Vi proponiamo – in nostra traduzione – la lettera numero 911 pubblicata da Paix Liturgique il 2 gennaio 2023, in cui si ricorda la figura del grande Papa Benedetto XVI, partendo dal discorso programmatico alla Curia romana del 22 dicembre 2005 (QUI).
Promuovendo la cosiddetta «ermeneutica della continuità», egli ha delineato «un nuovo spirito, e persino i contorni di un Cattolicesimo proprio del XXI secolo, che armonizza tradizione e gioventù, pietà liturgica e spirito missionario».
Inutile nascondersi che il Cattolicesimo si sta dirigendo verso una fase di marginalità, che però potrebbe «diventare un Cattolicesimo vigoroso in mezzo a una società sempre più ostile. Papa Benedetto XVI ha posto una base preziosa per questo, e questa base è liturgica: quella del ritorno della purissima lex orandi della Roma eterna».
L.V.
Non pretendiamo certo di ridurre gli otto anni di pontificato di Benedetto XVI al motu proprio Summorum Pontificum. Ma crediamo che questo testo sia una sorta di lente di ingrandimento che ci permette di misurare l’azione di questo Pontefice in un momento decisivo della storia del post-concilio.
Con il discorso solenne alla Curia romana del 22 dicembre 2005, poco dopo la sua elezione, per chiarire quale dovesse essere la corretta interpretazione del Concilio ecumenico Vaticano II e come si dovesse promuovere una «ermeneutica del progresso nella continuità», illuminando i testi dell’ultimo Concilio cercando di iscriverli nella grande Tradizione della Chiesa, Papa Benedetto XVI aveva dato una sorta di programma per il suo pontificato. In effetti, i testi pontifici sono stati paradossalmente meno numerosi e meno incisivi sotto il suo regno rispetto a quelli che aveva scritto o diretto sotto San Giovanni Paolo II. Ma i testi possono anche essere atti, e anche atti forti.
Così il suo discorso del 2005 alla Curia romana, al di là delle sue intenzioni, ha dato vita, soprattutto in Italia, a un movimento teologico che cerca di sollevare il velo ideologico «di sinistra» che ancora grava sull’interpretazione del Concilio ecumenico Vaticano II. Si capì che questo annunciava che il Vaticano II non doveva più essere considerato come l’inizio di una nuova era, come un «super-dogma», secondo la qualificazione critica del card. Joseph Ratzinger nel 1988, che avrebbe reso obsoleto tutto l’insegnamento precedente.
Ciò è stato particolarmente vero per il motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, che ha riconosciuto, dopo trent’anni di proibizione de facto, che la Messa romana tradizionale (il rito di San Pio V) non è mai stata legittimamente proibita. La sua più importante fecondità, secondo l’auspicio di Papa Benedetto XVI, dovrebbe essere soprattutto una certa risacralizzazione, attraverso l’imitazione della liturgia antica, delle nuove forme della liturgia. Non solo ha permesso di moltiplicare la celebrazione della Messa tradizionale: ha avuto anche un effetto liberatorio sui sacerdoti (soprattutto giovani) che volevano poterla celebrare in privato.
Nello stesso senso, la revoca delle scomuniche, il 21 gennaio 2009, dei quattro vescovi ordinati autonomamente da mons. Marcel François Lefebvre C.S.Sp. nel 1988, è stata un complemento del motu proprio Summorum Pontificum. La sua preoccupazione pastorale per questi «tradizionalisti» aveva lo stesso obiettivo della liberalizzazione della liturgia tradizionale: riequilibrare, attraverso la loro reintegrazione ufficiale nella Chiesa, un cattolicesimo che era stato trascinato «a sinistra» dal Concilio ecumenico Vaticano II, permettendo loro di partecipare con lui alla rievangelizzazione di un mondo abbandonato dalla fede.
È quindi innegabile che sotto Papa Benedetto XVI, ancor più chiaramente che sotto San Giovanni Paolo II, si sia delineato un nuovo spirito, e persino i contorni di un Cattolicesimo proprio del XXI secolo, che armonizza tradizione e gioventù, pietà liturgica e spirito missionario. Si potrebbe dire in termini politici non appropriati, ma che ci fanno capire: un Cattolicesimo della destra disinibita. Ma la pesantezza di alcuni settori della Curia romana e di buona parte del corpo episcopale, dovuta anche all’assenza di una chiara politica di nomina da parte del Papa stesso, ha rallentato un vero rinnovamento dottrinale, catechistico, religioso e missionario.
Oggi, in quello che è certamente l’ultimo periodo del Pontificato di Francesco, guardando indietro a questo Pontificato benedettino di soli otto anni, dal 2005 al 2013, con il suo aspetto modesto, possiamo vedere che non avrà guidato la transizione completa verso altri lidi, lidi non conciliari. Senza dubbio, il Cattolicesimo si sta dirigendo verso un’epoca neo-catacombale. Un Cattolicesimo marginale, che però potrebbe, se trovasse gli uomini per guidarlo, diventare un Cattolicesimo vigoroso in mezzo a una società sempre più ostile. Papa Benedetto XVI ha posto una base preziosa per questo, e questa base è liturgica: quella del ritorno della purissima lex orandi della Roma eterna.
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