E' apparso ieri sulla Stampa questo articolo di G. Galeazzi, che a nostro giudizio, è almeno in parte inattendibile, poiché confonde principi essenziali del diritto civile (a cominciare dalla terminologia: 'prediale' significa inerente i terreni, o fondi rustici, e non i beni personali del prete; al più si potrebbe riesumere il concetto feudale di 'beni allodiali'). Il fatto che i figli naturali di un prete abbiano diritti successori sui beni privati dello stesso è ovvio ed evidente, e soprattuto del tutto indipendente dal fatto che quella filiazione sia regolare o meno per il diritto della Chiesa: sicché una riforma non si giustificherebbe affatto sulla base di questo argomento. Soprattutto, non si capisce che cosa c'entri il riferimento alle cause risarcitorie intentate per pedofilia: in quelle si accusava l'istituzione Chiesa di non aver evitato, o avere coperto, il contegno criminoso di alcuni suoi membri (donde l'obbligazione risarcitoria); ma nulla di simile potrebbe avvenire in caso di paternità da parte di un sacerdote. Nondimeno, qualcosa di vero può esservi, circa ipotesi allo studio di allentamento dell'obbligo del celibato, specie se si considera che il card. Hummes, Prefetto della Congregazione per il Clero, non ha fatto mistero in passato di essere favorevole ad una revisione (leggi: abolizione) dell'attuale disciplina. Cose che posson succedere, se si metton le faine a guardia del pollaio...
C’è un problema che preoccupa il Vaticano e che rischia di moltiplicare cause milionarie come accaduto, soprattutto negli Stati Uniti, per gli abusi sessuali del clero. E’ il fenomeno, molto diffuso in Sud America ma anche in Paesi europei come l’Austria dove si registrano decine di parroci apertamente concubini, che riguarda i figli dei sacerdoti. Rispetto al passato, oggi con i riconoscimenti di paternità attraverso il Dna tutto ciò rischia di tradursi in una valanga di procedimenti giudiziari per l’inserimento della prole nell’asse ereditario dei preti-papà. La Santa Sede, perciò, sta valutando la situazione e approntando possibili contromosse legali.
Secondo quanto appreso da «La Stampa», nelle scorse settimane in Vaticano, su impulso della congregazione per il Clero retta dal cardinale brasiliano Claudio Hummes, si sono svolte alcune riunioni per studiare la complessa questione e sono stati ascoltati anche alcuni pareri esterni, come quello di Giovanni Franzoni, padre conciliare, ex abate benedettino della basilica romana di San Paolo e da anni leader delle comunità di base. La soluzione sulla quale si sta ragionando in Curia prevede una sorta di «sanatoria» sul tipo di quella utilizzata per consentire negli ultimi anni ai pastori anglicani contrari all’ordinazione sacerdotale delle donne di entrare nella Chiesa cattolica conservando al tempo stesso il loro legame coniugale e il ministero ecclesiastico. «I pastori anglicani e alcuni luterani sono stati ammessi e consacrati preti da Roma al ministero anche se erano sposati e conservando la vita coniugale con le rispettive mogli», spiega Franzoni. Per i preti concubini o con prole (realtà diffusissima soprattutto nei Paesi in via di sviluppo) si sta pensando a una forma di garanzia dei diritti sociali della moglie e dei figli, cioè una sorta di contratto civile che non li escluda più dall’eredità.
In questo modo alla prole legittima andrebbe il nome del sacerdote-papà, il quale, a sua volta, continuerebbe a esercitare il suo ministero. Al tempo stesso, però, viene stabilita una netta separazione giuridica tra i beni del beneficio ecclesiastico del prete con prole (che, dopo la sua morte, rimarranno alla Chiesa) e i suoi beni prediali, cioè le proprietà e i guadagni personali, come per esempio lo stipendio da insegnante, sul modello di ciò che avveniva in passato nei ricchi casati quando un erede decideva di prendere i voti e si voleva tutelare il patrimonio nobiliare.
In pratica, con la «sanatoria» allo studio in Vaticano a entrare nell’asse ereditario dei figli dei preti (e in alcuni Paesi ci sono anche vescovi con prole) saranno soltanto i beni prediali e non quelli di proprietà della diocesi o della comunità ecclesiastica come tale. «E’ opportuno questo chiarimento tra proprietà ecclesiastiche e personali. Servirà a evitare l’equivoco che negli Usa ha causato tanti disastri nelle cause per abusi sessuali dei sacerdoti - osserva Gianni Gennari, teologo e prete sposato con dispensa “pro gratia” del Pontefice attraverso la mediazione del cardinale Ratzinger -. E’ ingiusto che le diocesi debbano rispondere con il loro patrimonio delle infedeltà e meschinità del loro clero, perciò serve distinguere i beni della parrocchia da quelli di preti che non si sono assunti le loro responsabilità davanti agli uomini, alla Chiesa, a Dio e soprattutto alle donne che hanno illecitamente coinvolto nella loro infedeltà».
Giusto, aggiunge Gennari, «riconoscere e tutelare i diritti delle donne e dei figli nati da rapporti illegittimi», ma a ciò andrebbe aggiunta «la possibilità per il vescovo o la Santa Sede, in virtù del carattere indelebile del presbiterato, di ammettere a una forma di ministero ecclesiastico i preti dispensati che abbiano dato prova di maturità umana e cristiana nella comunità». I preti sposati di rito orientale sono alcune migliaia, ma per i preti di rito latino ciò resta un tabù.
© Copyright La Stampa, 2 agosto 2009, via Papa Ratzinger blog
Secondo quanto appreso da «La Stampa», nelle scorse settimane in Vaticano, su impulso della congregazione per il Clero retta dal cardinale brasiliano Claudio Hummes, si sono svolte alcune riunioni per studiare la complessa questione e sono stati ascoltati anche alcuni pareri esterni, come quello di Giovanni Franzoni, padre conciliare, ex abate benedettino della basilica romana di San Paolo e da anni leader delle comunità di base. La soluzione sulla quale si sta ragionando in Curia prevede una sorta di «sanatoria» sul tipo di quella utilizzata per consentire negli ultimi anni ai pastori anglicani contrari all’ordinazione sacerdotale delle donne di entrare nella Chiesa cattolica conservando al tempo stesso il loro legame coniugale e il ministero ecclesiastico. «I pastori anglicani e alcuni luterani sono stati ammessi e consacrati preti da Roma al ministero anche se erano sposati e conservando la vita coniugale con le rispettive mogli», spiega Franzoni. Per i preti concubini o con prole (realtà diffusissima soprattutto nei Paesi in via di sviluppo) si sta pensando a una forma di garanzia dei diritti sociali della moglie e dei figli, cioè una sorta di contratto civile che non li escluda più dall’eredità.
In questo modo alla prole legittima andrebbe il nome del sacerdote-papà, il quale, a sua volta, continuerebbe a esercitare il suo ministero. Al tempo stesso, però, viene stabilita una netta separazione giuridica tra i beni del beneficio ecclesiastico del prete con prole (che, dopo la sua morte, rimarranno alla Chiesa) e i suoi beni prediali, cioè le proprietà e i guadagni personali, come per esempio lo stipendio da insegnante, sul modello di ciò che avveniva in passato nei ricchi casati quando un erede decideva di prendere i voti e si voleva tutelare il patrimonio nobiliare.
In pratica, con la «sanatoria» allo studio in Vaticano a entrare nell’asse ereditario dei figli dei preti (e in alcuni Paesi ci sono anche vescovi con prole) saranno soltanto i beni prediali e non quelli di proprietà della diocesi o della comunità ecclesiastica come tale. «E’ opportuno questo chiarimento tra proprietà ecclesiastiche e personali. Servirà a evitare l’equivoco che negli Usa ha causato tanti disastri nelle cause per abusi sessuali dei sacerdoti - osserva Gianni Gennari, teologo e prete sposato con dispensa “pro gratia” del Pontefice attraverso la mediazione del cardinale Ratzinger -. E’ ingiusto che le diocesi debbano rispondere con il loro patrimonio delle infedeltà e meschinità del loro clero, perciò serve distinguere i beni della parrocchia da quelli di preti che non si sono assunti le loro responsabilità davanti agli uomini, alla Chiesa, a Dio e soprattutto alle donne che hanno illecitamente coinvolto nella loro infedeltà».
Giusto, aggiunge Gennari, «riconoscere e tutelare i diritti delle donne e dei figli nati da rapporti illegittimi», ma a ciò andrebbe aggiunta «la possibilità per il vescovo o la Santa Sede, in virtù del carattere indelebile del presbiterato, di ammettere a una forma di ministero ecclesiastico i preti dispensati che abbiano dato prova di maturità umana e cristiana nella comunità». I preti sposati di rito orientale sono alcune migliaia, ma per i preti di rito latino ciò resta un tabù.
© Copyright La Stampa, 2 agosto 2009, via Papa Ratzinger blog
AGGIORNAMENTO: Padre Lombardi, portavoce della Santa Sede, con una dichiarazione che egli stesso ha definito 'orale', ha smentito oggi 3 agosto 2009 la veridicità di quanto pubblicato da Giacomo Galeazzi su La Stampa e sopra riportato, in merito allo studio da parte delle congregazioni vaticane di ipotesi di 'sanatoria' delle situazioni in contrasto con l'obbligo del celibato ecclesiastico.
quindi se un impiegato del ministero delle finanze ha una relazione irregolare dalla quale nascono dei figli, concubina e figli potranno chiedere di partecipare alla divisione del patrimonio dello stato?
RispondiElimina!!!
Allocco
mi sembra il cavallo di Troia per cominciare a demolire il celibato nella Chiesa.
RispondiEliminaLe ragioni sono pretestuose e gli interventi della Chiesa dovrebbero limitarsi a ridurre allo stato laicale i preti che coltivano il concubinato
Chissà cosa ne penserà il concubino di Linz che fece outing!
RispondiEliminaAntonello
Siamo veramente arrivati al limite della sopportazione!. Se passa una riforma del genere, tra un pò di tempo, si chiederà l'abolizione del celibato per i sacerdoti. Per i sacerdoti che hanno figli, l'unica soluzione, è la riduzione allo stato laicale, non ci possono essere scorciatoie. Purtroppo, vediamo come la crisi della Chiesa è ormai inarrestabile, niente e nessuno, sembra riuscire a fermare questa valanga che la stà travolgendo, possiamo soltanto pregare, che il Signore, venga presto in aiuto alla sua Chiesa.
RispondiEliminaposto che anch'io sono a favore del mantenimento della disciplina del celibato, il fatto che per l'appunto sia "disciplina" e non "dogma" non esclude che, in un futuro più o meno prossimo, essa possa essere rivista, senza per questo essere bollati come eretici. A meno che non si voglia affermare che i nostri fratelli Uniati, che tanto hanno sofferto per mantenere viva la fede cattolica, pagando spesso con la vita, siano cattolici degeneri in quanto non obbligatoriamente tenuti al celibato.
RispondiEliminaPremetto che per me il celibato resta, come da tutti i pontefici ricordato ed esaltato, il culmine della dedizione alla causa di Dio.
RispondiEliminaQuindi, netto no al sacerdozio privo del bene spirituale del celibato.
Io farei, però, una distinzione. Ci son sacerdoti che, per debolezza, han ceduto alla corporeità ed han chiesto umilmente alla Chiesa le debite dispense ed han formato una famiglia cristiana.
Ce ne sono altri che han vissuto e vivono in concubinato e continuano ad esercitar sacrilegamente il loro ministero o che delle loro colpe han fatto bandiera ideologica svolazzante ed urlante per scardinar la Chiesa e le sue leggi.
Per i secondi non ci possono esser sanatorie, con buona pace di Hummes e Franzoni.
Tra i primi si potrebbero sceglier oculatamente viri probati da reintegrar come diaconi permanenti, accoliti, ministri straordinari della S. Comunione, a seconda della loro "vocazione".
Non è una soluzione facile, lo so bene, ma sempre meglio che ver una pletora di diaconi, accoliti e ministri della S. Comunione più o meno improvvisati.
Mi sembra strana questa cosa... ma sono solo voci o è un'ipotesi seria???
RispondiEliminaLa proposta di Dante Pastorelli mi parrebbe sensata.
Ma, ahimè, le proposte sensate di solito non le ascolta nessuno. Vedremo che succede; mi stupirebbe molto questo "cedimento " sotto il pontificato di Benedetto XVI.
Mah...
Non ci puo' essere alcun compromesso sulla disciplina del celibato, ormai inscindibile dall'identita' del sacerdozio cattolico.
RispondiEliminaSimul stabunt simul cadent.
FdS
Ogni attacco al sacro celibato mi puzza tanto di diavolo.
RispondiEliminaCerto non è un dogma di fede, ma eliminando questa tradizione saggia di secoli sarà data un'altra mortale mazzata al sacerdozio cattolico e alla Chiesa cattolica... Signore risparmiaci da questa sciagura...
Signore aiuta la tua chiesa assediata dai lupi.
don Bernardo
Io non credo ai "rumors". Spesso si rivelano infondati.
RispondiEliminanon è un argomento che va messo sul tavolo
RispondiEliminachi vive in concubinato , chi ne ha figli , attacca al chiodo la tonaca , senza si e senza ma .....
chi non si sente di fare , di ESSERE SACERDOTE e quindi di vivere in celibato , cambi mestiere , ma chi lo obbliga !!!!!!!!!!!!!!!
trovi un altro mestiere , sempre che non abbia paura di farsi venire i calli alle mani ....... , allora è un altro discorso !!!!
guardate che l' appetito vien mangiando
non ci basta avere sotto gli occhi un concilio iniziato '' bene ,, e finito male !!!
Se non ricordo male l'istituzione del celibato ecclesiastico avvenne anche per evitare la trasmissione ereditaria di beni, cariche e dignità nel clero.
RispondiElimina"Vatican denies studying new rules for priests who father kids"
RispondiEliminaBy JOHN L. ALLEN JR.
http://ncronline.org/blogs/ncr-today/vatican-denies-studying-new-rules-priests-who-father-kids
Angel
L'articolo in questione, sotto il profilo giuridico (come bene ha commentato la Redazione), non sta letteralmente in piedi.
RispondiEliminaIl fatto che i beni personali del sacerdote defunto possano andare in successione ai suoi figli naturali, allo stato attuale della legislazione italiana, è già una realtà; le eventuali "cause miliardiarie" paventate dall'articolo saranno, semmai, un problema specifico degli eredi civili del sacerdote defunto e non certo della Chiesa, salvo il caso (che, a quanto mi consta, è divenuto oramai abbastanza raro) in cui il defunto non istituisca erede la propria Diocesi od altra istituzione religiosa.
In ogni caso, in genere, non si tratta quasi mai di grossi patrimoni, per cui, dubito assai che all'eventuale figlio naturale economicamente convenga l'instaurazione di una causa in materia successoria (che, non essendo considerata urgente,nel migliore dei casi, giunge mediamente ad una definizione in non meno di una trentina d'anni, fra l'altro con costi direttamente proporzionali alla lunghezza).
Posto, infine, che, oltrettutto, la distinzione fra i beni che si trovano nel semplice possesso del sacerdote "ratione muneris sui" e quelli, invece, di sua effettiva proprietà appare molto netta, del tutto mi sfugge il senso giuridico eventualmente rivestito dall'articolo in questione.
Se posso esprimere un parere personale, la falsa prospettazione di gravi problematiche che, nella realtà, praticamente non esistono, altro non costituisce se non un maldestro tentativo, per volgere la pubblica opinione ad esecrare la (a parere dell'articolista) "inadeguatezza etica" della disciplina di una Chiesa che non si vuole adeguare alla modernità, rispetto al "superiore umanesimo laico" acquisito dall'uomo contemporaneo (che tristezza! Sembra quasi di leggere "Umanesimo integrale" di Maritain o, ancor meglio, qualche saggio di Mounier sull' "Esprit"!).
Insomma, un tentativo davvero squallido, sostenuto, per l'appunto, da motivazioni così squallidamente tralatizie, da lasciar basito, non dico uno studente dei primi anni di giurisprudenza, ma addirittura un ragioniere del post '68. Patetico, poi, l'uso fantasioso dell'aggettivo "prediale" (a meno che non esista una consuetudine - che io non conosco - che obblighi il sacerdote ad investire i propri risparmi in terreni - o "praedia" - rustici od urbani) per tentare di rivestire di una patina di scientificità un discorso a livello da osteria (e mi perdonino gli osti, che, in genere, sono persone serie).
E questi sarebbero i vaticanisti? Mah ...