Un bel testo del Maestro Porfiri, pubblicato da Aldo Maria Valli.
Luigi
di Aurelio Porfiri, 25-4-22
Negli ultimi due anni abbiamo avuto la possibilità di riflettere sull’Eucarestia in modo tutto particolare, viste le restrizioni messe in atto per cercare di arginare il contagio. Queste, in definitiva, hanno portato ad accentuare la prassi di distribuire la Comunione sulla mano, prassi del resto già ampiamente promossa da decenni e anche incoraggiata da liturgisti e prelati vari.
Potrei ricordare come il compianto padre Enrico Zoffoli negli ultimi anni del secolo passato scrivesse libri contro questa pratica, dimostrando che Giovanni Paolo II non distribuiva la Comunione sulla mano durante le celebrazioni papali. Tuttavia non si può negare che egli accettò che questo uso si diffondesse nella Chiesa, malgrado la sua personale ritrosia ricordata dal padre Zoffoli.
A motivo della dovuta riverenza verso l’Eucarestia, non è bene incoraggiare la pratica della Comunione nelle mani del fedele, perché tale pratica segnala una mancanza di riverenza nei confronti dell’Ostia consacrata. Solo mani consacrate dovrebbero essere in grado di toccare le sacre specie eucaristiche.
Corrado Gnerre affronta così le varie obiezioni usate per giustificare la pratica della Comunione sulla mano del fedele: “Davvero nei primi tempi della Chiesa l’Eucaristia si riceveva nella mano? Certamente ci sono varie testimonianze che dicono questo. Ma è pur vero che ci sono anche testimonianze che attestano l’uso di dare la Comunione direttamente in bocca; e che la forma di darla sulla mano fosse dovuta a retaggi legati ai tempi delle persecuzioni. Va detto, inoltre, che nell’antichità era diffusa la distribuzione della Comunione usando pane fermentato e non azzimo, il che, ovviamente, non rendeva facile la perdita di frammenti. Dicevamo: ci sono testimonianze certe che attestano come sin dall’inizio vi era anche la consuetudine di deporre le sacre Specie sulle labbra dei comunicandi e anche la proibizione ai laici di toccare l’Eucaristia con le mani. Solo in caso di necessità e in tempo di persecuzione, assicura per esempio san Basilio, si poteva derogare da questa norma e quindi era concesso anche ai laici di comunicarsi con le proprie mani. Sisto I, papa dal 115 al 125, proibì ai laici di toccare i vasi sacri, per cui è ampiamente fondato supporre che vietasse agli stessi di toccare le Sacre Specie eucaristiche. Sant’Eutichiano, papa dal 275 al 283, affinché non toccassero l’Eucaristia con le mani, proibì ai laici di portare le sacre Specie agli ammalati. Il Concilio di Saragozza, nel 380, emanò la scomunica contro coloro che si fossero permessi di trattare la santissima Eucaristia come in tempo di persecuzione, tempo nel quale – come abbiamo già detto – anche i laici potevano trovarsi nella necessità di toccarla con le proprie mani. Sant’Innocenzo I, dal 404, impose il rito della Comunione solo sulla lingua. Papa Sant’Innocenzo I (401-417), nel 416, nella Lettera a Decenzio, vescovo di Gubbio, che gli chiedeva direttive riguardo alla liturgia romana che intendeva adottare, rispose affermando per tutti l’obbligo di rispettare al riguardo la Tradizione della Chiesa di Roma, perché essa discende dallo stesso Pietro, primo Papa. Ebbene, lo stesso sant’Innocenzo – come abbiamo detto prima – dal 404 aveva imposto il rito della Comunione solo sulla lingua. San Gregorio Magno narra che sant’Agapito, papa dal 535 al 536, durante i pochi mesi del suo pontificato, recatosi a Costantinopoli, guarì un sordomuto all’atto in cui ‘gli metteva in bocca il Corpo del Signore’, dunque l’Eucaristia si dava direttamente in bocca. Il Concilio di Rouen, verso il 650, proibì al ministro dell’Eucaristia di deporre le sacre Specie sulla mano del comunicando laico: ‘(Il sacerdote) badi a comunicarli (i fedeli) di propria mano, non ponga l’Eucaristia in mano a nessun laico o donna, ma la deponga solo sulle labbra con queste parole’. Sulla medesima linea il Concilio Costantinopolitano III (680-681), sotto i pontefici Agatone e Leone II, vietò ai fedeli di comunicarsi con le proprie mani e minacciò la scomunica a chi avesse avuto la temerarietà di farlo. Il Sinodo di Cordoba dell’anno 839 condannò la setta dei casiani a causa del loro rifiuto di ricevere la sacra Comunione direttamente in bocca. In Occidente, il gesto di prostrarsi e inginocchiarsi prima di ricevere il Corpo del Signore si osservava negli ambienti monastici già a partire dal VI secolo (per esempio nei monasteri di san Colombano). Più tardi, nei secoli X e XI, questo gesto si diffuse ancora di più. Quando san Tommaso d’Aquino espose nella Summa (III, 9, 82) i motivi che vietavano ai laici di toccare le sacre Specie, non parlò di un rito di recente invenzione, bensì di consuetudine liturgica antica come la Chiesa. Ecco perché il Concilio di Trento (Decreto sull’Eucaristia, Sessione III) poté affermare che non solo nella Chiesa di Dio fu una consuetudine costante che i laici ricevessero la Comunione dai sacerdoti, mentre i sacerdoti si comunicassero da sé, ma anche che tale consuetudine è di origine apostolica”.
Insomma, da questa rassegna storica si capisce che la disciplina ecclesiale ha sempre tenuto in considerazione l’esigenza di non far toccare l’Ostia da mani non consacrate. Ma oggi quella che doveva essere un’eccezione, ovvero ricevere la comunione sulla mano, è stata fatta divenire la regola, come ci ricorda Stefano Fontana: “Le Conferenze episcopali, come si è visto, possono chiedere un indulto, ossia la sospensione della norma di ricevere la comunione in bocca, norma che rimane confermata proprio dalla necessità di un indulto per ovviarvi. L’eccezione è la comunione sulla mano e non il contrario, come molti forse oggi pensano. E ciò, dal punto di vista canonico, rimane valido anche se tutte le Conferenze episcopali avessero chiesto l’indulto. In Italia ciò è avvenuto con la delibera della Cei del 19 luglio 1989. Da questa breve rassegna possiamo concludere che la norma rimane quella della Comunione sulla lingua e che la Comunione sulla mano è un’eccezione e tale rimane anche se ormai è la pratica largamente più diffusa. Va anche ricordato che la concessione dell’indulto all’inizio era prevista solo per le Conferenze episcopali che avessero già introdotto la comunione nella mano dopo la regola stabilita da Paolo VI nel 1969, ma in seguito le richieste di indulto dilagarono e fu concesso a tutte le Conferenze episcopali che lo richiedevano. È chiaro che vi fu una forzatura della norma. Infine va anche ricordato che se un vescovo volesse impedire nella sua diocesi la Comunione nella mano, in termini di diritto canonico potrebbe farlo. Con tutto ciò è da ritenersi assolutamente plausibile la proposta di tornare alla Comunione sulla lingua”.
Ma visto che oramai siamo arrivati a questo punto, cosa deve fare il fedele che non intende prendere la Comunione sulla mano?
Ricordiamo che esiste la pratica della Comunione spirituale, una Comunione che, per quanto non efficace come quella sacramentale, è ugualmente possibile quando ci sia una impossibilità di tipo materiale o di tipo morale (come nel nostro caso) nel ricevere l’Eucarestia.
Padre Angelo Bellon descrive così i modi in cui la Comunione spirituale può essere fatta: “La Comunione spirituale può essere fatta ovunque, anche se per godere frutti più abbondanti è necessario un certo raccoglimento e stabilire una vera comunione di pensieri e di affetti col Signore. È vero che si può fare anche in un istante e quante volte si vuole, ma in ogni caso deve essere vera Comunione, vale a dire fusione del nostro io con il suo, dei nostri pensieri e dei nostri affetti con i suoi. Deve essere un momento santificante e non un fatto magico. Ottimo metodo di fare la Comunione spirituale è quello di unirla all’ascolto della Parola del Signore, e cioè nella meditazione. Ma nella meditazione e soprattutto nella contemplazione si attua la Comunione spirituale senza esprimere delle formule particolari. La si vive senza pensare di porre l’atto. Molti fanno la Comunione spirituale quando ricevono la benedizione eucaristica”.
Ci sono anche preghiere che possono essere utili, come questa di sant’Alfonso Maria de’ Liguori: “Gesù mio, credo che Tu sei nel Santissimo Sacramento. / Ti amo sopra ogni cosa e Ti desidero nell’anima mia. / Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, / vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. / Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te; / non permettere che io mi abbia mai a separare da Te”.
Dobbiamo pensare ai giapponesi che per secoli hanno tramandato la fede senza avere sacerdoti, o a coloro che la conservano nella prigionia che si prolunga per anni e anni. Mai come in questo caso, la misericordia di Dio supplisce alla gravità degli eventi.