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Pubblichiamo due importanti elenchi. QUI  un elenco coi vescovi contrari, quelli favorevoli e quelli con riserve. QUI  un elenco su  WIKIPED...

giovedì 9 settembre 2021

Imagine di Lennon? Secondo il vescovo (e l'Osservatore Romano) l'avrebbe cantata anche Gesù...

"And no religion too" cantava John Lennon nella sua celeberrima e celebrata Imagine, auspicando un mondo di "fratelli tutti", senza confini, senza paradiso, né ragioni per vivere o per morire... e naturalmente senza religione. Profetico, perché leggendo l'Osservatore Romano si direbbe che davvero non c'è più religione. Sul giornale della Santa Sede c'è un grande interesse per John Lennon e per i Beatles, a giudicare dall'attenzione riservata loro:
Questa volta, però, le sacre colonne elargiscono un'appassionata riflessione sul valore evangelico di Imagine
La firma è di mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto, a sua volta noto per l'abbondante ricorso alle canzonette nella sua predicazione. Ma qui il prelato va ben oltre e di Lennon sdogana tutto, compreso proprio quel "no religion too" che nelle acrobazie della neolingua clericale diviene un pretesto per attaccare il "cattolicesimo convenzionale" (insomma, per capirci con le parole del suo Superiore, quello dei "pelagiani", dei "cristiani da pasticceria", o che vanno a Messa "per abitudine", di quella stragrande maggioranza di peccatori e imperfetti che pur tra tante contraddizioni ci hanno trasmesso la debole fiammella della fede).
Per farlo non si appella ai santi, a chi è stato più fedele nella sequela di Cristo, ma a chi (v. copertina sotto) nel suo pantheon di riferimento annoverava persino il noto satanista Aleister Crowley (1875-1947 (vedi foto a fianco il particolare della copertina con il viso di Crowley).
Riportiamo dunque l'articolo, con sottolineature nostre.
Stefano

Pop Theology
di Antonio Staglianò - L'Osservatore Romano, 4 settembre 2021

Da qualche decennio in Occidente si vive “in pace”, cioè in assenza di guerre. Dopo la seconda guerra mondiale, esistono focolai di guerra dappertutto, però. Tant’è che Papa Francesco ha parlato di una terza guerra mondiale realizzata «a pezzi».

La domanda che sgorga semplice, da una intelligenza non distratta, è quella di un bambino: perché? L’intelligenza non è distratta se può dare, con criticità, una risposta adeguata. Teologicamente possiamo riandare al remoto dei tempi indicando nel peccato originale la causa originaria di questa tendenza omicida cainita, per la quale «il fratello uccide il fratello». Per gelosia, o per altri motivi, quasi sempre legati all’avere, al possedere, all’accaparrare, alla volontà di potere da esercitare sull’altro, su altri.

Quando John Lennon immagina che non esistano confini o Paesi riconfigura poeticamente un mondo nuovo, fuori da una logica guerrafondaia di contrapposizione, di competitività e di conquista.

Il sogno è che si creino condizioni per una pacificazione universale e per una vera fraternità — ci sta anche davvero, senza esagerare, il Magistero di Fratelli tutti —, fondata sul fatto che tutti possano condividere i beni della terra, contro la forbice dei poveri sempre più poveri e sempre di più, e i ricchi sempre più ricchi e sempre più pochi.

Laudato si’ ha offerto dettagli sulla condizione disgraziata in cui versano tanti nostri fratelli immiseriti, per l’ottanta per cento della popolazione mondiale.

E allora quale sarebbe l’ideologia da cui un mio confratello vescovo americano, vuole «mettere in guardia» riferendosi alla famosa canzone di John Lennon Imagine? A ben studiare la dottrina sociale della Chiesa cattolica su un tema decisivo per la libertà umana, cioè il diritto alla proprietà privata si viene a sapere che quel diritto, da garantire nelle società democratiche, è in funzione della solidarietà e della distribuzione universale dei beni.

Perciò, immaginare che non esistano confini, per creare una fraternità-sonorità capace di condividere (share all the world) tutto, alle mie orecchie cattoliche suona bene (sounds good).

Conosco poco la vita e il pensiero di Lennon e non so se era «comunista e/o materialista». Ai tempi in cui scrisse Imagine di certo il comunismo era una ideologia (marxianamente intesa).

È probabile che quella canzone ne rappresentasse le esigenze della visione e le sue unilateralità.


E oggi? Esistono ancora quelle ideologie o sono state travolte dalla secolarizzazione delle società dell’ipermercato, dove i soldi sono diventati l’unico generatore simbolico dei valori e l’individualismo egotico ha spazzato via anche il desiderio di fare qualcosa di comunitario?

E del resto, l’annuncio di Nietzsche della “morte di Dio”, non ha anche travolto le ideologie di destra e di sinistra?

Famoso è quel passaggio: «Abbiamo oscurato il Sole, e ora non c’è più orientamento, la vita dell’uomo è un permanente cadere; non esiste più alto, né basso, né destra né sinistra».

E non è poi Imagine un’opera d’arte che nasce e rinasce di continuo in chi l’ascolta e la canta? E chi ascolta e canta non interviene forse con la sua “competenza interpretativa” a condividere il mondo del testo e riconfigurarlo creativamente? La preoccupazione del vescovo, allora, non potrebbe più essere quella dello stare attenti a una ideologia materialista senza trascendenza, ma piuttosto quella di abilitare la competenza interpretativa del credente perché sappia riconoscere la trascendenza là dove meno te l’aspetti, per riaccendere l’immaginazione del suo sensus Regni, secondo Gesù.

È in questa direzione che ho potuto fare da due anni a questa parte i miei auguri natalizi al popolo di Noto, e soprattutto ai giovani, con il testo e la melodia di Imagine. È perché ho potuto leggere quel testo proprio cristianamente, raggiungendo il messaggio autentico di Lennon attraverso la luce del Vangelo per sostenere che anche Gesù avrebbe cantato questa canzone con convinzione e senza timore della ideologia soggiacente.

Su tutto?

Anche sulla negazione del Paradiso (Imagine there is no Haeven) e della Religione (and no Religion too)? Assolutamente sì. Malgrado Lennon (forse!) il messaggio di Imagine raggiunge al cuore la predicazione di Gesù sul Paradiso e su Dio.

Dovremmo dirlo con chiarezza soprattutto oggi, tempo oscuro di terrorismo internazionale a matrice religiosa.

Il Paradiso dei kamikaze va immaginato inesistente per guadagnare la pace (come anche il Valalla dei Vichinghi, d’altra parte): bisogna negare un paradiso per cui si uccide e si muore.

I martiri cristiani non muoiono per il Paradiso, ma per amore gratuito, a imitazione di Gesù e se nel linguaggio dei folli — «è tanto il ben che dopo morte imploro che mi sento di morire perché non moro» (Teresa d’Avila e Giovanni della Croce) — resta il fatto che l’offrirsi a morire è per la vita di altri e mai per praticare violenza e uccidere.

E non dobbiamo anche su Dio (oltre che sulla religione) fare assoluta chiarezza e togliere tutti gli equivoci del passato sull’uso della violenza per propagare la fede?

Benedetto XVI nella sua lezione a Regensburg ha affermato che «agire con violenza è contro la natura di Dio e dell’anima».

Papa Francesco continua a dire pubblicamente che «agire con violenza in nome di Dio è satanico». La maschera del Dio guerriero ha giustificato ideologicamente anche diversi Papi guerrieri. Allora cantando Imagine di John Lennon bisognerà augurarsi che la religione della fede cattolica cristiana non si riduca a “religione senza fede”. E non è questo il rischio del cattolicesimo convenzionale? E se invece si immagina che in cielo ci sia Dio e che Dio sia «solo e sempre amore» e la sua presenza sulla terra porti tutti gli uomini a vivere di questo amore, allora potremmo riscrivere creativamente un testo (così ho inteso fare su Youtube con il titolo Imagine Peace) che Lennon sottoscriverebbe. Continuo a credere (dopo molto studio dei testi degli atei contemporanei) che l’ateismo è negazione di un Dio-idolo falso che anche i cristiani dovrebbero negare (un Dio per cui uccidere e a fare guerre, «perché Dio lo vuole»). Forse in questa nuova sinodalità, cui Papa Francesco convoca la Chiesa, dovremmo ascoltare non solo le voci di “tutti noi”, quelle del coro ecclesiale, per intenderci, ma anche le voci della folla (sempre più numerosa) dei “contro di noi”. Potrebbe capitare di comprendere che quell’essere contro — proprio là dove meno te lo aspetti — è spesso una (pro)vocazione di Dio, a rivedere le proprie immagini di Dio, nel caso sia stato mascherato, con tratti deturpanti, il suo vero volto. Non nominare il nome di Dio invano, resta un comandamento anche per i cristiani. Cominciare a nominare Dio con nuovi nomi divini, più coerenti con il Vangelo di Gesù, è il compito della predicazione, della catechesi e della teologia del presente e del futuro, affinché i cristiani adorino sempre meglio l’Agape trinitaria, «solo e sempre amore».