Sulla dolorosa e indecente vicenda vedere QUI vari post di MiL.
A S. Marta si dovrebbero vergognare.
Luigi
Il Sismografo, 16-2-23
(L.B., R.C. - cura Redazione “Il sismografo”) Spesso, e sempre di più, molti giornalisti vaticanisti italiani, e non solo, non distinguono con severità il vero dal falso quando la questione riguarda ciò che ha detto il Papa e anche ciò che non ha detto. Domenica scorsa, per citare l'ultimo evento che rientra in questa manipolazione, Papa Francesco dopo sei mesi ha finalmente parlato sulla crisi in Nicaragua dove venerdì scorso un vescovo, mons. Rolando Álvarez, è stato condannato nel corso di un processo sommario a 26 anni e 4 mesi di carcere. Subito dopo l'Angelus di domenica, la stragrande maggioranza dei titoli e testi, addirittura usando le virgolette, diceva: "Francesco chiede la libertà per il vescovo nicaraguense Álvarez".
No! Non è così. Il Papa non ha mai pronunciato una simile frase. Ha detto di voler bene a mons. Álvarez, vescovo di Matagalpa e Amministratore apostolico di Estelí, e ha chiesto di pregare per lui e altri deportati dalla dittatura Ortega-Murillo. Ecco quanto ha detto il Santo Padre domenica scorsa:
"Le notizie che giungono dal Nicaragua mi hanno addolorato non poco e non posso qui non ricordare con preoccupazione il Vescovo di Matagalpa, Mons. Rolando Álvarez, a cui voglio tanto bene, condannato a 26 anni di carcere, e anche le persone che sono state deportate negli Stati Uniti. Prego per loro e per tutti quelli che soffrono in quella cara Nazione, e chiedo la vostra preghiera. Domandiamo inoltre al Signore, per l’intercessione dell’Immacolata Vergine Maria, di aprire i cuori dei responsabili politici e di tutti i cittadini alla sincera ricerca della pace, che nasce dalla verità, dalla giustizia, dalla libertà e dall’amore e si raggiunge attraverso l’esercizio paziente del dialogo. Preghiamo insieme la Madonna. [Ave Maria]" - (Fonte - Vatican.va)Sono parole molto belle e anche commoventi e che al popolo nicaraguense avranno sicuramente fatto molto bene.
Ma è del tutto evidente che il Papa non ha mai chiesto la libertà del vescovo condannato come invece hanno chiesto, espressamente, il Dipartimento di stato USA, numerose Cancellerie occidentali, diversi Episcopati e coordinamenti ecclesiali regionali (America Latina, Caraibi, Europa, Africa) e tanti altri.
Forse il testo è riuscito male, o forse è impreciso e incompleto, volutamente vago o poco lungimirante. Ad ogni modo se fosse così, il perché non si conoscerà mai. L'opinione pubblica, i giornalisti, hanno solo il testo pubblicato domenica 12 febbraio dopo la lettura del Papa.
Altro non esiste e quindi l’unica cosa che conta è questo testo secondo il quale Francesco non ha chiesto la libertà di mons. Álvarez.
E' plausibile che dietro il 'non dire' di Papa Francesco – che parte della stampa invece gli attribuisce– ci sia un motivo molto importante che spiega tutto. E' scontato che la Santa Sede sta negoziando con Ortega e Murillo tra enormi difficoltà anche perché errori del Vaticano in passato hanno accresciuto gravemente la controversia con Managua.
Il Vaticano non può lasciare in carcere 26 anni un vescovo innocente e condannato per dare sfogo a una vendetta. Quindi, la Sede Apostolica sta negoziando seppure a Managua non c'è un Nunzio da un anno. I rapporti bilaterali sono fragili, a volte saltuari, e i vescovi locali sono fuori gioco dopo che il Vaticano, tempo fa, ha provato tramite il Nunzio di allora, ma poi espulso da Ortega, di trattare con il governo bypassando l'Episcopato.
Mons. Álvarez, rifiutando la deportazione, ha ostacolato un meccanismo complesso, ingarbugliato e confuso che doveva servire per dialogare direttamente con la dittatura ma che ha finito per depotenziare la Conferenza episcopale locale che in questa circostanza non ha potuto nemmeno esprimere vicinanza pubblica al confratello in galera. Con Alvarez è acaduto l'opposto di quano si era visto nel caso del vescovo Silvio Báez che accettò di uscire dalPaese perché lo aveva chiesto personalmente Papa Francisco.
Ora è tutto ancora più ingovernabile nei rapporti diplomatici bilaterali che da quattro anni attraversano presunti miglioramenti ma soprattutto crisi gravissime.