La notizia è ormai nota e MiL è stata tra i primi a pubblicarla (QUI), seguita dalla dichiarazione della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (QUI).
Ora vi proponiamo una tra le migliori e più qualificate analisi della storica sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti d’America: l’intervista al prof. Paolo Carozza pubblicata ieri sulla rivista Tempi.
L.V.
«Dopo 50 anni saranno di nuovo i Parlamenti degli Stati a decidere sull’aborto. Fondamentali i giudici nominati da Trump. La sentenza non è costruita su basi morali, ma giuridiche». Intervista al docente americano dell’Università di Notre Dame, Paolo Carozza
«L’abolizione del diritto costituzionale all’aborto è senza dubbio una decisione storica, che renderà gli Stati Uniti una democrazia migliore». Ne è sicuro Paolo Carozza, docente di giurisprudenza e direttore dell’Helen Kellogg Institute for International Studies alla facoltà di legge dell’Università di Notre Dame (Indiana). In un’intervista a Tempi Carozza spiega perché i giudici della Corte Suprema, che ieri hanno ribaltato la sentenza Roe v. Wade, non hanno deciso in base ad argomentazioni morali o politiche e perché la sentenza restituisce finalmente, «dopo quasi 50 anni», centralità al popolo americano.
Professore, in Europa i media sono increduli: ma come si fa a limitare l’aborto dopo 50 anni?
Innanzitutto è importante sottolineare che la decisione non impone in alcun modo restrizioni costituzionali all’interruzione di gravidanza. Stabilisce soltanto che la Costituzione americana non comanda né proibisce l’accesso all’aborto e di conseguenza restituisce l’onere di decidere ai rappresentanti eletti dal popolo nei diversi Stati americani.
La sentenza cioè rende in un certo senso gli Stati Uniti più “europei”?
Esatto. Questa sentenza avvicina l’America alle pratiche in vigore nella maggior parte dei paesi del mondo, invece che lasciarla in balìa della licenza di abortire quasi illimitata che la sentenza Roe v. Wade ha permesso per mezzo secolo.
E ora che cosa accadrà?
Alcuni Stati americani approveranno maggiori restrizioni all’aborto, altri le ridurranno e la maggioranza cercherà di trovare complicati compromessi tra le diverse visioni dei loro cittadini, permettendo l’aborto ma solo ad alcune condizioni per periodi di tempo più o meno limitati, così come avviene nella maggior parte dei paesi europei. La sentenza Dobbs però avrà profonde implicazioni anche su un altro tema.
Quale?
Quello della corretta interpretazione e applicazione della Costituzione. Avrà ripercussioni anche sulla definizione di quale sia il ruolo appropriato dei giudici nella nostra Repubblica democratica. È un ritorno alle origini decisivo rispetto alla centralità che casi come la Roe hanno affidato ai giudici, quasi dovessero risolvere per noi le controversie morali fondamentali che agitano la nazione.
Dica la verità: la maggioranza dei giudici è contro l’aborto, quindi hanno ribaltato la Roe v. Wade.
E invece no. La sentenza non soppesa gli argomenti morali a favore o contro il diritto a ottenere un aborto né le considerazioni politiche a sostegno di un approccio più liberale o più restrittivo all’aborto. Infatti, respinge esplicitamente queste forme di argomenti, insistendo sul fatto che l’unico problema rilevante è la corretta interpretazione della Costituzione stessa. Il parere di maggioranza è favorevole sia a un approccio letterale che a uno storicamente informato e offre due argomenti.
Quali?
Primo: da nessuna parte la Costituzione americana riconosce un diritto all’aborto. Secondo: non c’è alcuna base storica per sostenere che un diritto all’aborto sia radicato nella storia e nella tradizione degli Stati Uniti. Il giudice Samuel Alito, scrivendo a nome della maggioranza, mostra in modo convincente che la sentenza Roe v. Wade non aveva davvero alcun fondamento legale.
Classica argomentazione dei pro-life.
No, questa è una cosa che anche molti sostenitori del diritto all’aborto negli Stati Uniti riconoscono da tempo.
Il tema su cui insistono di più è che rimuovere la garanzia costituzionale all’accesso all’aborto pone una minaccia seria e diretta all’autonomia e all’uguaglianza delle donne. Sostengono cioè che l’aborto è necessario perché le donne, in quanto cittadine, siano libere ed uguali. Più che un’argomentazione giuridica (nonostante nel parere dissenziente ci siano anche questioni tecniche), è fondamentalmente un’argomentazione politica e sociologica.
E la maggioranza come ha risposto a questa obiezione?
In un modo molto semplice: è proprio perché queste controversie morali sono fortemente divisive ed è proprio perché su di esse decine di milioni di americani si trovano in disaccordo tra di loro che è importante che la Corte si attenga soltanto a ciò che la Costituzione chiaramente stabilisce. La Corte Suprema, sostengono, è composta da nove persone fallibili, non elette e con un incarico a vita. Esse non devono sostituire la propria visione morale e i propri giudizi politici a quelli che emergono nel processo democratico del popolo americano.
In Europa l’aborto è ormai un totem, un tabù. Il dibattito invece negli Stati Uniti anima e divide ancora la popolazione come il primo giorno. Come mai?
Ci sono cause profonde che vanno ben al di là dell’aborto. La correlazione dinamica e distintiva tra diritti fondamentali, politica e giustizia è qualcosa che risale al primissimo periodo della Repubblica americana. Quasi due secoli fa, Alexis de Tocqueville spiegava che è molto raro che in America una qualunque controversia politica non finisca prima o poi davanti a un giudice. Ma è vero anche il contrario: è molto raro che una decisione giudiziaria su temi controversi metta la parola fine alla controversia politica che l’ha generata.
Gli americani quindi non hanno mai accettato che la Roe v. Wade cercasse di tappare loro la bocca e la coscienza?
Esatto, la Roe è stata respinta come illegittima fin dal primo momento perché la Corte Suprema ha cercato di rimuovere l’aborto dallo spazio del compromesso politico e legislativo che il popolo affida ai suoi rappresentanti eletti.
Ma perché in America ci si accapiglia ancora sull’aborto?
Una delle ragioni è la presenza pubblica e la visibilità di cui godono negli Stati Uniti le comunità religiose, specialmente quelle cristiane, che hanno resistito meglio di quelle europee nell’ultimo secolo e hanno mantenuto alta la bandiera pro-life lungo i decenni. Per me è sorprendente che la generazione dei miei figli sia molto più pro-life di quanto noi fossimo mai stati alla loro età. Questo è dovuto soprattutto al potere della scienza e della loro immaginazione. Oggi abbiamo una conoscenza molto più grande (e molto più visiva) dell’embriologia e dello sviluppo umano dalla concezione fino alla nascita e queste costituiscono una testimonianza poderosa dell’umanità e di conseguenza della dignità di ogni essere umano non nato.
Il presidente americano Joe Biden ha dichiarato che è tutta colpa (o merito, a seconda dei punti di vista) dei tre giudici conservatori nominati da Donald Trump. Che cosa ne pensa?
Le tre nomine di Trump sono state assolutamente decisive, visto che tutti e tre i giudici da lui scelti sono presenti nella maggioranza dei cinque che hanno ribaltato la Roe. Penso però che sia importante sottolineare che per tutti e tre questa decisione è coerente con un approccio più grande, sofisticato e serio (per quanto contestato da alcuni, ovviamente) riguardo all’interpretazione della Costituzione e al ruolo del giudice. Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett sono stati nominati – e sostenuti più in generale dai conservatori (non solo da coloro che hanno votato Trump) – non appena nella speranza che ribaltassero la Roe v. Wade. Ma per una convinzione più generale.
Quale?
Se i giudici mantengono un ruolo più limitato e contenuto, alla lunga la democrazia costituzionale migliora e resta più in salute.
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