, oppure l’imprevedibile exploit di pubblico del Nome della Rosa di Umberto Eco seppur intriso dalla prima all’ultima pagina di locutiones e disiecta membra? Insomma, chi dice che il prestito linguistico allontana inevitabilmente la “gente”, dovrebbe forse aprire gli occhi e constatare che la mitica “gente”, forse, non è così totalmente pigra e scema come certe teorie la considerano.

segue

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