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martedì 9 giugno 2009

Il Papa ribadisce l'ermeneutica della continuità


Il 26 maggio scorso il S. Padre ha aperto – nella Basilica di San Giovanni in Laterano - il Convegno Ecclesiale della Diocesi di Roma. Il questo magistrale discorso Benedetto XVI ha ribadito che il Concilio Vaticano II - nella lettera e nello spirito – non ha mai voluto una rottura, un’altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità. Ha inoltre invitato a celebrazioni liturgiche belle e curate. Per leggere l’intero intervento cliccate qui

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Il Concilio Vaticano II, volendo trasmettere pura e integra la dottrina sulla Chiesa maturata nel corso di duemila anni, ha dato di essa "una più meditata definizione", illustrandone anzitutto la natura misterica, cioè di "realtà imbevuta di divina presenza, e perciò sempre capace di nuove e più profonde esplorazioni" (Paolo VI, Discorso di apertura della seconda sessione, 29 settembre 1963). Orbene, la Chiesa, che ha origine nel Dio trinitario, è un mistero di comunione. In quanto comunione, la Chiesa non è una realtà soltanto spirituale, ma vive nella storia, per così dire, in carne e ossa. Il Concilio Vaticano II la descrive "come un sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano". (Lumen gentium, 1). E l'essenza del sacramento è proprio che si tocca nel visibile l’invisibile, che il visibile toccabile apre la porta a Dio stesso. La Chiesa, abbiamo detto, è una comunione, una comunione di persone che, per l'azione dello Spirito Santo, formano il Popolo di Dio, che è al tempo stesso il Corpo di Cristo. Riflettiamo un po' su queste due parole-chiave. Il concetto "Popolo di Dio" è nato e si è sviluppato nell'Antico Testamento: per entrare nella realtà della storia umana, Dio ha eletto un popolo determinato, il popolo di Israele, perché sia il suo popolo.
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All'indomani del Concilio questa dottrina ecclesiologica ha trovato vasta accoglienza, e grazie a Dio tanti buoni frutti sono maturati nella comunità cristiana. Dobbiamo però anche ricordare che la recezione di questa dottrina nella prassi e la conseguente assimilazione nel tessuto della coscienza ecclesiale, non sono avvenute sempre e dovunque senza difficoltà e secondo una giusta interpretazione. Come ho avuto modo di chiarire nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre del 2005, una corrente interpretativa, appellandosi ad un presunto "spirito del Concilio", ha inteso stabilire una discontinuità e addirittura una contrapposizione tra la Chiesa prima e la Chiesa dopo il Concilio, travalicando a volte gli stessi confini oggettivamente esistenti tra il ministero gerarchico e le responsabilità dei laici nella Chiesa. La nozione di "Popolo di Dio", in particolare, venne da alcuni interpretata secondo una visione puramente sociologica, con un taglio quasi esclusivamente orizzontale, che escludeva il riferimento verticale a Dio. Posizione, questa, in aperto contrasto con la parola e con lo spirito del Concilio, il quale non ha voluto una rottura, un'altra Chiesa, ma un vero e profondo rinnovamento, nella continuità dell'unico soggetto Chiesa, che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre identico, unico soggetto del Popolo di Dio in pellegrinaggio.
In secondo luogo, va riconosciuto che il risveglio di energie spirituali e pastorali nel corso di questi anni non ha prodotto sempre l'incremento e lo sviluppo desiderati. Si deve in effetti registrare in talune comunità ecclesiali che, ad un periodo di fervore e di iniziativa, è succeduto un tempo di affievolimento dell'impegno, una situazione di stanchezza, talvolta quasi di stallo, anche di resistenza e di contraddizione tra la dottrina conciliare e diversi concetti formulati in nome del Concilio ma in realtà opposti al suo spirito e alla sua lettera.
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La comunione e l'unità della Chiesa, che nascono dall'Eucaristia, sono una realtà di cui dobbiamo avere sempre maggiore consapevolezza, anche nel nostro ricevere la santa comunione, sempre più essere consapevoli che entriamo in unità con Cristo e così diventiamo noi, tra di noi, una cosa sola. Dobbiamo sempre nuovamente imparare a custodire e difendere questa unità da rivalità, da contese e gelosie che possono nascere nelle e tra le comunità ecclesiali. In particolare, vorrei chiedere ai movimenti e alle comunità sorti dopo il Vaticano II, che anche all'interno della nostra Diocesi sono un dono prezioso di cui dobbiamo sempre ringraziare il Signore, vorrei chiedere a questi movimenti, che ripeto sono un dono, di curare sempre che i loro itinerari formativi conducano i membri a maturare un vero senso di appartenenza alla comunità parrocchiale. Centro della vita della parrocchia, come ho detto, è l'Eucaristia, e particolarmente la Celebrazione domenicale. Se l'unità della Chiesa nasce dall'incontro con il Signore, non è secondario allora che l'adorazione e la celebrazione dell'Eucaristia siano molto curate, dando modo a chi vi partecipa di sperimentare la bellezza del mistero di Cristo. Dato che la bellezza della liturgia "non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell'amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce" (Sacramentum caritatis n. 35), è importante che la Celebrazione eucaristica manifesti, comunichi, attraverso i segni sacramentali, la vita divina e riveli agli uomini e alle donne di questa città il vero volto della Chiesa.
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6 commenti:

  1. Con tutto il rispetto per il Santo Padre, ma temo proprio che lo spirito degli scismatici stia lavorando per strumentalizzare le sue parole, creando la giustificazione per continuare a pensare quello che hanno sempre pensato: che il Concilio non ci doveva essere. Non ci serve parlare di continuità, ma essere continuamente alla scuola del Concilio e di chi ha speso la sua vita per farlo fruttificare.

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  2. Sono d'accordo con te; vado a rinfrescarmi le idee con quel capolavoro che è VERA E FALSA RIFORMA DELLA CHIESA del padre Congar. Spero che lo leggano tutti da queste parti.

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  3. Non ho capito in che senso la struttura della 4 preghiere eucaristiche è sbagliata. Don Alessio, sarebbecosì gentile da spiegare?

    Voglio dire la mia sul tema. Non mi intendo di questioni canonistiche; mi accontento di sapere che i seguaci della Pio X sono andati fuori strada e ora, forse, vogliono tornare in carreggiata; giusto così, perchè sulla strada si cammina meglio.
    Ma il fatto che siano sulla strada di ritornare nella strada giusta - scusate il bisticcio di parole - non significa che siano diventati ingegneri stradali e che siano loro a dire come si fa la strada.
    Un po' di purgatorio, con tutte le nostre preghiere di indulgenza, lo dovrebbero fare senza lamentarsi.

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  4. Bongar bongar sdare bene solo in Congar?

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  5. Anch'io, che sono nato nell'anno in cui fu indetto il Vaticano II (per cui non sono ancora un pezzo da mettere in museo), mi sono chiesto se era proprio necessario convocare quel tipo di Concilio. Non sarebbe stato meglio riprendere il Vaticano I nel punto dove era stato interrotto e cioè dopo aver scritto del Papa si fosse scritto della natura del collegio episcopale? Alessandro

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  6. Troppo logico, Ale.
    Ma il concilio sarebbe andato ugualmente per altra strada, perché i novatori, soprattutto del "Reno", avevan già preparato i loro piani.
    Si dice che Giov. XXIII, dinnanzi alle fughe in avanti e indietro (ripresa di dottrine condannate) avrebbe manifestato l'intenzione di chiuder quelle assise alla svelta. Vero o falso che sia, è da ricordare che quel papa accettò la bocciatura dei documenti già predisposti e da lui approvati e la stesura di nuovi. Con quali effetti abbiam visto.

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La Redazione