Riportiamo l’ estratto di una conferenza tenuta da padre Uwe Michael Lang durante la “Liturgy Convention of the Archdiocese of Colombo” (Sri Lanka) tenutasi presso l’Aquinas University College, il 01 settembre 2010.L’intervento completo lo potete trovare qui.
Via Raffaella Blog
di Uwe Michael Lang
Nel 2008, lo “Institut Papst Benedict XVI” a Regensburg in Germania, ha iniziato a pubblicare la raccolta degli scritti di Joseph Ratzinger. Secondo l’espresso desiderio dell’attuale Santo Padre, l’undicesimo volume della progettata serie, “Teologia della Liturgia”, è apparso per primo (1). Nel luglio 2010, è stata pubblicata la traduzione italiana di questo volume (2) e la versione inglese è preparata dalla Ignatius Press di San Francisco.
Nella prefazione, datata 29 giugno 2008, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI spiega le ragioni per questa scelta, che era ovvia, poiché la Sacra Liturgia è stata sempre centrale nella sua vita fin dall’infanzia ed è il cuore della sua opera teologica. C’è un’altra ragione perché la serie inizi con il volume sulla liturgia: il progetto editoriale riflette l’ordine di priorità del Concilio Vaticano II.
Il Santo Padre attira l’attenzione sul fatto che il primo documento conciliare è stata la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium: “Ciò che a prima vista può sembrare una coincidenza, si rivela essere, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, anche intrinsecamente giusto. Iniziando con il tema della ‘liturgia’, si mette inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema ‘Dio’. Prima di tutto Dio: questo significa iniziare con la liturgia. Quando il centro non è Dio, tutto il resto perde il suo orientamento. Il motto della regola benedettina ‘Non anteporre nulla all’Opera di Dio’ (43,3) si applica specificamente al monachesimo, ma come ordine di priorità è vero anche per la vita della Chiesa e di tutti, ciascuno nel proprio modo”. (3)
Papa Benedetto richiama poi un tema che egli ha esplorato nei suoi diversi scritti sulla liturgia, ed è la pienezza di significato della “ortodossia”: può essere utile ricordare che nel termine “ortodossia”, la seconda parte della parola “doxa”, non significa “opinione”, ma “gloria” (Herrlichkeit): non si tratta di avere una “opinione” corretta su Dio, ma il modo appropriato di glorificarlo, di rispondergli. Perché questa è la domanda fondamentale dell’uomo che comincia a comprendere se stesso correttamente: come posso incontrare Dio? Perciò, apprendere il modo giusto di adorazione – di ortodossia – è quanto ci è concesso soprattutto grazie alla fede. (4)
Esiste un’antica massima del quinto secolo che è spesso riproposta nella forma “Lex orandi, lex credendi”; cioè letteralmente, la legge dell’orazione è la legge della fede (5). Vuol dire che il culto pubblico della Chiesa è espressione e testimonianza della sua infallibile fede, e ci deve aiutare a capire profondamente, al di là delle stesse parole, che ogni nostra aspirazione di bontà, di verità, di bellezza e di amore è fondata nella trascendente realtà di Dio (6).
Nelle sue omelie e discorsi, e in special modo nelle celebrazioni liturgiche, Papa Benedetto XVI ha coerentemente seguito l’ordine delle priorità del Concilio e ha trasmesso a un pubblico mondiale il suo profondo assillo teologico espresso nei suoi molti scritti sull’argomento, che la sacra liturgia deve essere un riflesso della gloria di Dio. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della Santa Messa nella quale si rinnova ogni volta in forma sacramentale il Mistero pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Celebrando l’Eucaristia, siamo immersi in comunione con il Signore che ci benedice col dono del suo amore – il dono di sé sotto le apparenze del pane e del vino.
La liturgia, insomma, conta. Conta non solo perché, anche da una prospettiva puramente empirica, la grande maggioranza dei cattolici praticanti incontra la Chiesa alla Messa domenicale, ma a un livello più profondo, il culto di Dio è “la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana”, come afferma la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Nella liturgia, in particolare nel santo sacrificio dell’Eucaristia, “si compie l’opera della nostra redenzione”, come dichiara un’antica preghiera del Rito Romano della Messa. Inoltre, la liturgia manifesta al mondo “il Mistero di Cristo e la vera natura della Chiesa”.
Via Raffaella Blog
di Uwe Michael Lang
Nel 2008, lo “Institut Papst Benedict XVI” a Regensburg in Germania, ha iniziato a pubblicare la raccolta degli scritti di Joseph Ratzinger. Secondo l’espresso desiderio dell’attuale Santo Padre, l’undicesimo volume della progettata serie, “Teologia della Liturgia”, è apparso per primo (1). Nel luglio 2010, è stata pubblicata la traduzione italiana di questo volume (2) e la versione inglese è preparata dalla Ignatius Press di San Francisco.
Nella prefazione, datata 29 giugno 2008, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Benedetto XVI spiega le ragioni per questa scelta, che era ovvia, poiché la Sacra Liturgia è stata sempre centrale nella sua vita fin dall’infanzia ed è il cuore della sua opera teologica. C’è un’altra ragione perché la serie inizi con il volume sulla liturgia: il progetto editoriale riflette l’ordine di priorità del Concilio Vaticano II.
Il Santo Padre attira l’attenzione sul fatto che il primo documento conciliare è stata la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium: “Ciò che a prima vista può sembrare una coincidenza, si rivela essere, guardando alla gerarchia dei temi e dei compiti della Chiesa, anche intrinsecamente giusto. Iniziando con il tema della ‘liturgia’, si mette inequivocabilmente in luce il primato di Dio, la priorità del tema ‘Dio’. Prima di tutto Dio: questo significa iniziare con la liturgia. Quando il centro non è Dio, tutto il resto perde il suo orientamento. Il motto della regola benedettina ‘Non anteporre nulla all’Opera di Dio’ (43,3) si applica specificamente al monachesimo, ma come ordine di priorità è vero anche per la vita della Chiesa e di tutti, ciascuno nel proprio modo”. (3)
Papa Benedetto richiama poi un tema che egli ha esplorato nei suoi diversi scritti sulla liturgia, ed è la pienezza di significato della “ortodossia”: può essere utile ricordare che nel termine “ortodossia”, la seconda parte della parola “doxa”, non significa “opinione”, ma “gloria” (Herrlichkeit): non si tratta di avere una “opinione” corretta su Dio, ma il modo appropriato di glorificarlo, di rispondergli. Perché questa è la domanda fondamentale dell’uomo che comincia a comprendere se stesso correttamente: come posso incontrare Dio? Perciò, apprendere il modo giusto di adorazione – di ortodossia – è quanto ci è concesso soprattutto grazie alla fede. (4)
Esiste un’antica massima del quinto secolo che è spesso riproposta nella forma “Lex orandi, lex credendi”; cioè letteralmente, la legge dell’orazione è la legge della fede (5). Vuol dire che il culto pubblico della Chiesa è espressione e testimonianza della sua infallibile fede, e ci deve aiutare a capire profondamente, al di là delle stesse parole, che ogni nostra aspirazione di bontà, di verità, di bellezza e di amore è fondata nella trascendente realtà di Dio (6).
Nelle sue omelie e discorsi, e in special modo nelle celebrazioni liturgiche, Papa Benedetto XVI ha coerentemente seguito l’ordine delle priorità del Concilio e ha trasmesso a un pubblico mondiale il suo profondo assillo teologico espresso nei suoi molti scritti sull’argomento, che la sacra liturgia deve essere un riflesso della gloria di Dio. Ciò vale soprattutto per la celebrazione della Santa Messa nella quale si rinnova ogni volta in forma sacramentale il Mistero pasquale della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Celebrando l’Eucaristia, siamo immersi in comunione con il Signore che ci benedice col dono del suo amore – il dono di sé sotto le apparenze del pane e del vino.
La liturgia, insomma, conta. Conta non solo perché, anche da una prospettiva puramente empirica, la grande maggioranza dei cattolici praticanti incontra la Chiesa alla Messa domenicale, ma a un livello più profondo, il culto di Dio è “la fonte e il culmine di tutta la vita cristiana”, come afferma la Costituzione sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium. Nella liturgia, in particolare nel santo sacrificio dell’Eucaristia, “si compie l’opera della nostra redenzione”, come dichiara un’antica preghiera del Rito Romano della Messa. Inoltre, la liturgia manifesta al mondo “il Mistero di Cristo e la vera natura della Chiesa”.
La Bellezza di Cristo e la Bellezza della Liturgia
[…]
Il pontefice ha riflettuto sulla bellezza nella liturgia anche nell’Esortazione Apostolica post sinodale Sacramentum Caritatis del 2007, e il seguente paragrafo merita di essere citato per intero: “Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore. Già nella creazione Dio si lascia intravedere nella bellezza e nell’armonia del cosmo. Nell’Antico Testamento poi troviamo ampi segni del fulgore della potenza di Dio, che si manifesta con la sua gloria attraverso i prodigi operati in mezzo al popolo eletto. Nel Nuovo Testamento si compie definitivamente questa epifania di bellezza nella rivelazione di Dio in Gesù Cristo: Egli è la piena manifestazione della gloria divina. Nella glorificazione del Figlio risplende e si comunica la gloria del Padre. Tuttavia, questa bellezza non è una semplice armonia di forme; “il più bello tra i figli dell’uomo” è anche misteriosamente colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi”. Gesù Cristo ci mostra come la verità dell’amore sa trasfigurare anche l’oscuro mistero della morte nella luce irradiante della risurrezione. Qui il fulgore della gloria di Dio supera ogni bellezza intramondana. La vera bellezza è l’amore di Dio che si è definitivamente a noi rivelato nel Mistero pasquale” (14).
La bellezza della liturgia si manifesta concretamente attraverso oggetti materiali e gesti corporali, che l’uomo – unità di anima e corpo – deve innalzare verso le realtà di fede che trascendono il mondo visibile. Questo tema fu affrontato dal Concilio di Trento, nel quinto capitolo della Dottrina sul Sacrificio della Messa: “La natura umana è tale che non può facilmente elevarsi alla meditazione delle cose divine senza aiuti esterni: per questo la Chiesa come pia madre ha stabilito alcuni riti … similmente ha introdotto cerimonie, come le benedizioni mistiche, le luci, gli incensi, le vesti e molti altri elementi trasmessi dall’insegnamento e dalla tradizione apostolica, per rendere più evidente la maestà di un sacrificio così grande, e per indurre le menti dei fedeli, con questi segni visibili della religione e della pietà, alla contemplazione delle sublimi realtà nascoste in questo sacrificio” (15). Ciò significa che l’architettura sacra e l’arte sacra, comprese le sacre vesti, calici e simili, siano di una qualità tale da poter esprimere e comunicare la bellezza e la maestà della liturgia (16).
Papa Giovanni Paolo II, nella sua ultima enciclica Ecclesia de Eucharistia del 2003, ricorda il fondamento biblico della grande attenzione della Chiesa per la bellezza del culto divino: l’unzione di Gesù a Betania. “Una donna, identificata da Giovanni con Maria sorella di Lazzaro, versa sul capo di Gesù un vasetto di profumo prezioso, provocando nei discepoli – in particolare in Giuda – una reazione di protesta, come se tale gesto, in considerazione delle esigenze dei poveri, costituisse uno “spreco”intollerabile. Ma la valutazione di Gesù è ben diversa. Senza nulla togliere al dovere della carità verso gli indigenti, ai quali i discepoli si dovranno sempre dedicare – i “poveri li avrete sempre con voi” – Egli guarda all’evento imminente della sua morte e della sua sepoltura, e apprezza l’unzione che gli è stata praticata quale anticipazione di quell’onore di cui il suo corpo continuerà ad essere degno anche dopo la morte, indissolubilmente legato com’è al mistero della sua persona” (17).
Questo paragrafo illustra soprattutto che la cura per le chiese e per la liturgia è espressione di amore per Dio. Anche là dove la Chiesa non gode di grandi risorse materiali, tale cura deve essere una priorità. Mi piace ricordare su questo punto un grande papa del XVIII secolo, Benedetto XIV (1740 – 1758), il quale scrisse nella sua enciclica Annus Qui, dedicata alla musica sacra: “Non intendiamo, con queste parole, insistere su suppellettili sontuose o lussuose per gli edifici sacri, né su ricchi o costosi arredamenti. Sappiamo che ciò non è ovunque possibile. Ciò che desideriamo è il decoro e la pulizia. Esse possono andare di pari passo con la povertà e adeguarsi ad essa” (18).
[…]
Arte Sacra
Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, pubblicato nel 2005, fa uso anche di molti capolavori di arte sacra per presentare gli insegnamenti della fede cattolica. Joseph Ratzinger, da Cardinale, scrisse nella sua ‘Introduzione’ al Compendio, che poi approvò da Papa: “Dalla secolare tradizione conciliare apprendiamo che anche l’immagine è predicazione evangelica. Gli artisti di ogni tempo hanno offerto alla contemplazione e allo stupore dei fedeli i fatti salienti del mistero della salvezza, presentandoli nello splendore del colore e nella perfezione della bellezza. E’ un indizio questo, di come oggi più che mai, nella civiltà dell’immagine, l’immagine sacra possa esprimere molto di più della stessa parola, dal momento che è oltremodo efficace il suo dinamismo di comunicazione e di trasmissione del messaggio evangelico” (27).
Come qui si indica, i Padri della Chiesa, i concili ecumenici, specialmente il secondo Concilio di Nicea nel 787, i sinodi provinciali e diocesani, singoli vescovi hanno dedicato grande attenzione alle questioni di arte sacra, soprattutto l’uso delle immagini. Inoltre, come committenti di nuove chiese o di opere di arte sacra, papi e vescovi hanno dato precise istruzioni agli artisti. Per scegliere solo un esempio, il XVI secolo è stato non solo un periodo di stupenda creatività artistica, ma anche di intensa riflessione sulle belle arti. Tra i tanti impegnati in tale dialettica, ci furono numerosi eminenti ecclesiastici vicini a san Filippo Neri (1515 – 1595) e alla Congregazione dell’Oratorio, tra cui il grande vescovo riformatore san Carlo Borromeo (1538 – 1584).
Nel ventesimo secolo, due importanti documenti del Magistero ecclesiastico hanno dedicato intere sezioni all’arte sacra e alla sua connessione con la sacra liturgia. Il primo fu l’enciclica di Pio XII Mediator Dei del 1947, seguito dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II. Non sorprende di certo che quei documenti, trattando della liturgia nei suoi vari aspetti, accenni anche all’arte destinata al solenne culto della Chiesa.
La Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II dichiara nel capitolo VII su “L’Arte Sacra e la Sacra Suppellettile”: “Fra le più nobili attività dell’ingegno umano sono annoverate, a pieno diritto, le belle arti, soprattutto l’arte religiosa e il suo vertice, l’arte sacra. Esse, per loro natura, hanno relazione con l’infinita bellezza divina che deve essere in qualche modo espressa dalle opere dell’uomo, e sono tanto più orientate a Dio e all’incremento della sua lode e della sua gloria, in quanto nessun altro fine è stato loro assegnato se non quello di contribuire il più efficacemente possibile, con le loro opere, a indirizzare religiosamente le menti degli uomini a Dio” (28).
E’ significativo che questo paragrafo del Sacrosanctum Concilium introduca una distinzione tra “arte religiosa” e “arte sacra”. Si può dire che l’arte religiosa si caratterizza dall’approccio personale dell’artista a un tema religioso. A causa di tale elemento fortemente soggettivo, non sempre un’opera di arte religiosa è accessibile a chiunque. Al contrario, l’arte sacra nasce dall’interesse e dalla riflessione dell’artista su una verità storica o positiva di una determinata religione. Oltre al fattore soggettivo, sempre presente nella creazione dell’artista, l’arte sacra ha pure una qualità oggettiva che trascende le forme individuali di espressione e, per questo, in grado di essere apprezzata da chiunque sia familiare con il tema religioso (29).
La distinzione fra arte religiosa ed arte sacra non è soltanto una sfumatura. L’arte sacra tende ad una “traduzione” visibile della realtà che trascende i limiti dell’individualità umana. Ciò ha importanti conseguenze per le forme di espressione, come bene osserva Joseph Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, nel capitolo intitolato “La Questione delle Immagini” del suo libro di gran spessore “Lo spirito della Liturgia”: “Non può esserci pura arbitrarietà nell’arte sacra. Quelle forme d’arte che negano la presenza del Logos nella realtà e riducono l’uomo a ciò che appare ai sensi, sono incompatibili con la comprensione che la Chiesa ha dell’immagine. L’arte sacra mai proviene da un’isolata soggettività … La libertà artistica, che è pure necessaria nell’ambito più ristretto dell’arte sacra, non significa arbitrarietà … Senza fede, non esiste arte commisurabile alla liturgia” (30).
Non è un caso che le riflessioni dell’attuale pontefice sull’arte sacra, si trovino nella sua monografia sulla liturgia. L’arte sacra costituisce il “vertice” dell’arte religiosa (il testo latino usa il termine “culmen”), poiché è esplicitamente diretta alla lode e alla gloria di Dio. “L’arte religiosa” diventa “arte sacra” in virtù della sua destinazione al sacrum, che nel contesto cristiano non si intende in un senso vago o generico, ma riferito alla sacra liturgia. Per cui l’arte sacra si distingue per essere al servizio del solenne culto pubblico della Chiesa a Dio (31). Si può fare la seguente analogia per chiarire meglio: fra un’opera di arte religiosa e un’opera di arte sacra, c’è la stessa differenza che unisce e distingue una poesia che parla di Dio, e una preghiera.
L’arte sacra ha un’altra importante dimensione: essa è popolare perché può essere compresa da tutti i fedeli, toccando i loro cuori. Nella storia della Chiesa, l’arte sacra si rivolgeva anche agli analfabeti, era la “Bibbia del povero”. Di conseguenza, l’arte sacra non può mai essere il campo di un’autoproclamata élite o “avant-guarde”.
Papa Benedetto conclude il capitolo sulla “Questione delle Immagini” nel suo libro “Lo spirito della Liturgia”, tentando di individuare i principi fondamentali di un’arte ordinata al culto divino (33). “Non potendo qui discutere in maniera sistematica di tali principi, vorrei segnalare il primo, che pare essenziale: La completa assenza di immagini è incompatibile con la fede nell’incarnazione di Dio. Dio ha agito nella storia ed è entrato nel nostro mondo sensibile, per renderlo a Lui trasparente. Immagini di bellezza, che rappresentino il mistero dell’invisibile Dio che diventa visibile, sono parte essenziale del culto cristiano … L’iconoclastia non è un’opzione cristiana” (34). In altre parole, l’arte sacra nel contesto cristiano è, o comunque dovrebbe essere, figurativa. Ne consegue che bisognerebbe ridiscutere la presenza di arte astratta in tante chiese cattoliche costruite più di recente.
Oggi in occidente, c’è una crisi dell’arte sacra che è parte della crisi dell’arte in generale. In effetti, la crisi si estende ben aldilà dei confini dell’arte in ambito ecclesiale (35). Un rinnovamento dell’arte sacra nel mondo contemporaneo, dipende dal rinnovamento della sacra liturgia. Papa Benedetto ha fatto passi decisivi verso tale rinnovamento, e abbiamo ragione di sperare che i frutti del rinnovamento si avranno anche nell’arte sacra e nell’architettura.
Da Cardinale, Joseph Ratzinger ha scritto “dello sforzo – necessario in ogni generazione – per la retta comprensione e la degna celebrazione della sacra liturgia” (36); lo stesso vale per l’arte sacra e l’architettura. Ci ha ricordato anche che, all’inizio di tale sforzo, occorre rendersi conto che l’arte – come la liturgia – “non può venire ‘prodotta’, come se si ordinassero e producessero apparecchiature tecniche. E’ sempre un dono … Prima di tutto richiede il dono di una visione nuova. Per cui vale la pena compiere ogni sforzo per riconquistare una fede che vede” (37). Una “fede che vede” è cruciale anche per apprezzare l’immenso tesoro di bellezza che le precedenti generazioni ci hanno lasciato nelle loro stupende opere di arte sacra e architettura. Le grandi cattedrali e le chiese in tutto il mondo non sono solo monumenti culturali, sono testimonianze della fede cattolica. Papa Benedetto osserva nello “Spirito della Liturgia”: “La grande tradizione culturale della fede possiede un immenso potere. Ciò che nei musei è solo un monumento del passato, un’occasione di mera ammirazione nostalgica, nella liturgia invece si rende costantemente presente in tutta la sua novità” (38). […]
fr. Uwe Michael Lang
Liturgy Convention of the Archdiocese of Colombo - Sri Lanka - held at Aquinas University College, 01/09/2010.
link al testo originale in inglese
(traduzione di Don Giorgio Rizzieri)
OGGI E' LA SOLENNITA' DEL CORPUS DOMINI.
RispondiEliminaABBIAMO CANTATO:. NOI VOGLIAM DIO ...
MA, DOPO DIO, VOGLIAMO CHE SU QUESTO BLOG TORNI
IL PROF. DANTE PASTORELLI, LAICO E TEOLOGO
Mi associo alla richiesta di ospte delle 18,54
RispondiEliminaQuel pallone gonfiato? Meglio perderlo che trovarlo :-D :-D :-D
RispondiEliminaPallone gonfiato? Lo conosci così bene? Per questo blog pastorelli era una benedizione. Era tutt'altro che superficiale
RispondiEliminaSei un cattomodernista per definire così Pastorelli?
RispondiEliminaNon mi sembra educato parlare male dei fratelli assenti....... non ti pare Armando?
RispondiEliminaNon mi sembra educato parlare male dei fratelli assenti....... non ti pare Armando?
RispondiEliminaMi ricordo queste parole di Papa Benedetto XVI, pronunciate durante la sua omelia dei Vespri con i sacerdoti a Parigi :
RispondiElimina"La vostra cattedrale è un inno vivente di pietra e di luce a lode di questo atto unico della storia dell’umanità: la Parola eterna di Dio che entra nella storia degli uomini nella pienezza dei tempi per riscattarli mediante l’offerta di se stesso nel sacrificio della Croce. Le nostre liturgie della terra, interamente volte a celebrare questo atto unico della storia, non giungeranno mai ad esprimerne totalmente l’infinita densità. La bellezza dei riti non sarà certamente mai abbastanza ricercata, abbastanza curata, abbastanza elaborata, poiché nulla è troppo bello per Dio, che è la Bellezza infinita. Le nostre liturgie terrene non potranno essere che un pallido riflesso della liturgia, che si celebra nella Gerusalemme del cielo, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio sulla terra. Possano tuttavia le nostre celebrazioni avvicinarsi ad essa il più possibile e farla pregustare!
Effettivamente Dante Pastorelli manca, e molto, a questo blog, ma ho notato che non è il solo ad essersi allontanato.
RispondiEliminalasciamo che torni Dio e ci basta!
RispondiEliminaT'adoriamo Ostia divina!
RispondiEliminapreferisco nettamente Dio
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