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lunedì 31 ottobre 2022

Aldo Maria Valli "La Messa tradizionale. Il tesoro ritrovato" #sumpont2022

Il testo dell'intervento di Aldo Maria Valli (anche QUI) al convegno di venerdì a Roma.
Luigi

30-10-22
Cari amici di Duc in altum, ieri, nell’ambito del Pellegrinaggio internazionale Populus Summorum Pontificum (28 – 30 ottobre), in occasione del quale i coetus fidelium di tutto il mondo si ritrovano per testimoniare il loro amore per la liturgia tradizionale e, in processione ad sedem Petri, la loro fedeltà alla Santa Chiesa cattolica, ho partecipato all’incontro che si è tenuto nell’aula magna dell’Istituto patristico Augustinianum su iniziativa dell’associazione Oremus-Paix Liturgique.

Sono intervenuti don Claude Barthe, cappellano del Coetus Internationalis Summorum Pontificum; il coordinatore dell’incontro, professor Rubén Peretó Rivas; Trinidad Dufourq («La liturgia tradizionale e il pellegrinaggio di Nostra Signora della Cristianità nel mondo ispanico»); don Nicola Bux («Dalla Mediator Dei al Summorum Pontificum: rimedi al crollo di una liturgia celebrata come se Dio non ci fosse»); Peter Kwasnievski («Una Chiesa tra legalismo e disordine: trovare principi di azione in un tempo di anarchia»); Christian Marquant («Qual è il futuro del mondo tradizionale dopo Traditionis custodes?»).

Vi propongo qui il testo del mio intervento.

La Messa tradizionale. Il tesoro ritrovato

di Aldo Maria Valli

Desidero parlarvi della Messa antica – ma forse sarebbe meglio chiamarla la Santa Messa di sempre – come tesoro ritrovato. Una perla preziosa, un tesoro inestimabile rimasto a lungo nascosto a generazioni di cattolici, fra i quali io stesso, ma infine riscoperto, per grazia divina e per l’impegno di tanti credenti coraggiosi.

Credevamo, perché così ci era stato detto, che la Messa “nuova” fosse solo una traduzione di quella “antica”, per renderla comprensibile. Abbiamo scoperto che la Messa di san Pio V, la Messa di tutti i Papi fino a Paolo VI, non aveva affatto bisogno di traduzione, perché con i suoi gesti, i suoi segni, i suoi testi sublimi, i suoi silenzi, andava dritta al cuore. Non c’era bisogno di spiegarla. Come il roveto ardente, come le fiamme sugli apostoli a Pentecoste, è segno evidente del Mistero che ci parla. Mistero di luce e di redenzione.

Abbiamo scoperto anche che la Messa “nuova”, la Messa di Paolo VI, ha poco da dire, sebbene lo dica in lingua volgare. Perché non è questione di parole, ma è questione di Fede. Per molti di noi è stata una scoperta dolorosa e ci siamo chiesti perché mai nessuno, e per così tanto tempo, ci abbia parlato del tesoro nascosto.

La Messa vetus ordo è stata chiamata “forma straordinaria” con l’intento di metterne in evidenza la marginalità. E invece la formula, paradossalmente, è azzeccata, perché questa Messa è effettivamente straordinaria non solo nella forma, ma nella sostanza. Nella sua fedeltà alla dottrina e alla liturgia, è straordinariamente bella, ricca di significato, perfino commovente. Mentre l’altra è “ordinaria” come può esserlo una cosa di uso comune, a cui non si dà, in fondo, troppa importanza e non vi si attribuisce grande valore.

Questo tesoro nascosto, celato ai più, lo troviamo oggi confinato in chiese quasi sconosciute e in orari tenuti segreti, come se assistere a tale rito fosse pericoloso, come se ci dovessimo quasi vergognare. Eppure, nonostante lo stigma religioso e sociale che da cinquant’anni grava sulla Messa dei nostri padri, dei nostri antenati, sempre più persone vi si accostano e dicono che, una volta riscoperto, questo tesoro non lo vogliono lasciare più. Lo dicono con lo stupore incredulo dei piccoli, non con la prosopopea degli “esperti”. E ne traggono serenità, gioia, senso di completezza, autentico accrescimento della fede: tutto l’opposto – lo dico con tanto dispiacere – della Messa “nuova”, dalla quale spesso si esce rattristati e inquieti.

Nella Messa vetus ordo, la Santa Messa di sempre, tutto è sacro, tutto parla di Dio, tutto si volge a Dio e da Dio torna potentemente. Tutto è straordinario perché il sacrificio eucaristico non è e non può essere qualcosa di ordinario. Perché si entra in una dimensione diversa, più alta, più solenne. Perché si entra in uno spazio e in un tempo che non sono e non possono essere quelli feriali, di tutti i giorni. Perché di fronte al sacrificio eucaristico viene spontaneo inginocchiarci e lasciare che sia il Mistero stesso a parlare. Escluso è ogni umano protagonismo, quel protagonismo che invece è caratteristico della Messa “nuova”, pensata per celebrare l’uomo, non per rendere gloria a Dio.

Voglio precisare che io, nato nel 1958, sono cresciuto nella Chiesa del post concilio e per lunghi anni ho ignorato tutto della Messa precedente. Ricordo vagamente il prete rivolto verso il tabernacolo, con le spalle ai fedeli, e poi, al momento dell’omelia, lo ricordo là, in alto, sul pulpito, in seguito non più usato. Ma sono ricordi, appunto, molto vaghi, perché ero un bambino di pochi anni. Nonostante tutto, il Signore è stato buono e mi ha permesso di incontrare bravi sacerdoti, come il coadiutore dell’oratorio che ho frequentato da ragazzino. Dico questo per sottolineare che le mie osservazioni non sono mosse da un senso di rivalsa o di polemica. Anzi, sono grato al Signore per tutto ciò che mi ha donato e per avermi fatto crescere nella Chiesa (nel mio caso ambrosiana). Tuttavia, non ho difficoltà a dire che da quando la Provvidenza divina mi ha fatto scoprire la Messa antica mi si è aperto un meraviglioso mondo di Grazia.

Nel mio blog Duc in altum ho raccolto numerose testimonianze di persone che hanno scoperto la Messa di sempre dopo che per anni e anni non ne avevano saputo niente o ne avevano sentito parlare solo vagamente. Attraverso cammini misteriosi e imprevedibili, la Provvidenza, proprio come è successo a me, ha condotto queste persone in una chiesa, ha fatto conoscere loro un amico o un sacerdote, ed ecco il miracolo della riscoperta. Sono persone di tutte le età e di tutte le condizioni sociali. Diversi i titoli di studio, diverse le provenienze. Ci sono uomini e donne, persone cresciute nella fede e altre che si sono convertire proprio grazie alla scoperta del tesoro nascosto. Comune è una riflessione: «È come tornare a casa». Perché qui c’è la vera accoglienza, non quella di chi fa dell’accoglienza un’ideologia. Un’espressione, quella relativa al ritorno a casa, usata in prevalenza dai convertiti che mi scrivono per raccontare le loro storie. Non ho mai sentito un convertito affermare di essersi lasciato abbracciare dalla Chiesa cattolica grazie a un bel programma pastorale o in seguito a un certo sinodo dei vescovi o in virtù di un discorso sul dialogo o sulla collegialità. Si torna o si approda alla Chiesa cattolica perché si cerca la bellezza e la Verità. Perché si è in cerca Dio o magari Dio ti coglie di sorpresa, quando meno te lo aspetti. Ed è proprio nella Messa di sempre che queste persone si sentono veramente accolte.

A chi sostiene che Dio lo si può trovare dappertutto e dunque, in fin dei conti, la liturgia non è poi così importante, i convertiti rispondono efficacemente. Si potrebbero proporre tante citazioni tratte, per esempio, da Newman o Chesterton. Ma qui mi piace ricordare la frase di un convertito meno conosciuto, Thomas Howard, il quale scrisse: «È nel mondo fisico che l’intangibile ci incontra». Credo che qui lo scrittore americano colga il senso di duemila anni di liturgia. Proprio ciò che non capiscono, o non vogliono capire, i novatori, i quali, con la loro trascuratezza nei confronti della liturgia, cadono facilmente in uno spiritualismo che non ha nulla di cristiano e, in particolare, di cattolico.

Prima della conversione, spiega Howard, «credevo che la verità cristiana dovesse essere mantenuta in modo incorporeo. Era per il mio cuore, non per i miei occhi». Ma noi siamo anima e corpo. Come dice l’adagio popolare, l’occhio vuole la sua parte. Gli spiritualisti, disprezzando materia e corporeità, non vogliono un uomo più puro, più vicino a Dio perché quasi disincarnato: vogliono inventare un “uomo interiore” a loro immagine e somiglianza.

Fra le tante che ho ricevuto sulla scoperta della Messa di sempre ci sono numerose testimonianze di giovani. Dicono che la scoperta del tesoro nascosto è avvenuta a volte in virtù di un richiamo indistinto, altre volte per un senso di insoddisfazione e incompletezza. Arriva un giorno in cui si entra in una chiesa ed ecco la sorpresa: un rito sconosciuto e apparentemente incomprensibile, eppure è proprio la risposta di cui si andava in cerca. Qualcosa che regala sollievo e guida spirituale, qualcosa che ti fa crescere nella fede. Come mi ha detto una volta una giovane, anche chi di solito a Messa fatica a concentrarsi e a pregare, quando scopre la Messa di sempre si lascia cogliere dal sacro e il tempo non esiste più. C’è solo l’adorazione, l’orazione, il ringraziamento. E non c’è nessunissimo bisogno che qualcuno ti faccia la cronaca di ciò che sta succedendo.

Anche i particolari apparentemente esteriori contano. Le vesti liturgiche (niente preti e diaconi con le scarpe da ginnastica), i canti curati e così diversi dalla musica di tutti i giorni, le donne con il velo, i fedeli in ginocchio. «Mi sono sentita felice» mi ha detto quella giovane. «I canti, anche se non ne comprendevo il significato, s’innalzavano con tale grazia verso il cielo da rendermi certa che le mie preghiere stessero salendo con loro. E l’omelia, anche se mi ha raggiunto come uno schiaffo, mi ha dato un grande sollievo.»

Ed ecco che cosa racconta Anna: «Quando ho assistito per la prima volta alla Messa vetus ordo ho sentito come emergere in me una nostalgia. Ma non di qualcosa che avevo già visto, perché non avevo mai assistito a questo tipo di Messa. La nostalgia che ho avvertito veniva dal profondo, era come l’emergere di qualcosa che stava dentro di me da sempre. Il rito della Messa antica arriva più al cuore rispetto a quello della Messa riformata. Mi duole dirlo, ma quest’ultima la sento vuota. Non dico che lo sia; dico che mi trasmette questa sensazione. Ne ho subito parlato con diverse amiche e le ho portate alla Messa antica perché anche loro provassero. Alcune, non credenti, sono rimaste molto colpite e mi hanno detto di aver percepito una presenza».

E Andrea: «Fu mio figlio, fino a quel momento non tanto religioso, che l’8 dicembre di sei anni fa mi telefonò dicendo: “Papà, ho assistito ad una cosa bellissima!” Era la Santa Messa in rito antico, la Messa cantata per la festa dell’Immacolata Concezione. Abbiamo così incominciato a frequentare la Messa vetus ordo insieme e io adesso non vado più a quelle novus ordo, divenute, soprattutto dopo le pagliacciate introdotte “causa Covid”, veramente indigeribili».

E Piero: «Quando posso, faccio ottanta chilometri per andare e altrettanti per tornare e partecipare alla Santa Messa di sempre. Qualcosa di misterioso mi avvolge ed entro “nella nuvola”: non nel mondo delle nuvole, preciso. Sono figlio di una cultura razionale e non sono un sentimentale. Ho cominciato a studiare le differenze sostanziali tra il rito di sempre, dei miei antenati, e quello del cosiddetto novus ordo e ho capito in parte perché quando partecipo a quest‘ultimo resto quasi distaccato e spesso teso. Non capisco invece come molti preti e, peggio, molti vescovi, non percepiscano tutto ciò.»

Un’ultima testimonianza: «La Messa tradizionale! Che dono meraviglioso! Le differenze che ho visto tra la Messa Tridentina e la Messa postconcilare a cui ero (stancamente) abituato sono state, fin da subito, impietose: da una parte la solennità di una celebrazione nella quale il centro è il Sacrificio eucaristico e ogni gesto dell’Alter Christus, ogni parola e ogni canto sono resi perfetti dalla Fede. Dall’altra parte la Messa attuale, nella quale al centro non c’è più il Sacrifico ma la noiosa predica del “presidente dell’assemblea”, i canti non innalzano ma distraggono e sviano, l’altare non è più tale ma è diventato una “mensa” e la Comunione è ricevuta in piedi e sulla mano, senza rispetto e devozione. E allora pensi: “Ma dove ho vissuto finora? E cosa mi sono perso!”. In questi tre anni ho visto almeno raddoppiare il numero delle persone che frequentano la Messa di sempre, e non mi stupisce. Ci sono anche tanti giovani e sull’altare, con il sacerdote celebrante, dai quattro ai sette chierichetti, e sappiamo che servire una Messa di san Pio V non è per niente facile.»

Con le testimonianze potrei continuare a lungo. Sono tutte così, piene di stupore e di gratitudine, ma anche di un profondo dispiacere per il tempo trascorso prima di riscoprire il tesoro. Colpisce il fatto che, pur arrivando da semplici fedeli, molto spesso privi di una specifica preparazione in campo teologico, dottrinale e liturgico, queste riflessioni sono in profonda sintonia con le osservazioni che fin da subito, nel 1969, nello stesso anno della promulgazione del nuovo messale, furono autorevolmente mosse da chi denunciò il processo di protestantizzazione attuato con la riforma e lanciò l’allarme sul disastro imminente.

Segnalo anche che ricevo moltissime richieste da parte di persone che chiedono dove si può ricevere la Comunione sulla lingua e lamentano il fatto che nelle loro parrocchie, con evidente abuso, essa viene spesso negata. Ricordo la lettera di una signora che, avendo chiesto al sacerdote di ricevere la Comunione sulla lingua, non solo se l’è vista negata ma si è sentita dire: «Ma che cosa avete voi tradizionalisti? Perché siete così fissati?». Parole che si commentano da sole e spiegano molte cose, specie a proposito della formazione che i sacerdoti ricevono.

Ora la domanda è: perché colpire, emarginare e cercare di eliminare la Messa di sempre dal momento che, pur così perseguitata, continua a dare frutti di fede così belli e copiosi? Perché questa Messa ci è stata tolta d’autorità?

Le risposte possono essere molteplici. Mi viene in mente, prima di tutto, quanto scrive il diavolo Berlicche al nipote Malacoda: «Uno dei nostri grandi alleati, al presente, è la Chiesa stessa» (C.S. Lewis, Le lettere di Berlicche). Ma forse la Messa di sempre è stata colpita perché se ad essa avessero semplicemente affiancato quella riformata, certamente a quest’ultima, gradualmente, non sarebbe andato più nessuno. La Messa apostolica di sempre è così profondamente e autenticamente cattolica da mettere inevitabilmente in luce le contraffazioni attuate da chi cattolico dice di essere ma non è.

Nella Messa di sempre non occorre invitare all’actuosa participatio e non c’è nulla da animare (quando sento parlare di “animazione” della Messa mi viene amaramente da sorridere). Nella Messa di sempre c’è solo da inginocchiarsi davanti al mysterium tremendum. Ma per inginocchiarsi, per riconoscerci peccatori davanti a Dio, occorre essere umili, sbarazzandosi del proprio orgoglio, del protagonismo e della vanità che porta a mettersi in mostra. Quel protagonismo che invece domina incontrastato nel campo modernista, segnato dalla pretesa di “fare” la Chiesa.

Ecco perché, una volta riscoperta la Messa di sempre, la Messa “nuova” ti procura disagio: si è in presenza di una distorsione, di una caricatura. Si avverte di non avere nulla da spartire con quel vuoto sentimentalismo, quel rito che spesso sembra svolgersi per rendere gloria non a Dio ma, con il pretesto di Dio, all’uomo.

Ora, poiché il tesoro che abbiamo riscoperto, nonostante tutti gli sforzi fatti da chi avrebbe voluto e ancora vuole tenerlo nascosto, è patrimonio della Chiesa, dei fedeli e dell’umanità intera assetata di verità, di carità e di trascendenza, dobbiamo essere coscienti del fatto che abbiamo diritto a una restitutio in integrum. Non stanchiamoci di segnalare l’iniquità dell’abuso, anche se l’abuso arriva dalla massima autorità.

Voglio citare alcuni passi della lettera che i cardinali Alfredo Ottaviani e Antonio Bacci scrissero a Paolo VI per presentare il loro celebre Breve esame critico del “Novus ordo Missae”. Scrivevano dunque i due porporati che il novus ordo rappresenta «sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino il quale, fissando definitivamente i “canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del Mistero».

Precisavano poi: «Le ragioni pastorali addotte a sostegno di tale gravissima frattura – anche se di fronte alle ragioni dottrinali avessero diritto di sussistere – non appaiono sufficienti. Quanto di nuovo appare nel Novus Ordo Missae e, per contro, quanto di perenne vi trova soltanto un posto minore e diverso, se pure ancor ve lo trova, potrebbe dar forza di certezza al dubbio – già serpeggiante purtroppo in numerosi ambienti – che verità sempre credute dal popolo cristiano possano mutarsi o tacersi senza infedeltà al sacro deposito dottrinale cui la fede cattolica è vincolata in eterno».

«Le recenti riforme – continuavano i due cardinali – hanno dimostrato a sufficienza che i nuovi mutamenti nella liturgia porterebbero al parziale, se non al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di Fede. Nella parte migliore del clero ciò si concretizza in una torturante crisi di coscienza di cui abbiamo innumerevoli e quotidiane testimonianze».

Infine una sottolineatura che ci riguarda da vicino: «Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere, con filiale fiducia, al legislatore l’abrogazione della legge stessa. Supplichiamo perciò la Santità Vostra di non volerci togliere – in un momento di così dolorose lacerazioni e di sempre maggiori pericoli per la purezza della Fede e l’unità della Chiesa, che trovano eco quotidiana e dolente nella voce del Padre comune – la possibilità di continuare a ricorrere alla integrità feconda di quel Missale romanum di San Pio V dalla Santità Vostra così altamente lodato e dall’intero mondo cattolico così profondamente venerato ed amato».

Ricordiamo che Deus non irridetur! Il terribile monito di san Paolo è chiaro. E riguarda anche la liturgia. A quanti ancora sostengono che “il latino non si capisce” rispondo che esistono molti sussidi e, comunque, l’idea che a Messa si debba andare per “capire” è frutto del razionalismo che, penetrato nella Chiesa, impedisce di essere trasportati nel Mistero eucaristico e di rendere gloria al Padre.

L’autore italiano Giovannino Guareschi, celebre per il suo Don Camillo, scrisse pagine indimenticabili a difesa della Santa Messa in latino, e lo fece con humour graffiante contro i rinnovatori, quelli che, come diceva Ottaviani, sono malati di “prurito di cambiamento”.

«Il latino – scrisse fra l’altro Guareschi – è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l’era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto “sonoro”, potrà parlare per un’ora senza dire niente. Cosa impossibile col latino.»

Sulla stessa linea, il cardinale Ottaviani spiegò che il latino «per la sua struttura, per la sua capacità di sintesi integra e genuina, per la sua fissità ossia continuità incorrotta, per il suo valore espressivo è quanto mai adatta a conservare il genuino senso di ogni dottrina», poiché non conosce «quel fenomeno delle lingue volgari che si trasformano con il correre dei secoli».

Aggiungo che il latino è sigillo della Tradizione e dell’universalità della Chiesa, mentre con il volgare si è aperta la strada agli abusi e ai particolarismi di chi considera la Chiesa alla stregua di un organismo umano, sempre bisognoso di adattamenti.

Tutti coloro che continuano a schierarsi contro l’antico ordo Missae e inventano modi sempre più feroci per combatterlo dovrebbero porsi una semplice domanda: perché, nonostante tutto, non è scomparso? Perché ci sono sacerdoti e fedeli che vi restano attaccati e lo difendono strenuamente? E poi un’altra domanda: perché, nonostante la riforma liturgica, la Chiesa perde fedeli e vocazioni? E perché, al contrario, la Messa antica, in controtendenza rispetto alle statistiche impietose, attira sempre più persone?

Purtroppo sono domande che non vengono prese in considerazione da chi ha una visione ideologica della realtà e anche della Chiesa.

Ecco, queste sono le mie povere riflessioni di cattolico post conciliare che per Grazia di Dio ha riscoperto il grande tesoro nascosto. Per questo dono, Deo gratias! E per i modernisti la nostra preghiera: «Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno. Se invece lo sanno, perdonali lo stesso. E fa’ che la smettano di metterci i bastoni fra le ruote».