di don Gianni Baget Bozzo
L’ incidente che ha turbato i rapporti tra Santa Sede e comunità ebraica è stato chiuso con l’annuncio del viaggio di papa Benedetto in Israele e in Giordania, confermato dal primo ministro Olmert. Ma si è ancora posto il problema se veramente il piccolo gruppo di Ecône e la ricomposizione dello scisma lefebvriano valessero un incidente di così ampio rilievo, tale da coinvolgere anche l’opinione del cancelliere tedesco Angela Merkel. Eppure il Papa ha riaffermato l’intenzione di continuare i rapporti con la comunità lefebvriana dopo che il suo superiore, Bernard Fellay, ha confermato l’adesione alla condanna del negazionismo.
Non è certo la dimensione del gruppo di Ecône a porre il problema; lo è invece la tesi, ricorrente nel mondo cattolico e fuori di esso, secondo cui il Vaticano II ha costituito una rottura tra Chiesa pre-conciliare e post-conciliare, abbracciando talmente la modernità da divenire il contrario della Chiesa di Pio IX e di Pio X. Infatti negli anni di Paolo VI, durante il Concilio e subito dopo, l’ingresso della teologia nella pubblicistica comune e il dibattito su tutti i temi aperti nel mondo cattolico aveva dato l’impressione che la rottura non fosse consistita in un arricchimento del linguaggio, ma nella sua alterazione. Quindi il problema posto dal vescovo Lefebvre andava ben oltre i termini dello scisma reale, che egli aveva preparato e poi consumato. L’azione dei papi, da Paolo VI a Benedetto XVI, è stata tutta rivolta a mostrare che gli sviluppi avvenuti col Concilio erano in continuità con l’implicito della tradizione cattolica e si fondavano su posizioni antiche. In particolare, si può prendere come esempio proprio l’antigiudaismo, che poté essere usato dall’antisemitismo dell’800 come un suo supporto, ma che rimase fermo nella convinzione del valore di Israele e della sua appartenenza morale e spirituale al mondo della salvezza, sino alla fine della storia. Il carisma di Ratzinger, anche da cardinale, fu quello di unire la continuità nella tradizione con la riforma della Chiesa attuata dal Concilio.
Ma questa posizione espressa da Papa all’inizio del pontificato chiedeva di essere testimoniata con l’apertura verso la comunità che aveva creato uno scisma e che aveva rifiutato l’autorità papale? La comunità di Ecône si era indurita nella sua separazione, le sue posizioni pre-conciliari erano diventate anti-conciliari, lo scisma era divenuto la realtà della sua identità?
Papa Benedetto non ha seguito questo giudizio, ha praticato verso Ecône le medesime aperture che il Concilio aveva stabilito verso le Chiese ortodosse e le comunità protestanti, cercando motivi di convergenza. Il fatto che i lefebvriani accettassero sempre formalmente l’autorità papale e il primato petrino era una strada per ottenere la possibilità del superamento dello scisma. Ciò avrebbe provato che il sentimento cattolico di continuità nella tradizione era più forte dell’attaccamento a dimensioni che la storia aveva posto in altra luce col passare del tempo. Era stato un dramma della coscienza cattolica accettare la grande variazione conciliare e post-conciliare; ogni fedele aveva dovuto affrontare il problema dell’identità della sua fede. Risolvere lo scisma significa riconoscere lo sforzo fatto da milioni di fedeli per ritrovare nel linguaggio che i teologi formulavano l’identità del significato dottrinale e spirituale oggetto della loro fede. La Chiesa è tesa a mantenere l’unità della fede non solo nello spazio, ma anche nel tempo. In questo la fatica del post-Concilio ha riequilibrato la figura della Chiesa. La speranza conciliare e post-conciliare di un mondo riappacificato con la modernità non si è realizzata nella forma auspicata dai teologi, perché l’avvento della scienza e della tecnica ha posto l’uomo di fronte a problemi assai diversi dalla questione sociale che il comunismo aveva posto al Concilio. La sfida del tempo unisce la Chiesa e le permette di chiudere le ferite antiche, di fronte a un laicismo totale e all’islam traboccante nella sua coscienza religiosa.
Come forma di linguaggio, sia quello pre-conciliare che quello post-conciliare chiedono un aggiornamento nuovo. Papa Benedetto ne fornisce la chiave.
Fonte: La Stampa, 24 febbraio 2009 (link), via Papa Ratzinger blog
Baget propone allora un vaticano III ? preferirei un Trento II..
RispondiEliminaNon sono un fan di Baget Bozzo, ma mi sembra pienamente condivisibile il pensiero che il concilio Vaticano II risente del clima di un'epoca, di una temperie culturale ormai lontana. Questo vale per tutti i concilii, ma vale in particolare per quello che si è proposto compiti precipuamente pastorali. I concilii ecumenici sono nati per risolvere questioni soprattutto di tipo dottrinale: probabilmente non sono, in un mondo che cambia ormai alla velocità della luce, lo strumento più adatto per fissare nuove linee pastorali. A meno di non pensare di tenerne uno all'incirca ogni decennio...
RispondiEliminaCaro Gianni,dopo Basilea ci fu bisogno di Trento.Tale fu il casino che creo'(il primo, s'intende).Ogni volta che dico questo-eppure sta scritto in tutte le storie della Chiesa,anche con Imprimatur(von Pastor)-mi attiro i fulmini addosso forse perche' rivelo che anche i Concili possono errare ed errano.Non ci posso proprio far niente.Anche oggi,c'e' un bel dire,ci sono tabu' e correlate censure.
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