Da oggi e per i prossimi giorni, proponiamo ai nostri lettori alcune meditazioni liturgiche tratte dall’Année Liturgique di dom Propser Guéranger, monumentale opera apparsa per la prima volta in Francia nel 1841-66 e in Italia verso la metà degli anni Cinquanta.
L.V.
LA VEGLIA PASQUALE
La Stazione
A Roma, la Stazione è nella chiesa madre e matrice di San Giovanni in Laterano; il sacramento della rigenerazione è amministrato nel battistero costantiniano. I gloriosi ricordi del IV secolo aleggiano ancora sotto le volte di questi antichi santuari; infatti ogni anno ivi si amministra il battesimo di qualche adulto e numerose ordinazioni aggiungono nuovi splendori alla giornata.
BENEDIZIONE DEL FUOCO E DELL’INCENSO
L’ultimo Scrutinio
Mercoledì scorso i catecumeni furono convocati per oggi all’ora di terza (le nove del mattino). È il momento dell’ultimo scrutinio, presieduto dai sacerdoti, i quali domandano il Simbolo a coloro che non lo hanno ancora professato. Fatta la stessa cosa per l’orazione domenicale e per gli attributi biblici dei quattro evangelisti, uno dei sacerdoti, dopo aver esortato gli aspiranti al Battesimo a mantenersi raccolti e in preghiera, li congeda.
Il nuovo fuoco
All’ora di Nona (le tre pomeridiane), il Vescovo si reca insieme a tutto il clero nella chiesa; quindi ha inizio la veglia del Sabato Santo. Il primo rito da compiere è la benedizione del nuovo fuoco, che con la sua luce illuminerà la funzione per tutta la notte. Era usanza dei primi secoli cavare, ogni giorno, il fuoco da un ciottolo, prima dei vespri, e con esso accendere le lampade e i ceri che dovevano ardere durante l’ufficio e rimanere accesi in chiesa fino ai vespri del giorno seguente. La Chiesa di Roma praticava tale usanza con maggior solennità il mattino del Giovedì Santo; in tal giorno il nuovo fuoco riceveva una benedizione speciale. In seguito a un’istruzione, che il papa san Zaccaria fece per lettera a san Bonifacio, arcivescovo di Magonza nell’VIII secolo, venivano accese col fuoco tre lampade, che poi erano custodite con diligenza in un luogo segreto. A esse s’attingeva la luce per la notte del Sabato Santo. Nel secolo appresso, sotto il papa san Leone IV, nell’847, la Chiesa di Roma finì per estendere anche al Sabato Santo l’usanza degli altri giorni dell’anno, consistente nell’ottenere il nuovo fuoco da una pietra¹.
Il Cristo, Pietra e Luce
Il senso di questa simbolica osservanza, non più praticata se non in questo giorno nella Chiesa latina, è facile coglierlo ed è molto profondo. Gesù Cristo disse: «Io sono la Luce del mondo»²; dunque la luce materiale è figura del Figlio di Dio. Anche la pietra è uno dei tipi sotto il quale viene nelle Scritture raffigurato il Salvatore del mondo, «Cristo è la pietra angolare», ci dicono unanimemente san Pietro³ e san Paolo⁴, i quali non fanno che applicare a lui le parole della profezia di Isaia⁵. Ma in questo momento la viva scintilla che sprizza dalla pietra rappresenta un simbolo ancora più completo: è Gesù Cristo, che balza fuori dal sepolcro incavato nella roccia, attraverso la pietra che ne suggella l’ingresso.
La tomba di Gesù è fuori delle porte di Gerusalemme; le donne e gli apostoli dovranno uscire dalla città per recarvisi e per constatare la risurrezione. Così il vescovo e i suoi accompagnatori usciranno dalla chiesa per portarsi sul sagrato, là ove brillerà nella notte il nuovo fuoco. Il vescovo lo benedice con questa preghiera:
O Dio, che per mezzo di tuo Figlio, pietra angolare, hai acceso nei fedeli il fuoco del tuo splendore, santifica questo nostro fuoco fatto scaturire dalla pietra affinché servisse alle nostre necessità; e concedi di essere tanto infiammati da queste feste pasquali di celesti desideri da poter giungere con l’anima pura alle feste pasquali dell’eterno splendore. Per lo stesso Cristo nostro Signore.
In seguito, egli asperge il fuoco con acqua benedetta e lo incensa. Ed è giusto che il fuoco misterioso, destinato a fornire la luce al cero pasquale più tardi allo stesso altare, riceva una benedizione particolare e sia salutato con trionfo dal popolo cristiano.
BENEDIZIONE DEL CERO PASQUALE
A questo punto viene portato davanti al vescovo il Cero che la chiesa ha già preparato affinché riluca durante questa lunga veglia. Questa grande torcia, tutta d’un pezzo, a forma di colonna, rappresenta il Cristo. Prima d’essere accesa, essa era simboleggiata nella colonna di nube che avvolse la partenza degli Ebrei all’uscita dall’Egitto: sotto questa prima forma essa figura il Cristo nella tomba, morto e sepolto. Quando riceverà la fiamma, vedremo in essa la colonna di fuoco che rischiara i passi del popolo santo e l’aspetto di Cristo raggiante degli splendori della sua risurrezione.
Con un punteruolo, il vescovo traccia su di essa, nei punti stabiliti per ricevere i grani di incenso, una croce. Alla cima di questa croce egli segna la lettera greca Alpha, al fondo la lettera Omega e tra i bracci della croce quattro numeri, ossia la data dell’anno; e intanto pronuncia queste parole:
Cristo ieri e oggi
Inizio e fine
Alpha e Omega
Suoi sono i tempi
E i secoli
A Lui gloria e onore
Per tutti i secoli e per tutta l’eternità. Amen.
Il numero di questi grani d’incenso infissi nella massa del Cero rappresenta le cinque piaghe di Cristo sulla Croce, mentre i grani stessi simboleggiano i profumi che la Maddalena e le donne avevano preparato mentre il Cristo riposava nella tomba. A questo punto, il diacono accende al nuovo fuoco un piccolo cero e lo presenta al vescovo che se ne serve per accendere a sua volta il Cero pasquale dicendo:
La luce della gloriosa risurrezione di Cristo dissipi le tenebre del cuore e dello spirito.
Poi benedice il Cero recitando questa preghiera:
Fa’ scendere, o Signore, su questo cero acceso l’effusione abbondante delle tue benedizioni; accendi tu stesso questa luce che deve rischiararci in questa notte, o invisibile rigeneratore; affinché il sacrificio che ti viene offerto durante questa notte sia illuminato dal tuo fuoco misterioso e affinché in ogni luogo ove sia portato quanto ora viene benedetto, la potenza e la malizia del diavolo venga vinta e vi trionfi la potenza della tua divina maestà. Amen.
Durante questa cerimonia sono state spente tutte le luci della Chiesa. Una volta i fedeli spegnevano perfino il fuoco delle case prima di recarsi in chiesa e non accendevano le altre luci della città se non mediante questo fuoco benedetto, consegnato ai fedeli in pegno della divina risurrezione. Notiamo a questo punto un altro simbolo non meno significativo: l’estinzione di ogni luce, in questo momento significa l’abrogazione della antica legge che è cessata quando venne scisso il velo del tempio; il nuovo fuoco simboleggia la misericordiosa promulgazione della legge nuova che Gesù Cristo ha portato dissipando tutte le ombre della prima alleanza.
PROCESSIONE SOLENNE E MESSAGGIO PASQUALE
A questo punto il diacono veste la stola e la dalmatica bianca, prende il Cero pasquale acceso ed entra nella chiesa buia in testa al corteo. Dopo un breve cammino la processione si ferma e tutti si voltano verso il Cero che il diacono solleva ben alto e mentre canta:
Luce di Cristo.
Tutti rispondono: ringraziamo Dio.
Questa prima apparizione della luce proclama la divinità del Padre che si è manifestato a noi attraverso Gesù Cristo: «Nessuno conosce il Padre – ha detto Gesù – se non il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo»⁶.
Tutti si alzano e il vescovo che ha benedetto il Cero pasquale accende alla sua fiamma la sua candela e la processione riprende verso la chiesa.
Al centro della chiesa la processione si ferma ancora e tutti si inginocchiano mentre il diacono canta per la seconda volta in un tono leggermente più alto:
Luce di Cristo.
Tutti rispondono: ringraziamo Dio.
Questa seconda ostensione della luce ci parla della divinità del Figlio che si manifestò agli uomini nella incarnazione rivelando loro la sua uguaglianza di natura col Padre.
Il clero e gli altri ministri accendono le loro candele al Cero pasquale e poi la processione continua fino a che il diacono giunge all’altare. Allora alza il Cero per la terza volta mentre tutti si inginocchiano e canta:
Luce di Cristo.
Si risponde sempre: ringraziamo Dio.
Tutti allora si alzano e accendono le candele al Cero. Questa terza ostensione della luce proclama la divinità dello Spirito Santo che ci è stato rivelato da Gesù Cristo quando impose agli apostoli il solenne precetto che la Chiesa sta per mettere in pratica questa notte: «Andate e ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»⁷. Per mezzo del Figlio che è «luce del mondo», gli uomini hanno conosciuto la santissima Trinità: il vescovo, prima di procedere al loro battesimo, chiederà ai catecumeni di professare la loro fede in essa.
A questo punto s’accendono col nuovo fuoco le lampade che stanno appese in chiesa. Tale accensione ha luogo subito dopo quella del Cero pasquale, perché la conoscenza della risurrezione del Salvatore si diffuse successivamente, fino a che tutti i fedeli non ne furono rischiarati. Tale succedersi ci dimostra inoltre che la nostra risurrezione sarà la continuazione e l’imitazione di quella di Gesù Cristo il quale ci apre la via da percorrere per riacquistare l’immortalità, dopo essere, come lui, passati nella tomba.
Il primo compito del nuovo fuoco è di annunziare gli splendori della Trinità. Ma ora servirà alla gloria del Verbo Incarnato, completando il magnifico simbolo che d’ora innanzi deve attirare i nostri sguardi. Salito il vescovo sul trono, il diacono, lasciato il Cero, viene ad inginocchiarsi ai suoi piedi e chiede la benedizione per compiere il suo solenne ministero. Il vescovo gli risponde:
Il Signore sia nel tuo cuore e sulle tue labbra affinché tu possa annunziare con dignità e competenza la proclamazione della Pasqua.
Il Cero pasquale è stato posto sul candeliere in mezzo al presbiterio; il diacono incensa il leggio, gira attorno al Cero incensandolo da tutte le parti, ritorna davanti al leggio e inizia il canto dell’Exultet mentre tutti tengono la candela in mano.
Negli elogi che il diacono prodiga a questo Cero glorioso già si sente echeggiare l’annuncio della Pasqua; nel celebrare le lodi della divina fiaccola, di cui il Cero è l’emblema, egli compie la funzione di araldo della Risurrezione dell’uomo-Dio. Unico ad essere rivestito di bianco, mentre il vescovo indossa i colori della Quaresima, il diacono fa sentire la sua voce nella benedizione del Cero con una libertà che non è consentita di solito alla presenza del sacerdote, e tanto meno del vescovo. Gli interpreti della liturgia ci insegnano che il diacono rappresenta, in questo momento, la Maddalena e le altre pie donne, che per primi ebbero l’onore d’essere edotti da Gesù della propria risurrezione e furono incaricati d’avvertire gli apostoli ch’egli era uscito dalla tomba e li avrebbe preceduti nella Galilea⁸.
Ascoltiamo pertanto i melodiosi accenti di quel sacro canto, che farà battere i nostri cuori e ci farà pregustare le allegrezze che ci riserva questa notte meravigliosa. Il diacono esordisce con questo lirico tono:
Esulti ormai l’angelica schiera celeste, esultino divini i misteri e la vittoria di sì gran Re annunci la tromba della salvezza. Goda pure la terra illuminata dai raggi di tanti fulgori, e resa brillante dallo splendore del Re eterno, si senta sgombra dalla caligine del mondo intero. Si allieti pure la Madre Chiesa adornata degli splendori di tanta luce, e questo tempio risuoni delle acclamazioni dei popoli. Perciò, o fratelli carissimi, che assistete a tanto meraviglioso splendore di questa santa luce, invocate insieme con me, ve ne prego, la misericordia di Dio onnipotente; affinché Egli che, senza alcun mio merito, si è degnato di aggiungermi al numero dei Leviti, infondendo in me lo splendore della sua luce, faccia sì ch’io possa dir tutte le lodi di questo Cero. Per nostro Signore Gesù Cristo suo Figlio, il quale vive e regna Dio con lui nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Così sia.
V. Il Signore sia con voi.
R. E con il tuo spirito.
V. In alto i cuori.
R. Son rivolti al Signore.
V. Ringraziamo il Signore Dio nostro.
R. È cosa buona e giusta.
È veramente degno e giusto acclamare, con tutte le forze del cuore, dell’anima e della voce, l’invisibile Dio Padre onnipotente e il suo Figlio Unigenito, nostro Signore Gesù Cristo. Il quale ha per noi pagato all’eterno Padre il debito d’Adamo, e col pio sangue ha cancellato la nota delle pene dell’antica colpa. Queste infatti son le feste pasquali in cui viene immolato il vero Agnello che col sangue consacra le porte dei fedeli. È questa la notte in cui, dopo aver tratti i figli d’Israele, nostri padri, dall’Egitto, li facesti passare a piedi asciutti attraverso il Mar Rosso. È dunque questa la notte in cui lo splendore della colonna di fuoco ha cacciato le tenebre dei peccati. Questa è la notte che oggi, dopo aver per tutto il mondo sottratti dai vizi del secolo e dalla caligine del peccato quelli che credono in Cristo, li restituisce alla grazia, li unisce alla società dei santi. Questa è la notte in cui, spezzate le catene della morte, Cristo esce vittorioso dalla regione dei morti. Nulla certo ci avrebbe giovato il nascere senza il benefizio della redenzione. Oh! Meravigliosa degnazione della tua pietà verso di noi. Oh! Eccesso incomprensibile di carità: per redimere il servo hai abbandonato alla morte il Figlio! Oh! Certamente necessario peccato d’Adamo! Ch’è stato cancellato dalla morte di Cristo! Oh! felice colpa, che meritò d’avere tale e tanto Redentore. Oh! notte veramente beata, che sola meritò di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo risuscitò dalla regione dei morti! Questa è la notte di cui sta scritto: La notte diverrà luminosa come il giorno; e: La notte è la mia luce nelle mie delizie. Difatti la santità di questa notte bandisce i delitti, lava le colpe, ridona l’innocenza ai caduti, l’allegrezza ai mesti; fuga gli odii, fa ritornare la concordia, e, sottomette gli imperi.
Accetta dunque in questa gradita notte, o Padre santo, il sacrificio serale di quest’incenso, che nell’offerta di questo Cero, frutto del lavoro delle api, ti fa la santa Chiesa per mezzo dei suoi ministri. Ma già conosciamo la gloria di questa colonna, che la brillante fiamma accende in onore di Dio.
Questa fiamma, sebbene divisa in parti, non diminuisce comunicando la sua luce. Essa infatti viene alimentata dalla cera liquefatta che la madre ape ha prodotto per questa preziosa lampada.
O notte veramente beata, che spogliò gli Egizi e arricchì gli Ebrei! Notte in cui alle terrene s’uniscono le cose celesti, alle umane le divine.
Ti preghiamo dunque, o Signore, a far sì che questo Cero, consacrato al tuo nome per dissipare le tenebre di questa notte, duri sino in fondo senza venir meno e, ricevuto in odore di soavità, sia unito ai celesti splendori. Trovi ancora la sua fiamma l’astro del mattino, quell’astro, dico, che non conosce tramonto, quello che, risorto dalla regione dei morti, brilla sereno sopra il genere umano.
Ti preghiamo dunque, o Signore, di concedere tempi tranquilli in queste gioie pasquali, di reggere, governare e conservare con protezione continua noi tuoi servi, tutto il clero, il devotissimo popolo, insieme al beatissimo nostro papa N., e al nostro vescovo N. Volgi ancora lo sguardo a coloro che ci reggono col potere e, per il dono della tua ineffabile pietà e misericordia, dirigi i loro pensieri alla giustizia e alla pace, affinché dopo la terrena fatica raggiungano la patria celeste insieme con tutto il tuo popolo. Per lo stesso Signore nostro Gesù Cristo tuo Figlio, il quale vive con te, regna Dio nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. R. Così sia.
Terminata questa preghiera, il diacono depone la dalmatica bianca e, indossata quella violacea, torna a lato del vescovo. Cominciano a questo punto le lezioni prese dai libri dell’Antico Testamento.
LETTURE
Dopo tale preludio, mentre le luci della risurrezione risplendenti per tutta la chiesa rallegrano i cuori dei fedeli, ha inizio la quarta parte della Veglia pasquale. Per completare quell’istruzione già iniziata al tempo della Quaresima si procede ora alla lettura di qualche passo delle Scritture particolarmente adatti a questa solenne circostanza.
Come per le altre Veglie dell’antica Chiesa romana, le letture di questa notte erano dapprima in numero di dodici. Al tempo della dominazione bizantina venivano lette anche in greco per i fedeli che non capivano il latino. In seguito il numero venne ridotto a sei, numero conservato ancora oggi per il sabato delle Quattro Tempora, oppure a quattro, come si verifica ad esempio nel Sacramentario Gregoriano e nel primo Ordo romano. L’uso delle quattro letture si conservò in diverse chiese mentre altre, e tra esse quella di Roma, erano tornate al numero di dodici.
Durante queste letture i sacerdoti compivano sui catecumeni i riti preparatori del battesimo, pieni di profondo significato. Prima tracciavano sulla loro fronte il segno della croce; poi imponevano su di loro la mano, scongiurando Satana di uscire dall’anima e dal corpo per lasciare libero il posto a Gesù Cristo. Imitando l’esempio del Salvatore, toccavano con la propria saliva le orecchie dei neofiti, dicendo «Apritevi»; e poi le narici, aggiungendo: «Respirate la soavità dei profumi». Quindi ciascun neofita riceveva l’unzione dell’Olio dei Catecumeni sul petto e tra le spalle; ma prima di questa cerimonia, che lo consacrava atleta di Dio, il sacerdote lo aveva già invitato a rinunciare a Satana, alle sue pompe e alle sue opere.
Questi riti si compivano prima sugli uomini, poi sulle donne.
I bambini dei fedeli, nonostante la loro piccola età, erano pure annoverati secondo il sesso e, se tra i catecumeni si trovava qualcuno affetto da malattia, e che tuttavia si era fatto portare alla chiesa per ricevere questa notte la grazia della rigenerazione, il sacerdote pronunciava su di lui un’orazione, nella quale si chiedeva a Dio che lo soccorresse e confondesse la malizia di Satana.
L’insieme di questi riti, chiamato catechizzazione, durava parecchio, per il gran numero degli aspiranti al Battesimo. Per questo motivo il vescovo si era recato in chiesa fin dall’ora Nona e si era data inizio di buon’ora alla grande veglia. Ma per tenere attenta l’assemblea durante le ore richieste dall’adempimento di tutti i riti, dall’alto dell’ambone si leggevano i brani delle Scritture più adatti alla solenne circostanza. Tali lezioni nel loro insieme completavano il corso dell’istruzione, di cui abbiamo seguito lo svolgersi durante l’intera Quaresima.
I catecumeni oggi sono meno numerosi di un tempo e, col ritorno della cerimonia alle ore notturne, questi riti preparatori potrebbero essere compiuti anche nel pomeriggio; e sempre per alleggerire questa parte della veglia, si leggono appena quattro letture. Esse vengono cantate davanti al Cero pasquale acceso in mezzo al presbiterio, mentre tutti sono seduti e ascoltano.
Dopo ogni lettura, il diacono invita l’assemblea dei fedeli a rivolgere a Dio, in ginocchio, una preghiera silenziosa, nella quale ciascuno esprima i sentimenti che la lettura ha fatto nascere in lui. Quindi il diacono ordina a tutti di alzarsi e il vescovo raccoglie la preghiera di ciascuno nell’orazione detta colletta (raccogliere) che è la preghiera di tutta la Chiesa. Certi canti, ispirati all’Antico Testamento e introdotti dalle stesse letture, riuniscono tutte le voci nella melodia del Tratto e mentre lo istruiscono, contribuiscono a rendere l’uditorio più attento. L’assieme di tutta la funzione presenta l’aspetto di una austera gravità: l’ora in cui Cristo risusciterà nei suoi fedeli non è ancora scoccata.
PRIMA PARTE DELLE LITANIE DEI SANTI
E BENEDIZIONE DELL’ACQUA BATTESIMALE
Terminate le letture, due cantori in ginocchio in mezzo al presbiterio cantano le Litanie dei Santi fino all’invocazione Propitius esto. Tutti stanno in ginocchio e rispondono.
A questo punto il canto viene interrotto. In mezzo al presbiterio dalla parte dell’Epistola è stato preparato un recipiente con l’acqua che dovrà essere benedetta e con quanto è necessario per questa benedizione; il vescovo, in piedi davanti al popolo, dà inizio alla benedizione in presenza dei fedeli.
Il Vescovo dice: Il Signore sia con voi.
I fedeli rispondono: E col tuo spirito.
PREGHIAMO
O Dio onnipotente ed eterno, riguarda propizio la devozione del popolo che rinasce ed anela, come il cervo, alle fonti delle tue acque; e concedigli propizio che la sete ispirata dalla sua fede, pel mistero del Battesimo, ne santifichi l’anima e il corpo.
La benedizione dell’acqua battesimale è di istituzione apostolica⁹, essendo l’antichità di tale pratica attestata dai maggiori dottori, fra cui san Cipriano, sant’Ambrogio, san Cirillo di Gerusalemme e san Basilio. È quindi giusto che quest’acqua, strumento della più divina fra le meraviglie, nel glorificare Dio che s’è degnato associarla ai disegni della sua misericordia verso l’umanità, sia circondata di tutto quell’apparato che possa renderla anch’essa gloriosa in faccia al cielo e alla terra. All’uscire dall’acqua, secondo l’immagine dei Padri dei primi secoli, i cristiani sono i fortunati pesci di Cristo; niente, quindi, da stupire, se in presenza dell’elemento cui devono la vita, trasaliscano di gioia e rendano gli onori dovuti all’autore stesso dei prodigi che la grazia sta per operare in essi. La preghiera di cui si serve il pontefice per benedire l’acqua ci riporta alla culla della fede, per la nobiltà e la forza dello stile, per l’autorità del suo linguaggio e per i riti antichi e primitivi che l’accompagnano. Essa viene cantata sul modo solenne del prefazio ed è pregna d’un lirismo ispirato. Il pontefice prelude con una semplice orazione, dopo la quale esplode l’entusiasmo della santa Chiesa, che, per richiamare l’attenzione di tutti i suoi figli, provoca le loro acclamazioni, mentre li invita a innalzare i loro cuori, dicendo: In alto i cuori!
V. Il Signore sia con voi.
R. E con il tuo spirito.
PREGHIAMO
O Dio onnipotente ed eterno, assisti a questi misteri e sacramenti della tua grande pietà e manda lo spirito di adozione a rigenerare i nuovi popoli che il fonte battesimale ti partorisce; affinché per effetto della tua virtù si compia ciò che siamo per fare mediante il nostro umile ministero. Per il nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio il quale vive e regna con te Dio nell’unità dello Spirito Santo.
V. Per tutti i secoli dei secoli.
R. Così sia.
V. Il Signore sia con voi.
R. E col tuo spirito.
V. In alto i cuori.
R. Sono rivolti al Signore.
V. Ringraziamo il Signore Dio nostro.
R. È cosa degna e giusta.
È veramente degno e giusto, equo e salutare, che noi sempre in ogni luogo rendiamo grazie a te, o Signore santo, Padre onnipotente, Dio eterno; che con invisibile potenza operi mirabilmente l’effetto dei tuoi sacramenti. E benché noi siamo indegni d’essere ministri di sì grandi misteri, tuttavia non ci privare dei doni della tua grazia e porgi l’orecchio della tua pietà alle nostre preghiere. O Dio, il cui spirito negli stessi princìpi del mondo si portava sulle acque, affinché fin d’allora la sostanza delle acque ricevesse la virtù di santificare. O Dio che, lavando con le acque i delitti di un mondo colpevole, nella inondazione del diluvio facesti vedere la figura della rigenerazione; che allora facesti sì che il medesimo elemento divenisse misteriosamente termine del peccato e principio di virtù. Riguarda, o Signore, in faccia la tua Chiesa e moltiplica in essa le tue rigenerazioni, tu che con l’impetuoso fiume della tua grazia rallegri la tua città, e per tutta quanta la terra apri il fonte del battesimo per rinnovare le nazioni; affinché per comando della tua maestà essa riceva la grazia del tuo Unigenito dallo Spirito Santo.
Qui il pontefice si ferma un istante e, immergendo la mano nelle acque, le divide in forma di croce, per significare ch’esse, mediante la virtù della croce, hanno riacquistato la capacità di rigenerare le anime. Fino a che Gesù Cristo non morì sulla Croce, questo meraviglioso potere era per loro solo una promessa; mancava l’effusione del sangue divino, perché ciò fosse loro conferito. È il sangue di Gesù che opera dentro l’acqua sulle anime mediante la virtù dello Spirito Santo, alla quale s’è richiamato il pontefice.
Ch’egli, con la misteriosa unione della sua divinità, fecondi quest’acqua preparata per la rigenerazione degli uomini; affinché, ricevuta la santificazione dal seno purissimo di questo fonte divino, venga fuori una creatura rinata, una generazione celeste; e tutti, sebbene distinti per sesso o per età, siano partoriti dalla grazia nella medesima infanzia. Per tuo comando, o Signore, s’allontani dunque da qui ogni spirito immondo e stia lontana ogni malvagità e artifizio diabolico. Non vi abbia parte alcuna la potenza del nemico, non vi voli attorno con insidie, non vi si insinui di nascosto, non la corrompa né la contamini.
Dopo queste parole, con le quali il vescovo chiede a Dio che voglia allontanare dalle acque l’influsso degli spiriti maligni, che tentano d’infettare tutto il creato, stende su di esse la mano e le tocca. L’augusto carattere del pontefice e del sacerdote è sorgente di santificazione; quindi il solo contatto della mano consacrata esercita già un potere sulle creature, in virtù del sacerdozio di Cristo che in lui risiede.
Questa sia una creatura santa e innocente, libera da ogni assalto nemico e purgata per l’allontanamento di ogni malvagità. Sia una sorgente viva, un’acqua che rigenera, un’onda che purifica; affinché quelli che saranno lavati in questo bagno salutare, operando in essi lo Spirito Santo, conseguano la grazia d’una perfetta purificazione.
Pronunciando poi le seguenti parole, il vescovo benedice tre volte l’acqua del fonte, facendovi tre segni di croce.
Perciò ti benedico, o creatura dell’acqua, per il Dio vivo, per il Dio vero, per il Dio santo, per quel Dio che in principio con una parola ti separò dalla terra e il cui spirito si muoveva su di te.
A questo punto, per ricordare le acque una volta destinate a fecondare il Paradiso terrestre, che era attraversato da quattro fiumi, il vescovo le divide con la mano e le getta verso le quattro parti del mondo, che poco dopo dovevano ricevere la predicazione del battesimo. Compie questo rito così profondo, dicendo le parole:
Per il Dio che ti fece scaturire dal fonte del Paradiso e ti ordinò d’irrigare con quattro fiumi tutta la terra; che da amara qual eri nel deserto, ti rese potabile con la sua dolcezza, e che per dissetare il popolo ti fece scaturire dalla pietra. Ti benedico anche per Gesù Cristo, unico suo Figlio, Signore nostro, il quale in Cana di Galilea, con un meraviglioso miracolo della sua potenza, ti cambiò in vino, camminò su di te e in te fu battezzato da Giovanni nel Giordano. Il quale ti fece uscire dal suo costato insieme col suo sangue e comandò ai suoi discepoli di far battezzare in te i credenti, dicendo: Andate, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Qui il vescovo sospende il tono del prefazio e prosegue con un tono più semplice di voce. Quindi, segnata l’acqua col segno della croce, invoca su di essa la fecondità dello Spirito Santo.
Mentre noi mettiamo in pratica questi precetti tu, o Dio onnipotente, assisti propizio e benigno alita.
Lo Spirito Santo porta un nome che significa soffio; è il soffio divino, potente come un turbine, che si fece sentire nel Cenacolo. Questo divino carattere della terza persona divina viene espresso dal pontefice con l’alitare tre volte sull’acqua del fonte, in forma di croce; poi continua senza riprendere il tono del prefazio.
Tu stesso con la tua bocca benedici queste acque pure affinché, oltre alla naturale virtù di purificare, usate per lavare i corpi, ricevano anche quella di purificare le anime.
Poi prende il Cero e ne immerge l’estremità inferiore nella vasca. Questo rito, che data dall’XI secolo, esprime il mistero del battesimo di Cristo nel Giordano, quando le acque ricevettero la caparra del loro divino potere e lo Spirito Santo, nel momento in cui il Figlio di Dio discese nel fiume, si posò sul suo capo in forma di colomba. Oggi non è data più una semplice caparra: l’acqua riceve veramente la virtù promessa, mediante l’azione delle due divine persone. Perciò il vescovo, riprendendo il tono del Prefazio e infondendo nell’acqua il Cero pasquale, simbolo di Cristo, sul quale si fermò la celeste colomba, canta:
Discenda su tutta l’acqua di questo fonte la virtù dello Spirito Santo.
Questa volta, prima di ritirare il Cero dall’acqua, il Vescovo si inchina sul fonte; e, per unire in un solo invisibile simbolo la potenza dello Spirito Santo alla virtù dì Cristo, alita di nuovo sopra l’acqua, ma non più in forma di croce, sebbene tracciando col suo alito questa lettera dell’alfabeto greco, ψ, che, in questa lingua, è la prima lettera della parola Spirito, ψυχή prosegue nella sua preghiera:
E a tutta questa massa d’acqua dia la feconda efficacia di rigenerare.
Toglie allora il Cero dal fonte e continua:
Qui si cancellino le macchie di tutti i peccati, qui la natura creata a tua immagine e ristabilita nella sua dignità di origine, si purifichi da tutti i deturpamenti antichi; affinché ogni uomo che entra in questo sacramento di rigenerazione, rinasca alla nuova infanzia della vera innocenza.
Dopo ciò, il vescovo di nuovo sospende il tono del prefazio e pronuncia senza canto la seguente conclusione:
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, il quale verrà a giudicare i vivi e i morti e il mondo col fuoco. R. Così sia.
Dopo che il popolo ha risposto Amen, un sacerdote asperge l’assemblea con l’acqua del fonte e un chierico minore, attingendovi un vaso pieno d’acqua, lo conserva per il servizio in chiesa e l’aspersione delle case dei fedeli.
Le preghiere per la benedizione dell’acqua sono ormai terminate; eppure la santa Chiesa non ha ancora finito di compiere, verso quest’elemento, tutto quello che ha stabilito di fare. Giovedì scorso entrò un’altra volta in possesso delle grazie dello Spirito Santo mediante la consacrazione dei santi Oli; oggi vuole onorare l’acqua battesimale, infondendo in essa questi oli così rinnovati che furono accolti con tanta gioia. Il popolo fedele imparerà a venerare sempre più la sorgente purificante dell’umana salvezza, nella quale sono racchiusi tutti i simboli dell’adozione divina. Quindi il vescovo prende l’ampolla che contiene l’olio dei catecumeni e, versandolo sull’acqua, pronuncia le parole:
Sia santificato e fecondato questo fonte dall’olio della salute per la vita eterna di tutti i rigenerandi. R. Così sia.
Allo stesso modo vi versa una parte del sacro Crisma, dicendo:
L’infusione del Crisma di nostro Signore Gesù Cristo e dello Spirito Santo Paraclito sia fatta nel nome della santa Trinità. R. Così sia.
Da ultimo, tenendo nella destra il Crisma e nella sinistra l’olio dei catecumeni, li versa insieme nell’acqua e, terminando questa sacra libazione, che esprime la sovrabbondanza della grazia battesimale, conclude:
La mescolanza del Crisma che santifica, dell’olio che unge e dell’acqua battesimale sia fatta ugualmente nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. R. Così sia.
Dopo queste parole il vescovo sparge gli oli Santi sulla superficie dell’acqua affinché si impregni tutta quanta di questo ultimo grado di santificazione.
Essendo stata benedetta l’acqua, si può procedere all’amministrazione del battesimo. I catecumeni sono invitati ad avvicinarsi al vescovo, in mezzo al presbiterio.
Durante i primi secoli, il Battesimo veniva amministrato non al centro del presbiterio ma al battistero, che allora era fuori della chiesa, e la cerimonia aveva luogo secondo questo ordine:
Il corteo si portava al luogo ove era stata preparata l’acqua: l’edificio era staccato dalla chiesa, di forma rotonda e ottagonale. Il centro era costituito da una specie di vasto bacino al quale si accedeva mediante diversi gradini. L’acqua vi veniva fatta affluire attraverso certi canali e vi zampillava dalla bocca di un cervo in metallo. Al di sopra del bacino si elevava una cupola al centro della quale era raffigurato lo Spirito Santo, con le ali tese nell’atto di fecondare le acque; una balaustra correva attorno al bacino, allo scopo di separare i battezzandi, i padrini e le madrine dagli altri fedeli: essi soltanto, il vescovo e i sacerdoti, potevano varcarla. Poco distante venivano innalzate due tende che servivano per gli uomini e le donne, e dove essi si ritiravano per asciugarsi e mutarsi l’abito dopo il Battesimo.
Ecco come avveniva la processione verso il battistero. Stava innanzi il Cero pasquale, figura della colonna luminosa che guidò Israele nelle tenebre della notte, verso il Mar Rosso; seguivano i catecumeni, accompagnati, gli uomini dai padrini a destra, le donne dalle madrine a sinistra: ognuno veniva accompagnato al battesimo da un cristiano del suo stesso sesso. Gli accoliti portavano, uno il sacro Crisma, l’altro l’olio dei catecumeni; seguiva il clero e infine il vescovo accompagnato dai suoi ministri. La processione si snodava alla luce delle torce, mentre l’aria risuonava di melodiosi canti. Venivano cantati i versetti del salmo nel quale David paragonava il suo desiderio di Dio all’ardore col quale il cervo sospira l’acqua del ruscello. Il cervo che si ammirava al centro del battistero stava a significare appunto il desiderio del catecumeno.
Dopo l’appello, essi avanzavano a uno a uno, guidati gli uomini dai padrini e le donne dalle madrine. Spogliato dei vestiti nella parte superiore del corpo, il catecumeno scendeva i gradini della vasca, entrava nell’acqua a portata di mano del vescovo il quale, con voce alta, gli domandava:
V. Credi in Dio Padre onnipotente, creatore del Cielo e della terra?
R. Credo – rispondeva il catecumeno.
V. Credi in Gesù Cristo, suo unico Signore, che è nato e ha patito per noi?
R. Credo.
V. Credi nello Spirito Santo, nella santa Chiesa Cattolica, nella Comunione dei Santi, nella remissione dei peccati, nella risurrezione della carne, nella vita eterna?
R. Credo.
Dopo questa professione di fede, il vescovo rivolgeva la domanda:
«Vuoi essere battezzato?». «Lo voglio» rispondeva il catecumeno. Allora il vescovo, mettendo la mano sulla testa del catecumeno, la immergeva per tre volte nel fonte dicendo: «Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».
Per tre volte l’eletto veniva immerso nell’acqua; essa lo copriva interamente e lo faceva scomparire allo sguardo dei presenti. Il grande Apostolo spiega questa parte del mistero, dicendo che l’acqua è per l’eletto la tomba dov’è stato sepolto con Cristo e, come Cristo, lo renderà alla vita; la morte subita è quella del peccato e la vita che ora possiede è quella della grazia¹⁰. Così il mistero della risurrezione dell’uomo-Dio si riproduce interamente nel cristiano battezzato. Ma prima che l’eletto uscisse dall’acqua, un rito sublime completava in lui la rassomiglianza col Figlio di Dio. Come la divina colomba si era posata sul capo di Gesù, mentre stava immerso nelle acque del Giordano, così il neofita, prima di uscire dal fonte, riceveva da un ministro il sacro Crisma, dono dello Spirito Santo. Tale unzione indica nell’eletto il regale e sacerdotale carattere del cristiano, che per l’unione con Gesù Cristo, suo capo, partecipa, in un certo grado, alla sua regalità e al suo sacerdozio. Ripieno così dei favori del Verbo eterno e dello Spirito Santo, e ricevuta l’adozione dal Padre, che vede in lui un membro del proprio Figlio, il neofita usciva dal fonte per gli appositi gradini, simile alle pecorelle della divina cantica, quando risalgono dal lavatoio dove hanno purificato la loro bianca lana¹¹. Il padrino l’attendeva sul limitare del fonte, mentre con una mano lo aiutava a salire e con un’altra lo nascondeva con un panno e lo asciugava dall’acqua che gli grondava da tutte le parti.
Il vescovo proseguiva nella sua nobile funzione: quante volte immerge un peccatore nell’acqua, altrettante volte un giusto rinasce dal fonte. Ma non può continuare a lungo un ministero nel quale può essere supplito da altri ministri. Egli solo può conferire ai neofiti il sacramento che li confermerà nel dono dello Spirito Santo: e se, per esercitare questo divino potere, dovesse attendere che tutti i catecumeni siano rigenerati, si arriverebbe al grande giorno prima di compiere tutti i misteri della santa notte. Perciò si limitava a conferire con le proprie mani il santo battesimo ad alcuni eletti, uomini, donne e bambini, lasciando ai ministri la cura di finir di raccogliere la messe del Padre di famiglia. Un apposito luogo del Battistero veniva chiamato Crismario, perché in quel luogo il vescovo conferiva il sacramento della Cresima. Là si dirige e sale sul trono che gli è stato preparato; di nuovo lo rivestono dei paramenti sacri che aveva lasciato recandosi al fonte; e subito vengono portati ai suoi piedi prima i neofiti da lui battezzati e successivamente gli altri rigenerati dal ministero dei sacerdoti. Quindi distribuiva a ciascuno di loro una veste bianca, dicendo: «Ricevi la veste bianca, santa e immacolata; e portala al tribunale di nostro Signore Gesù Cristo per averne la vita eterna». I neofiti, dopo aver ricevuto questo eloquente simbolo, si ritiravano dietro le tende del Battistero, dove deponevano gli abiti inzuppati d’acqua, ne indossavano di nuovi e, con l’aiuto dei padrini e delle madrine, ponevano sopra ogni altro la veste bianca ricevuta dal vescovo. Poi tornavano al Crismario, dove il pontefice conferiva loro solennemente il sacramento della Confermazione.
LA CONFERMAZIONE
Giovedì scorso durante la solennità della consacrazione del Crisma, il pontefice ricordava a Dio, nella sua preghiera, che allorché le acque ebbero adempiuto il loro ministero purificando tutta la terra, sul mondo rinnovato apparve una colomba con un ramo d’ulivo nel becco annunciante la pace e il regno di colui che prende dall’unzione il nome sacro che porterà eternamente. Così pure i neofiti, purificati nell’acqua, attendono ora ai suoi piedi i favori della divina colomba e il pegno di pace di cui è simbolo l’ulivo. Già il sacro Crisma è stato sparso sul loro capo; allora non significava altro che la dignità cui dovevano essere elevati. Ora invece non solamente significa la grazia, ma l’opera nelle anime; perciò si richiede la mano del vescovo, da cui solo dipende la consacrazione del Crisma, non potendo un semplice sacerdote fare l’unzione che conferma il cristiano.
Davanti al vescovo sono schierati i neofiti, gli uomini da un lato, le donne dall’altro; i bambini in braccio ai padrini e alle madrine. Gli adulti poggiavano il piede destro su quello destro di quelli che fungevano loro da padre e da madre, significando con tale segno di unione la filiazione della grazia nella Chiesa.
Nel vedere la schiera riunita intorno a lui, il pastore si rallegra nel suo cuore e, alzandosi dal trono, esclama: «Discenda in voi lo Spirito Santo e la virtù dell’Altissimo vi conservi da ogni peccato!». Stendendo poi le mani, invocava su di loro lo Spirito dai sette doni, il quale solo può confermare nei neofiti le grazie ricevute nelle acque del fonte battesimale.
Guidati dai loro assistenti, essi s’avvicinavano l’uno dopo l’altro al vescovo, ansiosi di ricevere la pienezza del carattere di cristiano.
Il Vescovo intingeva il pollice nel vaso contenente il Crisma e segnava ciascuno di loro sulla fronte col segno incancellabile, dicendo: «Io ti segno col segno della Croce e ti confermo col Crisma della salute nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». E, dando un leggero schiaffo sulla guancia, che presso gli antichi significava la liberazione d’uno schiavo, lo metteva in possesso della completa libertà dei figli di Dio, dicendo loro: «La pace sia con te»¹². I ministri del pontefice fasciavano la testa dei neo cresimati con una benda destinata a salvaguardare da ogni contatto profano la parte della fronte segnata dal sacro Crisma. Il neofita la doveva tenere per sette giorni, assieme alla veste bianca di cui era stato rivestito.
Frattanto, mentre si svolgevano questi misteri, passavano le ore della notte; e giungeva il momento di celebrare, con un sacrificio di giubilo, l’istante supremo in cui Cristo uscirà dalla tomba. È tempo che il pastore riconduca al tempio santo il fortunato gregge che, in una maniera così gloriosa, è venuto ad accrescerne le file; è tempo di offrire alle amate pecorelle il divino alimento cui d’ora in poi hanno diritto. Si aprivano le porte del Battistero e la processione s’avviava verso la basilica. Il Cero pasquale, come una colonna di fuoco, precedeva lo sciamare dei neofiti; e i fedeli venivano dietro al vescovo e al clero e rientravano in chiesa trionfanti. Lungo il percorso, veniva ripetuto il cantico di Mosè dopo il passaggio del Mar Rosso.
RINNOVAZIONE DELLE PROMESSE DEL BATTESIMO
E SECONDA PARTE DELLE LITANIE
Terminata la benedizione, l’acqua deve essere portata al fonte battesimale. La processione vi si reca cantando «Sicut cervus»; poi si ritorna in presbiterio.
Il vescovo veste la stola e il piviale bianco, incensa il Cero e poi si volta verso i fedeli che tengono in mano le candele accese e li invita a rinnovare le promesse del Battesimo.
Io credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra.
E voi credete?
Credo.
Io credo in Gesù Cristo suo Unico Figlio, Dio e uomo, morto in croce per salvarci. E voi credete?
Credo.
Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa cattolica, la comunione dei Santi, la remissione dei peccati, la risurrezione della carne, la vita eterna. E voi credete?
Credo.
Prometto, con l’aiuto che invoco e spero da Dio, di osservare la sua santa legge e di amare Dio con tutto il cuore, sopra ogni cosa e il prossimo come me stesso per amor di Dio. E voi promettete?
Prometto.
Rinuncio al demonio, alle sue vanità e alle sue opere, cioè al peccato. E voi rinunciate?
Rinuncio.
Prometto di unirmi a Gesù Cristo e seguirlo, di voler vivere e morire per Lui. E voi promettete? Prometto.
In nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
A chiusura di questa cerimonia si canta l’altra parte delle Litanie dei Santi, mentre il vescovo si porta in sacrestia ove veste i paramenti sacri risplendenti di tutta la bellezza della Pasqua.
¹ Questa pratica del nuovo fuoco pare sia d’origine irlandese.
² Gv. 8, 12.
³ 1Pt. 2, 6.
⁴ Ef 2, 20.
⁵ Is 28, 16.
⁶ Mt 11, 27.
⁷ Mt 28, 19.
⁸ Codesta cerimonia era praticata in Gallia, nell’alta Italia e nella Spagna fin dallo scorcio del IV secolo. Ugualmente quella del cero pasquale a Ravenna, ai tempi di san Gregorio, e a Napoli nell’VIII secolo.
⁹ Quantunque non possa vantare alcun testo del Nuovo Testamento, la benedizione dell’acqua è attestata fin dalla fine del II secolo. San Basilio l’enumera tra le cose non scritte, ma tramandate «da una tacita e segreta tradizione».
¹⁰ Rm 6, 4.
¹¹ Cfr. Ct. 4, 2.
¹² Nei primi tempi, dicendo «Pax tecum», il vescovo dava il bacio di pace ai neo cresimati. Più tardi il bacio fu sostituito da una piccola carezza sulla guancia, che, per alcuni simbolisti, divenne sinonimo di schiaffo, poiché il soggetto doveva da quel momento sopportare con Cristo e per Cristo ogni genere d’ignominie e patimenti. Per altri, invece, rappresenterebbe il colpo che ricevevano sulla spalla quelli che nel Medioevo venivano fatti cavalieri, dovendo anche il cresimato divenire soldato armato di Cristo.
Il testo in questione non è l'originale ma frutto di un "adeguamento" che il lavoro del Gueranger ha subito sul finire degli anni Cinquanta del secolo scorso.
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