Pubblichiamo di seguito alcuni brani di un commento di Massimo Introvigne al discorso di Sua Santità Benedetto XVI sul teologo Erik Petersen. Potrete trovare il commento completo qui sul sito del Cesnur, mentre l’intervento del Papa, qui.
Con la consueta attenzione agli anniversari, Benedetto XVI ha ricordato i cinquant’anni dalla morte, avvenuta il 26 ottobre 1960, del teologo tedesco Erik Peterson (1890-1960), senza mancare di notare che nel 2010 ricorrono pure «i 120 anni dalla nascita ad Amburgo di questo illustre teologo». Il discorso tenuto il 25 ottobre 2010 ai partecipanti al Simposio internazionale su Erik Peterson è molto denso. La stessa teologia di Peterson è complessa: «molte cose pensate e scritte da Peterson sono rimaste frammentarie – ricorda il Pontefice – a causa della situazione precaria della sua vita». Peterson, inoltre, è sempre stato poco popolare. Critico del liberalismo e uomo di destra, si separò da molti suoi compagni di strada conservatori tedeschi che aderirono o almeno vennero a patti con il nazional-socialismo, di cui fu e rimase sempre critico intransigente, scegliendo l’esilio personale e accademico a Roma. Qui, in condizioni economiche non facili, «ha abitato […] con la sua famiglia, per alcuni periodi a partire dal 1930 e poi vi si è stabilito dal 1933: prima sull’Aventino, vicino a Sant’Anselmo, e, successivamente, nei pressi del Vaticano, in una casa di fronte a Porta Sant’Anna».
Nello stesso tempo – come scrive uno specialista della sua dottrina politica, György Geréby – «non apparteneva alla critica di sinistra del nazismo», anzi «veniva dalla stessa direzione antiliberale»dei nemici più acerrimi di tale sinistra. Era cordialmente detestato dai protestanti per la sua conversione del 1930 al cattolicesimo. E spesso non era capito dai cattolici perché la sua teologia era troppo difficile – «alla fine l’oscurità di Peterson può essere dovuta solo alle conoscenze specialistiche necessarie per seguire la sua argomentazione» – e talora batteva strade inconsuete. In breve, come afferma Benedetto XVI, Peterson – le cui carte, tra l’altro, si trovano all’Università di Torino – era, «in modo particolare», «straniero». «Egli ha vissuto questo essere straniero del cristiano. Era divenuto straniero nella teologia evangelica ed è rimasto straniero anche nella teologia cattolica, come era allora».
Lo stesso Geréby afferma che «pochissimi teologi, tra cui Joseph Ratzinger, sono stati in grado di seguire le sue argomentazioni». Il Papa confida «una riflessione personale. Ho scoperto per la prima volta la figura di Erik Peterson nel 1951. Allora ero Cappellano a Bogenhausen e il direttore della locale casa editrice Kösel, il signor [Heinrich] Wild, mi diede il volume, appena pubblicato, «Theologische Traktate» (Trattati teologici). Lo lessi con curiosità crescente e mi lasciai davvero appassionare da questo libro». In seguito, l’attuale Pontefice ebbe modo di conoscere personalmente Peterson e di rimanere vicino alla sua famiglia dopo la morte del teologo nel 1960. Nel discorso del 25 ottobre afferma che «è per me una gioia particolare poter salutare la famiglia Peterson presente tra noi, le stimate figlie e il figlio con le rispettive famiglie. Nel 1990, insieme con il Cardinale Lehmann, ho potuto consegnare a Vostra madre, nel vostro comune appartamento, in occasione del suo 80° compleanno, un autografo con l’immagine di Papa Giovanni Paolo II».
Nello stesso tempo – come scrive uno specialista della sua dottrina politica, György Geréby – «non apparteneva alla critica di sinistra del nazismo», anzi «veniva dalla stessa direzione antiliberale»dei nemici più acerrimi di tale sinistra. Era cordialmente detestato dai protestanti per la sua conversione del 1930 al cattolicesimo. E spesso non era capito dai cattolici perché la sua teologia era troppo difficile – «alla fine l’oscurità di Peterson può essere dovuta solo alle conoscenze specialistiche necessarie per seguire la sua argomentazione» – e talora batteva strade inconsuete. In breve, come afferma Benedetto XVI, Peterson – le cui carte, tra l’altro, si trovano all’Università di Torino – era, «in modo particolare», «straniero». «Egli ha vissuto questo essere straniero del cristiano. Era divenuto straniero nella teologia evangelica ed è rimasto straniero anche nella teologia cattolica, come era allora».
Lo stesso Geréby afferma che «pochissimi teologi, tra cui Joseph Ratzinger, sono stati in grado di seguire le sue argomentazioni». Il Papa confida «una riflessione personale. Ho scoperto per la prima volta la figura di Erik Peterson nel 1951. Allora ero Cappellano a Bogenhausen e il direttore della locale casa editrice Kösel, il signor [Heinrich] Wild, mi diede il volume, appena pubblicato, «Theologische Traktate» (Trattati teologici). Lo lessi con curiosità crescente e mi lasciai davvero appassionare da questo libro». In seguito, l’attuale Pontefice ebbe modo di conoscere personalmente Peterson e di rimanere vicino alla sua famiglia dopo la morte del teologo nel 1960. Nel discorso del 25 ottobre afferma che «è per me una gioia particolare poter salutare la famiglia Peterson presente tra noi, le stimate figlie e il figlio con le rispettive famiglie. Nel 1990, insieme con il Cardinale Lehmann, ho potuto consegnare a Vostra madre, nel vostro comune appartamento, in occasione del suo 80° compleanno, un autografo con l’immagine di Papa Giovanni Paolo II».
[…] Per questa conversione, come il beato cardinale John Henry Newman (1801-1890), pure carissimo a Benedetto XVI, Peterson ha pagato un prezzo molto alto. «Egli è passato dalla sicurezza di una cattedra all’incertezza, senza dimora, ed è rimasto per tutta la vita privo di una base sicura e senza una patria certa, veramente in cammino con la fede e per la fede, nella fiducia che in questo essere in cammino senza dimora era a casa in un altro modo e si avvicinava sempre più alla liturgia celeste, che lo aveva toccato».
Sì, la liturgia. Nella controversia con Schmitt, Peterson afferma sulla base delle sue ricerche storiche che l’antica liturgia della Chiesa è la viva e quotidiana affermazione pubblica dell’assoluta sovranità del Dio trinitario, contro ogni pretesa assolutistica del potere umano. E nello stesso tempo asserisce che le verità della fede e le promesse escatologiche «si dispiegano continuamente nella liturgia quale spazio vissuto della Chiesa per la lode di Dio. L’Ufficio divino celebrato sulla terra si trova, quindi, in una relazione indissolubile con la Gerusalemme celeste: là è offerto a Dio e all’Agnello il vero ed eterno sacrifico di lode, di cui la celebrazione terrena è solamente immagine. Chi partecipa alla Santa Messa si ferma quasi alla soglia della sfera celeste, dalla quale contempla il culto che si compie tra gli Angeli e i Santi. In qualsiasi luogo in cui la Chiesa terrestre intona la sua lode eucaristica, essa si unisce a questa festosa assemblea celeste, nella quale, nei Santi, è già arrivata una parte di se stessa, e dà speranza a quanti sono ancora in cammino su questa terra verso il compimento eterno.
Queste considerazioni di Benedetto XVI sul rapporto tra Peterson e la liturgia non ci portano in realtà lontani dalla sua critica della «teologia politica». La liturgia, ricordandoci continuamente che la verità e la perfezione dell’esistenza umana si trovano soltanto nel compimento escatologico, che la celebrazione liturgica terrena prefigura fermandosi però sulla sua «soglia», ribadisce ancora una volta – contro le ideologie totalitarie – che la Gerusalemme celeste non si trova nella storia umana ma solo oltre la storia. Da Peterson, dopo gli orrori delle ideologie, possiamo dunque «imparare tutto il dramma, il realismo e l’esigenza esistenziale e umana della teologia».
In vita, Peterson secondo Benedetto XVI, «non ha ricevuto il riconoscimento che avrebbe meritato»; forse, «sarebbe stato, in qualche modo, troppo presto». Ragione di più per studiarlo oggi. «Auspico – ha concluso il Pontefice – che […] sia diffuso ulteriormente il pensiero di Peterson, che non si ferma nei dettagli, ma che ha sempre una visione dell’insieme della teologia».
"Critico del liberalismo e uomo di destra, si separò da molti suoi compagni di strada conservatori tedeschi che aderirono o almeno vennero a patti con il nazional-socialismo, di cui fu e rimase sempre critico intransigente, scegliendo l’esilio personale e accademico ..."<span>Bravissimo. Invece i crittici del liberalismo e uomiini di destra e conservatori aderiscono o vengono a patti con il NeoCapitalismo mediatico italiano (beunga compreso) e il Nuovo Ordine Mondiale Neocapitalistico finanziario e predatore nordamericano, con le sue crociate e i suoi scontri di civiltà ...</span>
RispondiElimina<span>"Critico del liberalismo e uomo di destra, si separò da molti suoi compagni di strada conservatori tedeschi che aderirono o almeno vennero a patti con il nazional-socialismo, di cui fu e rimase sempre critico intransigente, scegliendo l’esilio personale e accademico ..."</span>
RispondiElimina<span><span>Bravissimo. Invece i crittici del liberalismo e uomiini di destra e conservatori aderiscono o vengono a patti con il NeoCapitalismo mediatico italiano (beunga compreso) e il Nuovo Ordine Mondiale Neocapitalistico finanziario e predatore nordamericano, con le sue crociate e i suoi scontri di civiltà ...</span></span>
E poi no si ricordano più che la liturgia è contro il potere, secolare y ecclesiastico.
RispondiEliminaInopportuno, non fare di tutta l'erba un fascio. Ci saranno pure tradizionalisti neocon e turbocapitalisti ma ce ne sono ben di più che tali posizioni non condividono affatto (leggi "Spaghetticons" di Luigi Copertino).
RispondiEliminaBenedetto XVI farebbe bene a leggere san Tommaso che questa gente voltagabbana e iniqua
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