Le acque sono sempre più mosse, ma più si muovono e più si fa chiarezza. Come è sempre accaduto nella storia della Chiesa. E' l'immobilismo a far paura, ad essere nemico dell'unico ovile con il suo unico Pastore. "Non si è affatto conclusa la stagione post-conciliare", ha scritto Andrea Morigi su "Libero", dell'11 ottobre 2011, "se Papa Bendetto XVI richiama la necessità di distinguere fra due interpretazioni contrapposte, quella 'della discontinuità e della rottura' e quella della 'riforma, della continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato' ". Però, se non si è conclusa la stagione post-concliare, dopo quasi cinquant'anni, significa che qualcosa di importante, ma anche di grave, è successo nella stagione conciliare (1962-1965). Allora ben vengano gli studi, le ricerche, gli approfondimenti, le scoperte... attraverso i testi, i protagonisti, i documenti, i fenomeni storici, sociologici, culturali, mediatici dell'epoca in questione. Morigi pone di fronte, l'una contro l'altra, le posizioni di chi è con la Tradizione e di chi è progressivamente nemica di essa, dunque, a suo parere, è corretta la posizione del "compromesso". Eppure non ci è stato insegnato così dalla Chiesa: i suoi Dottori, i suoi santi insegnano che l'unico metodo valido per rimanere saldi e fedeli alla Verità portata da Gesù Cristo è proprio la Tradizione, quella linea aurea che lega omogeneamente il passato, il presente, il futuro. Il Beato Cardinale John Henry Newman si convertì per ben tre volte (da superstizioso a calvinista, da calvinista ad anglicano, da anglicano a cattolico), approdando a Santa Romana Chiesa, proprio solo e grazie alla Tradizione dottrinale e liturgica. A dimostrarlo resta il suo immenso e straotrdinario patrimonio biografico e bibliografico. Dice ancora Andrea Morigi: "Insegnare al Papa come si fa il Papa, del resto, è un esercizio tipicamente moderno". Non è vero affatto: la storia sacra insegna. La grande Caterina da Siena fu davvero buona maestra, basta leggere il suo epistolario per compredere l'amore per la Sposa di Cristo e, dunque, aiutò il Papa, così come fecero sant'Atanasio, sant'Eusebio da Vercelli, santa Ildegarda di Bingen, santa Maria Maddalena de' Pazzi, san Francesco di Assisi, san Francesco di Sales e diremmo anche santi come il Curato d'Ars, Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco, Pio da Pietrelcina... insomma, la comunione dei santi, tutti protagonisti della Tradizione, è sempre vicino al Papa per sostenerlo, incoraggiarlo, aiutarlo fra tanti lupi famelici... E' interessante, ma soprattutto importante per le anime, proseguire le indagini e capire veramente che cosa successe in quel XXI Concilio Vaticano II. (Cristina Siccardi).
Ecco, dunque, la proposta di leggere questo invitante articolo del Professor Roberto de Mattei, uscito ieri su "il Folgio".
Una brusca sveglia per la chiesa “Bella Addormentata” dopo il Concilio
Tra meno di un anno celebreremo il mezzo secolo che ci separa dal Concilio Vaticano II, ma le polemiche che in questi giorni hanno accompagnato l’attribuzione del premio Acqui Storia al mio libro “Il Concilio Vaticano II una storia mai scritta” (Lindau 2010) confermano come quell’evento rappresenti un nodo storico ancora da sciogliere, soprattutto per il mondo cattolico.
“Tutti constatano la crisi, ma nessuno vuol dire che è stato il Concilio Vaticano II a produrla: non con un gesto positivo ma con un gesto negativo: quello di non procedere a definizioni dottrinali”, scriveva nel 2001 don Gianni Baget Bozzo, aprendo il suo saggio “L’Anticristo”. Oggi però le domande sul tappeto sono troppo numerose e urgenti perché si possa continuare a schivarle. E non eludono il problema anzi lo affrontano di petto Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, nel loro ultimo libro dall’immaginifico titolo “La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi.Perché si risveglierà” (Vallecchi, 2011, pp. 246, euro 12,50): un eccellente contributo per comprendere quanto accadde a Roma tra l’11 ottobre del 1963 e l’8 dicembre del 1965, e soprattutto cosa avvenne nella chiesa dopo quel fatidico triennio.
La Bella Addormentata è la chiesa che, malgrado i peccati dei suoi membri, resta splendente e immacolata, perché non è, in sé, mai peccatrice. Essa però oggi pare addormentata, perché negli ultimi decenni, gli errori e i tradimenti dei suoi membri sembrano averla immersa in un sonno che assomiglia alla morte.
Come altro definire se non sonno, la paralisi che attanaglia oggi sacerdoti e religiosi davanti agli attacchi crescenti di chi vorrebbe liquidare o stravolgere le dottrine e le strutture stesse della chiesa? Il peccato di silenzio e di omissione è un sonno dell’anima, che ha la sua radice nel mutato atteggiamento della chiesa davanti al mondo, proposto dal Vaticano II: un Concilio che si propose come solamente pastorale, e non dogmatico, come se tutti i precedenti concili dogmatici non fossero stati anch’essi pastorali.
Il fatto è che il termine pastorale non era altro che la trascrizione, all’interno della Chiesa, della categoria gramsciana di prassi in voga negli anni Sessanta. Attraverso il primato della prassi si pretendeva portare nella chiesa la stessa rivoluzione con cui, pochi anni dopo, il Sessantotto investì la società occidentale. La rivoluzione ci fu, ma nel linguaggio e nella mentalità, più che nella dottrina. La prassi era il modo di rapportarsi della chiesa con il mondo, che in quegli anni effettivamente mutò, abbandonando, ad esempio, come ben sottolineano Gnocchi e Palmaro, la lingua latina, la predicazione apologetica per il popolo e lo stile definitorio e giuridico.
Il Vaticano II non ne deliberò in modo esplicito e solenne la rimozione e tuttavia il vento del Concilio spazzò via questi tre pilastri della comunicazione cattolica, sostituendoli con un nuovo modo di esprimersi e di parlare ai fedeli. Il latino è stato abbandonato, l’apologetica dileggiata e denigrata, lo stile definitorio sostituito da un nuovo linguaggio pastorale, tanto vago e confuso quanto il primo era nitido e netto. Una volta accettato il primato della prassi si arrivò all’assunzione di criteri massmediatici, come vere e proprie categorie ecclesiali: gli indici di ascolto in luogo di indicatori del grado di evangelizzazione, la popolarità in luogo di misura della santità.
La assunzione del linguaggio mediatico proprio del mondo, costrinse a sottomettersi alle sue regole. La Chiesa ha come fine l’annuncio della Verità, costi quel che costi, mentre nell’universo mediatico, lo scopo del messaggio non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione. Ma il messaggio si diffonde talvolta tanto più ampiamente quanto nasconde o deforma una verità e il successo della comunicazione prevale sulla verità del messaggio comunicato. E siccome il mezzo è il messaggio, in ultima analisi, spiegano lucidamente gli autori del volume, la scena è dominata da mezzi di comunicazione che comunicano se stessi. In termini filosofici non interessa quello che Kant avrebbe chiamato la cosa in sé, il “noumeno”, ma il fenomeno. E’ vero solo ciò che è comunicato e nella misura in cui questo messaggio viene diffuso.
Quali sono stati i frutti di questo cambiamento pastorale? I più evidenti e clamorosi stanno nella crisi del sacerdozio. In Francia, per fare un esempio, alla vigilia del Concilio erano ordinati quasi mille sacerdoti ogni anno. Nel 2010 i sacerdoti ordinati sono stati 88, meno del dieci per cento di quanto avveniva. Ma al di là dei numeri, ciò che è evidente e palpabile è la crisi della spiritualità, che si esprime con la sostituzione del primato dell’azione a quello della contemplazione. La gran parte dei pastori oggi è affetta dal morbo del “fare”, ovvero da un frenetico attivismo che fa dimenticare la preghiera e l’adorazione.
L’abatino con lo spiderino rosso che si presenta al don Camillo di Guareschi o il don Alfio di Verdone in “Io, loro e Lara”, ma anche il parroco che ognuno di noi incontra nella chiesa accanto, incarnano un tipo umano che è figlio – legittimo o illegittimo, questo è un altro discorso – del Concilio Vaticano II. Essi mostrano tutta la tragedia di un cattolicesimo che, spiegano bene Gnocchi e Palmaro, “ha mutato secoli di metafisica in povera antropologia”. Il volume si chiude con quella nota di ottimismo soprannaturale che deve caratterizzare il pensiero e l’azione di ogni cattolico. Chi sarà il principe azzurro che risveglierà la Bella Addormentata?
Forse proprio il popolo dei fedeli, le pecorelle abbandonate “a cui toccherà chiedere che la Tradizione e la dottrina della chiesa, che la Messa e i sacramenti siano rispettati e resi al popolo come Dio vuole”. Che questa sia la strada giusta da seguire ce lo conferma un recente discorso tenuto lo scorso 18 settembre da Giovanni Franzoni a un convegno teologico madrileno. Franzoni, classe 1928, ex prete, ex abate del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura, è uno dei pochissimi Padri conciliari ancora sopravvissuti (insieme, in Italia, al suo amico mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea).
In quel discorso dopo aver ricostruito gli umori, le attese, le delusioni dei progressisti, durante e dopo l’assise conciliare, egli giunge a questa conclusione: “Volendo ora sintetizzare, descriverei così il nodo del contrasto che grava sulla chiesa cattolica da decenni: per Wojtyla e Ratzinger il Vaticano II va visto alla luce del Concilio di Trento e del Vaticano I; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, e relativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, data questa divergente angolazione, i contrasti sono ineliminabili”.
Per Franzoni, insomma, come per la scuola di Bologna e perfino per alcuni appartenenti alla “balena bianca ecclesiale”, la regola di fede è il Concilio Vaticano II. La strada suggerita da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e seguita da Gnocchi e Palmaro nel loro bel libro è quella, opposta, della rilettura, quando necessario critica, del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione.
“Tutti constatano la crisi, ma nessuno vuol dire che è stato il Concilio Vaticano II a produrla: non con un gesto positivo ma con un gesto negativo: quello di non procedere a definizioni dottrinali”, scriveva nel 2001 don Gianni Baget Bozzo, aprendo il suo saggio “L’Anticristo”. Oggi però le domande sul tappeto sono troppo numerose e urgenti perché si possa continuare a schivarle. E non eludono il problema anzi lo affrontano di petto Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, nel loro ultimo libro dall’immaginifico titolo “La Bella Addormentata. Perché dopo il Vaticano II la Chiesa è entrata in crisi.Perché si risveglierà” (Vallecchi, 2011, pp. 246, euro 12,50): un eccellente contributo per comprendere quanto accadde a Roma tra l’11 ottobre del 1963 e l’8 dicembre del 1965, e soprattutto cosa avvenne nella chiesa dopo quel fatidico triennio.
La Bella Addormentata è la chiesa che, malgrado i peccati dei suoi membri, resta splendente e immacolata, perché non è, in sé, mai peccatrice. Essa però oggi pare addormentata, perché negli ultimi decenni, gli errori e i tradimenti dei suoi membri sembrano averla immersa in un sonno che assomiglia alla morte.
Come altro definire se non sonno, la paralisi che attanaglia oggi sacerdoti e religiosi davanti agli attacchi crescenti di chi vorrebbe liquidare o stravolgere le dottrine e le strutture stesse della chiesa? Il peccato di silenzio e di omissione è un sonno dell’anima, che ha la sua radice nel mutato atteggiamento della chiesa davanti al mondo, proposto dal Vaticano II: un Concilio che si propose come solamente pastorale, e non dogmatico, come se tutti i precedenti concili dogmatici non fossero stati anch’essi pastorali.
Il fatto è che il termine pastorale non era altro che la trascrizione, all’interno della Chiesa, della categoria gramsciana di prassi in voga negli anni Sessanta. Attraverso il primato della prassi si pretendeva portare nella chiesa la stessa rivoluzione con cui, pochi anni dopo, il Sessantotto investì la società occidentale. La rivoluzione ci fu, ma nel linguaggio e nella mentalità, più che nella dottrina. La prassi era il modo di rapportarsi della chiesa con il mondo, che in quegli anni effettivamente mutò, abbandonando, ad esempio, come ben sottolineano Gnocchi e Palmaro, la lingua latina, la predicazione apologetica per il popolo e lo stile definitorio e giuridico.
Il Vaticano II non ne deliberò in modo esplicito e solenne la rimozione e tuttavia il vento del Concilio spazzò via questi tre pilastri della comunicazione cattolica, sostituendoli con un nuovo modo di esprimersi e di parlare ai fedeli. Il latino è stato abbandonato, l’apologetica dileggiata e denigrata, lo stile definitorio sostituito da un nuovo linguaggio pastorale, tanto vago e confuso quanto il primo era nitido e netto. Una volta accettato il primato della prassi si arrivò all’assunzione di criteri massmediatici, come vere e proprie categorie ecclesiali: gli indici di ascolto in luogo di indicatori del grado di evangelizzazione, la popolarità in luogo di misura della santità.
La assunzione del linguaggio mediatico proprio del mondo, costrinse a sottomettersi alle sue regole. La Chiesa ha come fine l’annuncio della Verità, costi quel che costi, mentre nell’universo mediatico, lo scopo del messaggio non è la trasmissione del vero, ma la propria diffusione. Ma il messaggio si diffonde talvolta tanto più ampiamente quanto nasconde o deforma una verità e il successo della comunicazione prevale sulla verità del messaggio comunicato. E siccome il mezzo è il messaggio, in ultima analisi, spiegano lucidamente gli autori del volume, la scena è dominata da mezzi di comunicazione che comunicano se stessi. In termini filosofici non interessa quello che Kant avrebbe chiamato la cosa in sé, il “noumeno”, ma il fenomeno. E’ vero solo ciò che è comunicato e nella misura in cui questo messaggio viene diffuso.
Quali sono stati i frutti di questo cambiamento pastorale? I più evidenti e clamorosi stanno nella crisi del sacerdozio. In Francia, per fare un esempio, alla vigilia del Concilio erano ordinati quasi mille sacerdoti ogni anno. Nel 2010 i sacerdoti ordinati sono stati 88, meno del dieci per cento di quanto avveniva. Ma al di là dei numeri, ciò che è evidente e palpabile è la crisi della spiritualità, che si esprime con la sostituzione del primato dell’azione a quello della contemplazione. La gran parte dei pastori oggi è affetta dal morbo del “fare”, ovvero da un frenetico attivismo che fa dimenticare la preghiera e l’adorazione.
L’abatino con lo spiderino rosso che si presenta al don Camillo di Guareschi o il don Alfio di Verdone in “Io, loro e Lara”, ma anche il parroco che ognuno di noi incontra nella chiesa accanto, incarnano un tipo umano che è figlio – legittimo o illegittimo, questo è un altro discorso – del Concilio Vaticano II. Essi mostrano tutta la tragedia di un cattolicesimo che, spiegano bene Gnocchi e Palmaro, “ha mutato secoli di metafisica in povera antropologia”. Il volume si chiude con quella nota di ottimismo soprannaturale che deve caratterizzare il pensiero e l’azione di ogni cattolico. Chi sarà il principe azzurro che risveglierà la Bella Addormentata?
Forse proprio il popolo dei fedeli, le pecorelle abbandonate “a cui toccherà chiedere che la Tradizione e la dottrina della chiesa, che la Messa e i sacramenti siano rispettati e resi al popolo come Dio vuole”. Che questa sia la strada giusta da seguire ce lo conferma un recente discorso tenuto lo scorso 18 settembre da Giovanni Franzoni a un convegno teologico madrileno. Franzoni, classe 1928, ex prete, ex abate del monastero benedettino di San Paolo fuori le Mura, è uno dei pochissimi Padri conciliari ancora sopravvissuti (insieme, in Italia, al suo amico mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea).
In quel discorso dopo aver ricostruito gli umori, le attese, le delusioni dei progressisti, durante e dopo l’assise conciliare, egli giunge a questa conclusione: “Volendo ora sintetizzare, descriverei così il nodo del contrasto che grava sulla chiesa cattolica da decenni: per Wojtyla e Ratzinger il Vaticano II va visto alla luce del Concilio di Trento e del Vaticano I; per noi, invece, quei due Concili vanno letti, e relativizzati, alla luce del Vaticano II. Dunque, data questa divergente angolazione, i contrasti sono ineliminabili”.
Per Franzoni, insomma, come per la scuola di Bologna e perfino per alcuni appartenenti alla “balena bianca ecclesiale”, la regola di fede è il Concilio Vaticano II. La strada suggerita da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e seguita da Gnocchi e Palmaro nel loro bel libro è quella, opposta, della rilettura, quando necessario critica, del Concilio Vaticano II alla luce della Tradizione.
Roberto de Mattei - "Il Foglio" 13-10-2011
Scusate se batto e ribatto su un discorso che ho già fatto, ma a me sembra molto importante.
RispondiEliminaCredo che in linea di massima il Concilio Vaticano II non abbia fatto affermazioni sbagliate; semplicemente, anche a causa del desiderio di "disgelo" di quegli anni, ha presentato prevalentemente o quasi solo il lato luminoso del discorso cristiano: quello dell'apertura al mondo, dell'amore per la pace, dell'impegno per il bene comune, della distinzione fra l'errore e l'errante, del contributo dei fedeli al progresso sociale ( il tutto rappresentato dall'icona di un Francescanesimo ecologico-evanescente ); è rimasto nel dimenticatoio il discorso del mondo come dominio di Satana, della dilagante presenza del male, del peccato, dell'errore tragicamente fuorviante, dell'Inferno, dei Novissimi, della indispensabilità del sacrificio dell'Uomo-Dio per la Redenzione. Si è andati verso una sopravvalutazione dell'"Ortoprassi" ( fare il bene in stile filantropico ) rispetto all'"Ortodossia" ( tener presenti i dogmi e la dottrina della Chiesa elaborati in secoli di riflessioni, esperienze e definizioni ufficiali ). Si è pensato che l'incontro col mondo moderno dovesse svolgersi quasi solo sul terreno della filantropia e della politica "impegnata" e non anche su quello del confronto tra griglie concettuali del pensiero moderno e teologia. Da qui l'abbandono quasi totale dell'apologetica con dequalificazione della preparazione di sacerdoti e di laici "impegnati"e ulteriore perdita di "presa" sulla borghesia acculturata che controlla i mass-media e conseguente semi-disfacimento del cattolicesimo popolare.
Insomma, un dettato conciliare non "sbagliato", ma "sbilanciato". Almeno così mi sembra; coreggetemi pure.
Scusate se batto e ribatto su un discorso che ho già fatto, ma a me sembra molto importante.
RispondiEliminaCredo che in linea di massima il Concilio Vaticano II non abbia fatto affermazioni sbagliate; semplicemente, anche a causa del desiderio di "disgelo" di quegli anni, ha presentato prevalentemente o quasi solo il lato luminoso del discorso cristiano: quello dell'apertura al mondo, dell'amore per la pace, dell'impegno per il bene comune, della distinzione fra l'errore e l'errante, del contributo dei fedeli al progresso sociale ( il tutto rappresentato dall'icona di un Francescanesimo ecologico-evanescente ); è rimasto nel dimenticatoio il discorso del mondo come dominio di Satana, della dilagante presenza del male, del peccato, dell'errore tragicamente fuorviante, dell'Inferno, dei Novissimi, della indispensabilità del sacrificio dell'Uomo-Dio per la Redenzione. Si è andati verso una sopravvalutazione dell'"Ortoprassi" ( fare il bene in stile filantropico ) rispetto all'"Ortodossia" ( tener presenti i dogmi e la dottrina della Chiesa elaborati in secoli di riflessioni, esperienze e definizioni ufficiali ). Si è pensato che l'incontro col mondo moderno dovesse svolgersi quasi solo sul terreno della filantropia e della politica "impegnata" e non anche su quello del confronto tra griglie concettuali del pensiero moderno e teologia. Da qui l'abbandono quasi totale dell'apologetica con dequalificazione della preparazione di sacerdoti e di laici "impegnati"e ulteriore perdita di "presa" sulla borghesia acculturata che controlla i mass-media e conseguente semi-disfacimento del cattolicesimo popolare.
Insomma, un dettato conciliare non "sbagliato", ma "sbilanciato". Almeno così mi sembra; coreggetemi pure.
Mi dispiace ribattere sullo stesso tasto, ma che vuol dire "rilettura critica del concilio alla luce della tradizione"?. Faceva parte della tradizione l'idea che passare dal cristianesimo ad un altra religione fosse un crimine punibile con la morte ( idea sostenuta anche da San Tommaso). Dopo il Concilio e la dichiarazione sulla libertà religiosa lo stesso Benedetto XVI ne parla come di un diritto incoercibile. Non sarà allora la tradizione a dover essere rivista criticamente alla luce del Concilio, cioè del sensus fidei della Chiesa universale?
RispondiEliminaBisognerebbe riesaminare con la massima attenzione i passi cruciali della dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa, soprattutto in relazione alla questione della distinzione fra libertà "in foro interno" e manifestata e praticata all'esterno, nella vita sociale. Non credo che qualsiasi dichiarazione del CVII possa presentare l'apostasia come una scelta lecita; al massimo come non punibile dall'autorità civile vista come "braccio secolare". Sarebbe com e approvare il passaggio dal più al meno. Uno dei propugnatori di quella dichiarazione fu, se non ho capito male, l'arcivescovo Wojtyla, forse anche come strumento polemico in funzione antiregime comunista.
RispondiEliminaCredo che la questione cruciale sia un'altra, forse più sottile: ammesso il principio della libertà religiosa per ciascuno, come si fa a distinguere tra libertà di religioni corrispondenti "grosso modo" alla moralità naturale, e di religioni moralmente deleterie? E una volta ammessa la libertà di ogni religione, come impedire il sanzionamento giuridico delle conseguenze comportamentali connesse? Un volta che una certa religione anmmetta divorzio, poligamia, aborto, su che base la Chiesa può intimare o almeno suggerire con forza l'esclusione dai codici di regolamentazioni relative a divorzio, poligamia, aborto?
Lei dovrebbe sapere che, nella dottrina cristiana, la Tradizione è, assieme alle Scritture, uno dei due pilastri della Rivelazione, e che il Magistero non può contraddirLa, ma, al massimo, fedelmente spiegarLa, sottoponendosi rispettosamente al suo vaglio. Riguardo all'esiziale concetto di "libertà religiosa", questo è infatti uno dei principali elementi di conflitto tra la Dottrina di sempre e le innovazioni conciliari e post-conciliari, concetto che ha legittimato l'attuale relativismo ecclesiale e che nega la Regalità di Cristo e la Dottrina Sociale della Chiesa oltre che, soprattutto, il santo principio che la salvezza delle anime (che la "libertà religiosa" mette indubitabilmente in pericolo) è la suprema legge della Chiesa.
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RispondiElimina"Come altro definire se non sonno, la paralisi che attanaglia oggi sacerdoti e religiosi davanti agli attacchi crescenti di chi vorrebbe liquidare o stravolgere le dottrine e le strutture stesse della chiesa? Il peccato di silenzio e di omissione è un sonno dell’anima,..."
C`è chi sa, chi non approva, ma tace, rendendosi così complice di chi sta devastando la Dottrina, la Liturgia e anche le stritture della Chiesa come quelle parrocchiali, ma c`è chi non tace o, meglio, tace su abusi e derive e li promuove, legittimandoli, anche partecipandovi; gli uni e gli altri, chi in modo passivo, chi attivamente, contribuiscono alla confusione del gregge, alla sua deformazione. Sembra che oggi nella Chiesa contino più i numeri che il rispetto della Dottrina e della Liturgia, chi può ostentare un "buon indice d`ascolto" è promosso e poco importa quel che fa per ottenere quel seguito, come lo ottiene, quale è il contenuto del "programma" che presenta.
Si può discutere quale tipo di condanna adottare (anche solo verbale) ma passare dalla vera religione a una falsa religione deve restare un errore. E almeno in linea di principio l'errore non dovrebbe avere alcun diritto giurdico, venendo al massimo tollerato. Il magistero ha pure lui in limite: quello di essere contenuto entro i limiti della Rivelazione costituita da Tradizione (prima fonte di trasmissione degli insegnamenti di Cristo e degli Apostoli e poi della Chiesa) e Scrittura (che contiene solo una parte della Rivelazione). Il Concilio che corregge la Tradizione?! Discontinuo mi auguro che tu non sia nè teologo nè prete ....
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