Altre malefatte del Prefetto al Culto Divino card. Roche.
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Grazie all'amico Michelangelo per la segnalazione e la traduzione.
Luigi
Infovaticana, Carlos Esteban, 14 febbraio, 2023
Il cardinale Arthur Roche, prefetto per la Liturgia, si scaglia ancora una volta contro i vescovi che usano la lettera della Traditionis custodes per evitare di inasprire il divieto della Messa tradizionale nelle loro diocesi, chiedendo loro lo "spirito" di ciò che vuole il Santo Padre. Ma lui stesso, come vescovo di Leeds nel 2007, ha fatto di tutto per evitare di applicare il Summorum pontificum di Benedetto. Ancora due pesi e due misure.
Poco dopo la promulgazione del Summorum Pontificum da parte di Benedetto XVI nel 2007, si legge su Catholic World Report, l'allora vescovo di Leeds ha emesso una "interpretazione" in cui ha fatto di tutto per annullare la liberalizzazione dell'"usus antiquior" garantita dal motu proprio papale e ridurla all'irrilevanza, ostacolandone l'applicazione.
Ad esempio, insisteva sul fatto che i parroci potevano introdurre la Messa tridentina solo se richiesta da un "gruppo stabile" di fedeli all'interno della propria parrocchia, non da varie parti della diocesi; dichiarava che il vescovo aveva l'autorità di determinare se un sacerdote fosse o meno "qualificato" a celebrare la Messa tridentina.
Era, insomma, il tipo di vescovo a cui si riferiva l'allora segretario della Congregazione per il Culto Divino quando condannava "i documenti interpretativi che inspiegabilmente mirano a limitare il Motu Proprio del Papa" e insisteva sul fatto che tali vescovi venivano "usati come strumenti del diavolo".
Successivamente, l'istruzione vaticana Universae Ecclesiae ha corretto i primi due punti affermando che "un gruppo può essere composto anche da persone provenienti da diverse parrocchie o diocesi, che si riuniscono a questo scopo in una particolare chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella". che "ogni sacerdote cattolico che non sia impedito dal diritto canonico è da considerarsi idoneo a celebrare la Santa Messa nella forma straordinaria" e che "la facoltà di celebrare sine populo (o con la partecipazione di un solo ministro) nella forma straordinaria del Rito Romano è data dal Motu Proprio a tutti i sacerdoti... pertanto i sacerdoti, per disposizione del Motu Proprio Summorum Pontificum, non necessitano di alcun permesso speciale da parte dei loro Ordinari o superiori". Per le Messe pubbliche sarebbe necessario il permesso dei parroci, dei rettori dei santuari, ecc. ma non del vescovo diocesano.
Inoltre, il cardinale Darío Castrillón Hoyos, che come presidente della Commissione Ecclesia Dei era incaricato di supervisionare l'uso della Messa tridentina e che certamente conosceva la mente di Benedetto XVI, ha ricordato che "il Santo Padre è pronto a offrire a tutto il popolo questa possibilità, non solo per i pochi gruppi che la richiedono, ma perché tutti possano conoscere questo modo di celebrare l'Eucaristia nella Chiesa cattolica".
Quattordici anni dopo, la Latin Mass Society of England and Wales ha pubblicato un'interpretazione canonica espansiva della Traditionis Custodes, sullo stile di Roche nel 2007, ma, questa volta, il prefetto della Congregazione per il Culto Divino ha scritto al cardinale Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster, condannando l'interpretazione della Latin Mass Society in quanto in contrasto con le intenzioni del Papa.
Arthur Roche, ora cardinale, ha contattato almeno un vescovo per insistere sul fatto che la dispensa delle parrocchie dalla Traditionis Custodes è riservata alla Santa Sede, nonostante il fatto che tale dichiarazione non sia contenuta nel motu proprio e nonostante il fatto che, secondo il diritto canonico, i vescovi abbiano tale potere di dispensa a meno che la legge che regola una particolare materia non stabilisca espressamente il contrario.